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Uno sguardo al cielo. L’incanto di vedere bellezza con un'intervista ai fotografi Benedetta Cocchini e Valerio Minato e a Piero Ferrante operatore del Gruppo Abele

Abstract

Il diritto alla bellezza è inscritto nei 15 scatti fotografici che compongono la mostra Sguardi: Torino. L’incanto dietro l’angolo. Attraverso un’azione di appropriazione dei segni, degli spazi, delle memorie, dei profili architettonici e su verso il cielo le autrici compiono una restituzione in arte e bellezza della città. Lo smartphone, per chi frequenta la provvisorietà con le valigie in mano, diventa qui medium di accesso alla bellezza dentro di noi e fa bene a chi la osserva. L’esposizione è la tappa successiva del workshop fotografico sul tema della memoria, che ha coinvolto alcune ospiti della Casa di prima accoglienza del Gruppo Abele.
Le opere esposte rovesciano pregiudizi e stereotipi e mostrano tutto l’incanto di vedere la bellezza dalla visuale speciale e profonda di momenti di vita accidentati, da strade non piane e sicure, da condizioni difficili che possono attraversare la nostra esistenza. E in quel procedere, dal guardare e al fermare lo scatto, scoprire di possedere tutta quella bellezza insieme alla libertà di comunicarla e condividerla.

«Partendosi di là e andando tre giornate verso levante,
l’uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole
d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate
in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che
canta ogni mattina su una torre.»

(ITALO CALVINO, Le città invisibili 1 )

Nella città di Diomira coi suoi monumenti magici approdano viaggiatori che tanto hanno visto. Ma il fascino che incanta chi arriva una sera di settembre, nel momento in cui cala l’imbrunire e le lampade si accendono, gli odori del cibo e le voci si mescolano, è il privilegio di percepire, come annota Italo Calvino,

d’aver già vissuto una sera uguale a questa
e d’esser stati quella volta felici

Entrando nello spazio espositivo di Binaria a Torino dove è allestita la mostra Sguardi. Torino: L’incanto dietro l’angolo, curata da Valerio Minato – il fotografo della luna -, e soffermandosi a guardare le 15 fotografie, che hanno per soggetto il centro di Torino, pare di approdare a Diomira e aver avuto la grazia di una sera uguale ed essere stati felici 2. I profili noti dei monumenti, la bellezza delle forme architettoniche, gli scorci fanno affiorare l’insolito: emozioni e sensazioni interiori.

Spesso le storie di vita dolorose e faticose paiono confermare al mondo l’impossibilità di vedere e generare bellezza. Stereotipo che imprigiona in gironi di isolamento e di negazione la creazione di poesia e di spirito e la sottrae alla comunicazione e alla condivisione. La bellezza è percepita come grazia e privilegio che abita luoghi piani, strade dritte e facili, confinata in spazi dedicati ed educati a godere del bello. Fare esperienza di bellezza appare un affare che non si incontra nei momenti di inciampo della vita, che non si percorre nelle strade secondarie, in quelle deturpate e contaminate, abitate dalla povertà di speranza e di opportunità, o scosse dalle tempeste impreviste.

La mostra svela la virtù trasformatrice della bellezza e capovolge le visioni. E’ l’incanto di vedere la bellezza anche sul margine, dalla visuale speciale e profonda della ferita, di momenti di vita accidentati, da strade non piane e sicure, da condizioni difficili che possono attraversare la nostra esistenza. E di scoprire di possedere tutta quella bellezza.
La collettiva di quattro fotografe a Binaria ci introduce in una esplorazione dell’altro da sé e della visione del mondo fuori da noi, che apre all’incanto e allontana dalle categorie in cui si è confinati dal pregiudizio. E lo fa entrando dentro la città, in modo diretto con rigore e curiosità, procedendo dai profili architettonici e su verso il cielo, svelando scorci urbani conosciuti, ma inediti nel loro spessore poetico, tra il bianco e nero ed il colore.

