VI.2. Profili di diritto positivo
VI.2.1. Inquadramento normativo dell’obiezione di coscienza sanitaria
L’obiezione di coscienza nella pratica sanitaria ha un precedente storico e logico nell’obiezione al servizio militare di leva e trova il suo fondamento spirituale ed umano nel comandamento “non uccidere”.
Sia pure in ambito del tutto diverso ma per l’identica motivazione sorse in Italia il problema dell’aborto volontario previsto, sia pure in determinate condizioni, dalla legge 194 del 1978. L’aborto volontario non poteva (e non può) non essere considerato atto di soppressione di vita umana e quindi era da considerarsi ragionevole il rifiuto di parte del personale sanitario e di quello esercente le attività ausiliari, di praticarlo in contrasto con la propria coscienza. La legge 194 previde quindi, con l’art. 9, la possibilità, per tale personale di sollevare obiezione di coscienza.
Successivamente alla legge 194/78 l’obiezione di coscienza fu riconosciuta, con l’art. 1 della legge 413/1993 rispetto alla sperimentazione animale e con l’art. 16 della legge 40/2004 con riguardo alla procreazione assistita.
L’art. 9 della legge sull’interruzione della gravidanza però parla di “personale sanitario” ma non lo elenca dettagliatamente e nello stesso tempo, essendo stata la legge 194 promulgata prima della creazione dei c.d. farmaci per la “contraccezione di emergenza”, non previde l’interruzione della gravidanza provocata con mezzi diversi dall’intervento chirurgico. Si è posto quindi il problema della applicabilità dell’art. 9 ai farmacisti in quanto la vendita di tali contraccettivi può provocare effetti abortivi. Poiché il problema di coscienza può riguardare ovviamente non solo i medici, le ostetriche e gli infermieri, ma anche i farmacisti, si pone il problema giuridico dell’estensibilità del diritto di obiezione a tale categoria professionale31.
In attesa di una esplicita legislazione sulla materia specifica dell’obiezione di coscienza dei farmacisti, si tratta di offrire ai giudici e agli interpreti del diritto positivo strumenti sicuri di valutazione senza dover ricorrere a criteri inevitabilmente soggettivi come quelli dell’analogia o dell’interpretazione estensiva delle norme in materie logicamente assimilabili.
VI.2.2. Orientamenti giurisprudenziali
Attualmente interessanti sono alcune sentenze del TAR del Lazio (12 ottobre 2001 n. 8465 e 2 agosto 2016 n. 8990) e una della Corte d’Appello di Trieste del luglio 2018 di cui si conosce il dispositivo ma non ancora la motivazione32.
La prima sentenza citata del TAR del Lazio scaturì da un ricorso proposto dal Movimento per la Vita Italiano contro l’autorizzazione statale alla commercializzazione di un farmaco (Norlevo) inibitore dell’annidamento nell’utero materno dell’ovulo fecondato.
Il TAR da un lato affermò che la legge 194/1978, nel regolamentare i casi di interruzione volontaria della gravidanza, non enuncia una puntuale nozione clinica dell’inizio della gravidanza ma lo stesso Tribunale lascia intendere che questa abbia inizio con l’annidamento dell’embrione nell’utero materno. Tenuto conto del fatto che se il farmaco agisce prima di tale annidamento il suo effetto, secondo i giudici, non può essere considerato interruttivo della gravidanza.
Dall’altro lato però il Tribunale riconobbe che nel foglio illustrativo del farmaco risulta che il sistema di contraccezione opera «bloccando l’ovulazione o impedendo l’impianto».
Secondo il Tar se per il blocco dell’ovulazione la descrizione di tale effetto si configura conforme a criteri di corretta e completa informazione del consumatore, la successiva proposizione «impedendo l’impianto» risulta priva di oggetto, non precisando che l’effetto terapeutico si riflette sull’ovulo fecondato.
Aggiunge il testo della sentenza che «si rende necessaria, proprio in presenza di differenziati orientamenti etici e religiosi circa il momento iniziale della vita umana, (la precisazione) in maniera chiara e non equivoca, che il farmaco agisce sull’ovulo già fecondato impedendo le successive fasi del processo biologico di procreazione».
Tale sentenza quindi, sia pure di riflesso, sembra ammettere chiaramente la rilevanza di «orientamenti etici e religiosi» sulla questione della natura abortiva, o meno, del farmaco.