Kalós nel mondo classico greco richiama il bello al buono, connettendo etica ed estetica, e Kalós lo si percepisce osservando gli scatti fotografici della mostra. Affiora l’arte di mescolare la bellezza delle forme e lo spirito, il dentro e il fuori, in quel procedere dalla fatica, nel ritmo lento e gravato, in una maieutica di tirar fuori, far emergere, dare tempo e spazio proprio da parte di chi attraversa incagli di vita. Sguardi: Torino. L’incanto dietro l’angolo è guardare luci e ombre e intrecciarle nella memoria. Si compone di scatti da punti di osservazione speciali, con le sue prospettive supera stereotipi e va oltre nel profondo. Con l’agilità dello smartphone suggerisce angoli di osservazione e prospettive nuove, in un processo di appropriazione del centro urbano, delle vie dei monumenti, del passeggio, dello svago e dello shopping. Un’osservazione del centro della città, che ha come partenza progettuale e abitativa nelle coordinate spaziali della periferica Casa di prima accoglienza a Barriera di Milano del Gruppo Abele.

La mostra nasce da un workshop fotografico sul tema della memoria, che ha congiunto tecnica fotografica, osservazione e scatti. Da piazza Statuto alla Gran Madre, lungo il percorso di esplorazione del centro cittadino, trapelano il mistero e la magia della città che si annodano alle percezioni personali. E’ un sentire che prende forma ricercando le sfumature delle leggende dei luoghi, attraversando piazze, osservando chiese e fontane, percorrendo i portici, scrutando e catturando nelle sue variabili il cielo e seguendo il profilo della Mole Antonelliana con le sue proiezioni, tra luci e ombre, sacro e profano, bene e male. Dicotomie spaziali che segnano le esistenze, alternano e scompigliano i destini. E’ un’azione di appropriazione dei segni, degli spazi, delle memorie e una restituzione in arte e bellezza.

Benedetta, una laurea in filosofa e una forte passione per l’arte da sempre, è una delle fotografe insieme a Bellinda, Celi e Maddalena.

profondita
© I portici di via Po, Mostra Sguardi: Torino. Fotografia di Benedetta Cocchini. Per gentile concessione Gruppo Abele onlus, riproduzione vietata

INTERVISTA A BENEDETTA COCCHINI, FOTOGRAFA
D. Benedetta hai ritratto in bianco e nero i portici di via Po, cogliendo un attimo sospeso, non affollato, segnato dalle geometrie delle colonne e delle curve degli archi porticati, dalla fissità dei tavolini vuoti di un bar e mosso dal fare di una cameriera che li sistema. Raccontavi che ti ha fatto affiorare il vuoto, il silenzio, la solitudine del lockdown con la città deserta, abitata da qualche isolata persona senza casa. Che cosa d’altro ti ha coinvolto nello scatto?
R. Questa foto è stata scattata così perché ha a che vedere con la mia storia. Ci sono tre persone sullo sfondo e una donna che fa il mio stesso lavoro. Pulisce. Come se volesse pulire la vita da quelle tre ombre sullo sfondo.
D. Il tema del workshop era il centro della città, il mistero e la memoria. Torino è la tua città come per il viaggiatore che approda a Diomira? Ti piacerebbe esplorare altri spazi come le periferie con la fotografia?
R. Torino non è la mia città, ma lo è adesso e non vorrei andare via da qui. Una città complicata per me, le vicende più brutte e più belle le ho vissute qui. Sono stata senzatetto; all’inizio mi vergognavo, poi in realtà l’ho superato. E mi vergogno di essermene vergognata. Mi ha fatto fare un milione di viaggi. Gente diversa, storie diverse, sguardi diversi, diversi modi di starsi vicino. Cibi diversi, lingue diverse. Ma soprattutto: nasci in una classe sociale, atterri in strada, puoi guardare le cose con sguardi molto diversi pensando a come le avresti viste vent’anni prima. La città di Diomira è azzeccata. E’ il contesto temporale di una città conosciuta guardata con occhi diversi; donna/e che gridano. Bello. In genere preferisco le periferie. Graffiti, angoli insoliti, palazzi abbandonati o riqualificati
D. Fotografare è percorrere una ricerca attraverso l’arte, tra forma, tecnica e contenuti, che ci risveglia e ci consente di coltivare bellezza dentro di noi. Ma la bellezza può anche far bene a chi la osserva, contagiare il pubblico? Hai un pubblico speciale che vorresti coinvolgere?
R. Ho cercato di fare foto mettendoci lo stato d’animo di una che prova a cercare altro nelle cose che vede. Sarei curiosa di sapere come qualcuno guarda le mie foto, cosa ci vede.
D. Hai partecipato al workshop fotografico con altre donne, com’è stata l’esperienza di condivisione?
R. Donne diversissime, tra l’altro che non parlano la stessa lingua, ma ci siamo divertite da matte, accompagnate dall’operatore Massimo che faceva fatica a tenerci insieme: “sì vabbe ma se vi fermate a fotografare tutto non finiamo il giro!”

INTERVISTA A VALERIO MINATO, FOTOGRAFO E CURATORE DELLA MOSTRA
D. Ti conosciamo come il fotografo della luna, che ha colto l’incanto di un momento magico, e come un grande osservatore di paesaggi urbani e natura 3. Sei il curatore di questa mostra e non solo questo, hai partecipato a tutte le fasi del laboratorio fotografico. Cosa ha significato per te fare il docente di tecnica fotografica e accompagnare per le strade di Torino le donne del workshop di fotografia digitale?
R. Sì diciamo che la nomea costruita in questi anni fa sì che sia conosciuto e riconosciuto per le foto paesaggistiche e lunari. Proprio per quello ho accolto con entusiasmo questa proposta totalmente diversa, sia come genere fotografico, sia come approccio, perché si trattava di andare io stesso a raccontare, insegnare, a dare piccole informazioni e insegnare piccoli trucchetti – non è stato un corso di fotografia con lezioni teoriche- in un corso slim legato ai limiti di tempo a disposizione. Importante era riuscire a dare nozioni base per riuscire a far rendere al meglio un po’ il device e soprattutto permettere alle ragazze di raccontare tramite il loro punto di vista il progetto della mostra, e quindi la Torino magica, il discorso delle ombre e delle luci, del buio e della luce, che è molto simbolico per le storie di tutti noi e in particolare per loro.
La possibilità e l’entusiasmo di andare a svolgere questa attività in maniera totalmente diversa rispetto al mio lavoro abituale è una cosa che mi ha dato molto stimolo. C’è un rapporto di amicizia e stima enorme con il Gruppo Abele, con Piero Ferrante con il quale abbiamo fatto altre cose insieme, e una valenza mia emotiva e empatica verso il Gruppo. La proposta è stata una maniera per me di mettermi alla prova a fare qualcosa di molto diverso da come faccio solitamente.
Per me è stato un tuffo nel passato perché sono andato a ripercorrere il lato della fotografia più urbana, più street che ha caratterizzato i miei primi anni di fotografia. Ho iniziato 12 anni fa e nei primi anni ero molto più dentro la città, poi sono uscito mano a mano cercando riprese sempre più da lontano. E’ stato un tuffo nella mia prima passione fotografica più urbana. Riuscire a far questo con i ricordi che affiorano e portare le mie conoscenze e la mia testimonianza al servizio di queste ragazze è stato molto bello e molto emozionante.
La sfida è stata anche questa, io non ho mai insegnato fotografia ad altri ed io stesso non ho fatto corsi e non mi sono mai messo a fare corsi per gli altri. Era molto stimolante anche questo fatto, vedere se riuscivo a trasmettere un po’ del mio occhio, del mio gusto fotografico, delle mie competenze alle partecipanti del progetto.
D. Fotografare è azione che si svolge da soli, l’esperienza collettiva cosa ti ha provocato? Cosa regala catturare bellezza insieme?