La sentenza del TAR del 2016 invece stabilisce che «quanto alla prescrizione dei farmaci contraccettivi “del giorno dopo” la censura secondo cui le specifiche specialità attualmente in commercio sortirebbero l’effetto di un aborto chimico, perché non sarebbe possibile escludere che abbiano effetto anche in un momento successivo al concepimento, causando la perdita dell’embrione umano già formatosi, occorre ricordare come il legislatore abbia inteso quale effetto interruttivo della gravidanza quello che interviene in una fase successiva all’annidamento dell’ovulo nell’utero materno, mentre tali circostanze non si riscontrano con l’uso di metodiche anticoncezionali i cui effetti si esplicano in una fase anteriore all’annidamento dell’ovulo».
Tale sentenza, citando la precedente sopra ricordata, sostiene testualmente che «l’esame sistematico della regolamentazione dettata dalla legge n. 194 /1978… induce a ritenere che il legislatore abbia inteso quale evento interruttivo della gravidanza quello che interviene in una fase successiva all’annidamento dell’ovulo nell’utero materno.
Tale conclusione, sarebbe avvalorata dall’art. 8 della legge 194/1978 che in dettaglio prende in considerazione le modalità interruttive della gravidanza e ne impone l’effettuazione con l’intervento di un medico specialista ed all’interno di strutture ospedaliere o case di cura autorizzate, circostanze non peculiari alle metodiche anticoncezionali i cui effetti si esplicano in una fase anteriore all’annidamento dell’ovulo».
Il dispositivo della sentenza non tiene conto però di altri fattori, di cui invece occorre valutare la rilevanza, in ordine al problema dell’obiezione di coscienza da riconoscere ai farmacisti, per questi motivi:
– Al momento della promulgazione della legge 194/1978 non si poneva il problema dei farmaci inibitori dell’annidamento dell’embrione.
– Il criterio per stabilire l’effetto abortivo di un farmaco non può stabilirsi con criteri meramente giuridici ma invece in base a valutazioni di carattere logico-scientifico.
– La natura della persona umana non può dipendere dal “luogo” (di annidamento) in cui si trova.
– L’embrione contiene in sé tutti gli elementi caratterizzanti la specie umana, sia pure in potenza ma non ancora sviluppati (non è un animale, né un vegetale ma un essere umano).
– L’annidamento dell’ovulo fecondato serve per il suo nutrimento e il suo sviluppo mentre la sua esistenza è stata determinata dall’unione dell’ovulo con lo spermatozoo.
– Anche per i farmacisti il problema dell’obiezione di coscienza si pone in termini di rispetto di principi morali e/o religiosi ai quali gli stessi farmacisti fanno riferimento. Tali principi sono ispirati al rispetto della vita umana e meritano pertanto giuridica considerazione come il rifiuto della “guerra”, dell’uso delle armi, della pratica dell’interruzione di gravidanza, del suicidio assistito, della pena di morte.
– Il principio di uguaglianza tra i cittadini, previsto dall’art.3 della Costituzione Italiana stabilisce che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.» Ciò significa che l’ordinamento giuridico non può imporre comportamenti suscettibili di suscitare seri problemi di coscienza ad alcuni soggetti e negarli, in materie analoghe e/o assimilabili, ad altri.
La sentenza della Corte d’Appello di Trieste del luglio 2018, a seguito di impugnazione di una sentenza del Tribunale di Gorizia, in pratica confermata, è stata pronunciata proprio in relazione al preteso diritto di una farmacista che, invocando l’obiezione di coscienza, si era rifiutata di vendere un farmaco contraccettivo d’emergenza. La sentenza del Tribunale impugnata aveva assolto la farmacista dal reato previsto dall’art. 328 del codice penale (Rifiuto di atto d’ufficio) perché non punibile per la particolare tenuità del fatto. Il Tribunale aveva però preliminarmente ammesso la sussistenza del diritto all’obiezione di coscienza sulla base degli art. 19 e 21 della Costituzione e dell’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Già il Tribunale aveva richiamato il principio, più volte ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione secondo il quale «Il carattere indebito del rifiuto, espressamente previsto dall’art. 328 c.p., ai fini della configurabilità del reato, non è ravvisabile quando, in presenza di un conflitto di interessi, il compimento dell’atto venga a ledere i diritti costituzionalmente garantiti dal soggetto agente».
L’art. 19 della Costituzione stabilisce che «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». L’art. 21 inoltre stabilisce che «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Il Tribunale inoltre ricordava il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza stabilito dal legislatore ordinario con l’art. 9 della legge 194/78 (obiezione di coscienza nell’interruzione volontaria della gravidanza), con l’art. 1 della legge 413/1993 (obiezione di coscienza sulla sperimentazione animale), e con l’art. 16 legge 40/2004 (obiezione di coscienza nella procreazione assistita).