R. Sono un lupo solitario assolutamente con la fotografia! ma è stato bello per una volta non dedicarmi in maniera solitaria come faccio sempre, e avere questo rapporto di scambio. Da parte mia ci sono stati degli input come ti dicevo, ma non è stato un vero corso di fotografia. E’ diventato una cosa molto bella, emozionale e empatica perché – e questa è una cosa meravigliosa, che non potevo sapere a priori – si è creato subito un clima di fiducia e di confidenza tra me e le donne, in maniera diversa l’una dall’altra ma con tutte si è creato un rapporto intimo in pochissimo tempo.
Per me questa era una grande sfida, infatti i ragazzi del Gruppo Abele mi avevano anticipato che le ragazze provenivano da trascorsi molti duri e non si sapeva come avrebbero reagito alla mia presenza, se si sarebbero fatte coinvolgere e entusiasmare, era tutto un dubbio, tutto un enigma. Poteva essere, come non essere. Siamo stati fortunati perché si sono mostrate poi molto entusiaste e disponibili all’apprendimento, ognuna con le proprie predilezioni. Alcune avevano già un po’ di esperienza, qualcuna con un occhio fotografico molto presente, chi più avanti e altre all’asciutto da ogni nozione e quindi bello anche per me cercare di adattarmi alle esigenze puntuali di ognuna di loro.
Ho scoperto che mi piace molto lavorare da solo, ma anche in sinergia con altri, sia con le ragazze sia con Massimo Lazzarino soprattutto, che ci ha guidato e accompagnati raccontandoci aneddoti e storie dei luoghi. E’ stato un bellissimo lavoro di squadra.
D. La mostra pare dimostrare come l’uso dello smartphone non si associ ad un livello inferiore nella fotografia, e suggerisce un’altra modalità e visuale di osservazione? Cosa ne pensi?
R. Parliamo di device per scattare fotografie e per un attimo usciamo dal discorso qualità fotografica, dettaglio, nitidezza. Lo smartphone è comunque uno strumento con fotocamera, quindi le regole di scatto, sulla composizione e sulla pulizia dell’immagine, sul come collocare i soggetti all’interno del frame, attraverso la composizione dell’immagine, evitare elementi di disturbo che potrebbero rendere meno facile e più difficoltosa la fruizione e la lettura della fotografia è una cosa che accomuna totalmente ogni device. Dallo smartphone, dal più scrauso al più figo, a quello di ultima generazione e alle macchine fotografiche base, medie e professionali. Inquadratura, occhio, composizione è assolutamente uguale con tutti i device.
Entrando un po’ più nello specifico, sul lato tecnico, non possiamo dire che lo smartphone è a livello di altri apparecchi fotografici più performanti. Diverso è sul lato di quello che serviva a noi, di quello che dovevamo raccontare, far fare, ovvero dare le nozioni e gli input base alle ragazze affinché potessero loro esprimersi, loro fotografare. Davo gli input, ma non dicevo fai così, fa cosà, davo dei suggerimenti; qualcuna li seguiva in maniera più stretta, altre seguivano totalmente il loro gusto. E’ uno strumento che permette benissimo una espressione artistica totale e completa. Per quello che dovevamo fare nel progetto e volevamo tirare fuori a giudicare dai risultati le ragazze lo hanno espresso in maniera egregia e di questo sono molto contento.