Da taluni autori contrari al riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza dei farmacisti è stato osservato che il Levonorgestrel (Norlevo) non può considerarsi un farmaco abortivo perché la “gravidanza” ha inizio con l’impianto dell’ovocita nell’endometrio. Ma costoro trascurano il fatto che, indipendentemente dall’inizio dell’impianto, l’embrione formato dall’unione dello spermatozoo con l’ovulo è già un essere umano a cui, impedendo l’impianto si nega lo sviluppo “vitale”. La vita non comincia con l’impianto ma con l’unione dell’elemento maschile e dell’elemento femminile. Tale principio è stato anche riconosciuto da giurisprudenza costituzionale, in particolare nelle sentenze n. 27 del 1975 e n. 35 del 1997 nelle quali la Consulta fa riferimento al «diritto del concepito alla vita» sia pure in presenza di norme che consentono l’interruzione volontaria di gravidanza quando tale diritto può essere sacrificato solo nel confronto con quello, pure costituzionalmente rilevante, della madre alla salute e alla vita. È evidente quindi la identità soggettiva tra “il concepito” e l’embrione impiantato o non ancora impiantato.
VI.2.3. Riflessioni de iure condendo
Occorre però riconoscere che i motivi dell’obiezione di coscienza di cui stiamo trattando trovano fondamento principalmente in una visione antropologica e/o religiosa della vita non da tutti condivisa. Ma l’obiezione di coscienza, proprio perché “obiezione”, costituisce per sua natura una convinzione non universale ma propria di minoranze di persone che condividono gli stessi valori a cui comunque gli ordinamenti giuridici riconoscono una significativa rilevanza.
Nella specie di cui trattiamo il “valore”, fondamento dell’obiezione, è quello della vita umana nel momento del suo inizio. È evidente che tale valore non può avere pari dimensione tra coloro che considerano la vita umana più o meno rilevante a seconda delle condizioni in cui essa si svolge, e tra quelli che invece la considerano preziosa sempre, nella salute e nella malattia, nel suo benessere e nel suo malessere, nella sua accoglienza e nella sua negazione, nella sua prospettiva ultraterrena o nella considerazione della sua irrimediabile finitezza.
VI.2.4. Le modalità di esercizio dell’obiezione di coscienza
Per quanto riguarda i farmacisti, a seguito della produzione dei farmaci “del giorno dopo”, avvenuta successivamente alla entrata in vigore della legge 194/98, si è posto lo stesso problema di coscienza che era stato ritenuto sussistente per il “personale sanitario” potenzialmente competente per l’interruzione volontaria della gravidanza. Ma le modalità di esercizio non potevano essere oggettivamente identiche a quelle previste per i soggetti “sanitari” previsti dalla legge 194.
Certamente però i farmacisti sono da annoverare tra il “personale sanitario”: Se ne deve dedurre che non c’è dubbio che l’obiezione di coscienza vada riconosciuta anche ai farmacisti ma che per le modalità di esercizio di tale diritto sia necessaria una disposizione ad hoc ad oggi non ancora sussistente. È quindi assolutamente necessario, per il principio della “certezza del diritto”, che il Parlamento legiferi in maniera da regolamentare le modalità di manifestazione dell’obiezione anche da parte dei farmacisti.
In pratica, ricalcando l’art. 9 della legge 194, il testo di una legge formulata espressamente per i farmacisti potrebbe essere formulata essenzialmente in tal modo:
Peraltro, è facile comprendere che la questione della nascita alla vita non è banale e quindi le intenzioni relative al “far nascere” o “non far nascere” e i relativi comportamenti conseguenti a tali intenzioni attengono al modo di concepire valori quali la vita, l’umanità, l’ambito familiare, quello sociale, i principi di diritto, la libertà di culto e di espressione del pensiero.
Tutte le volte in cui questi valori sono stati calpestati, o semplicemente ignorati, le nazioni hanno conosciuto un regresso sociale. Quando sono stati riconosciuti l’Umanità è progredita e il beneficio è stato a vantaggio di tutti, credenti e non credenti.
Note
31 Si veda in proposito, in dottrina, M.L. DI PIETRO, C. CASINI, M. CASINI, A.G. SPAGNOLO, Obiezione di coscienza e sanità. Nuove problematiche per l’etica e per il diritto, Cantagalli, Siena 2005
32 Riportata in Avvenire, 4 luglio 2018, p. 13
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