INTERVISTA A PIERO FERRANTE, operatore socio culturale del GRUPPO ABELE
D. Il progetto “Sguardi” ha visto la partecipazione corale di enti e persone nella condivisione. Non è solo una mostra e conferma il diritto di tutti alla bellezza: perché?
R. Sguardi è stato un progetto corale, il risultato del lavoro di un’alleanza sociale che ha messo insieme, nel nome dell’arte, persone diverse per provenienza, storia e vicende: le donne temporaneamente senza dimora della Casa di prima accoglienza di via Pacini che hanno realizzato le fotografie con le volontarie e i volontari del progetto La Cultura dietro l’Angolo che le hanno selezionate, organizzate e fatte diventare una mostra. Un lavoro lungo, paziente e complesso, iniziato nella primavera del 2024 e chiuso con l’inaugurazione del 20 febbraio di quest’anno con un bagno di folla a Binaria.
Sguardi viene quindi da lontano: dal workshop realizzato con un gruppo di sei donne accolte in via Pacini dal fotografo Valerio Minato e che, in estate, ha portato quattro di loro per le strade del centro, “armate” solo dei loro telefoni cellulari, per fotografare Torino dalla propria prospettiva.
Le foto rappresentano, quasi tutte, monumenti, luoghi e simboli della “Torino magica”: non per un senso esoterico, ma come metafore di un mondo fatto di opposti, di luci e di ombre, di ferite aperte e di cicatrici, di conflitti e pacificazioni. Valerio è stato molto importante. Ha insegnato alle donne che l’arte è più vicina di quel che sembra, che tutti noi la portiamo dentro una tasca, nascosta dietro la parvenza di un schermo, pronta ad esplodere quanto meno ce lo aspettiamo. Il telefono cellulare ha smesso di essere uno strumento del bisogno ed è diventato un obiettivo.
Quello che ne è nato, possiamo dire sia una sommatoria di punti di vista. Di qui il titolo, Sguardi. Un titolo che solo apparentemente è innocente: anzi, vuole provocare, puntare l’attenzione su un aspetto preciso. Quale? Gli occhi degli altri. Stare nella prospettiva altrui, essere costretti a guardare il mondo non stando alle nostre prospettive è il grande atto politico della mostra. Chiunque guarda, noi per prime e per primi, siamo stati chiamati a inforcare le contraddizioni di chi ha scattato le fotografie. L’arte quindi è un pretesto, un gioco terribilmente serio, una scintilla per obbligarci ad aprire gli occhi sulla condizione di ingiustizia che schiaccia troppi uomini e troppe donne. E non solo in luoghi lontani: ma appena a un passo da noi, dietro l’angolo.
D. Con l’esperienza del workshop di fotografia avete sperimentato l’arte nelle sue interazioni e come ricerca nel profondo, attraverso una pratica svolta insieme, muovendo dalla ricchezza delle diversità che uniscono e dalle risorse di ciascuna. Cos’è per te la bellezza e quanto ci salva insieme?
R. È un po’ quello che dicevo prima. L’arte non può essere consolatoria. Allo stesso modo, la bellezza presa come valore assoluto, come principio fine a se stesso, imbrigliato, da osservare, non basta più. Mi permetto: non serve. Una bellezza stentorea, fissa, irraggiungibile è un privilegio per pochi. Noi volevamo che diventasse un processo condiviso, partecipato, democratico, aperto a tutti. Ma, nello stesso tempo, disturbante.
D. Cosa bolle in pentola? Puoi svelarci il futuro della mostra dopo l’8 marzo ed i prossimi progetti?
R. La mostra è la sintesi di un percorso irripetibile e quindi entrerà nel patrimonio del Gruppo Abele in un anno molto importante per noi. Nel 2025 infatti il Gruppo compie 60 anni, cifra tonda. Intorno all’esposizione, che si concluderà l’8 marzo, ci saranno visite guidate e piccoli momenti di incontro per le tante famiglie che frequentano i nostri spazi. C’è tanta richiesta, in questo momento. Stiamo pensando di dare vita a una “biblioteca dell’arte” che, al pari di una biblioteca, possa prevedere il prestito di queste opere che per noi sono a tuttotondo da considerarsi artistiche. Istituzioni pubbliche ed enti del privato sociale si stanno offrendo di ospitare l’esposizione. Ma la nostra intenzione è di farla tornare in via Pacini, mettere le 15 foto alle pareti, perché resti per sempre traccia di questa esperienza.

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© L’angelo, Mostra Sguardi: Torino Per gentile concessione Gruppo Abele onlus, fotografia di Benedetta Cocchini, riproduzione vietata

Come osservano Benedetta, Valerio e Piero, lo smartphone da strumento di necessità e utilità, per chi frequenta la provvisorietà con le valigie in mano, si fa qui medium di bellezza congiungendo forme e prospettive, familiari e note della città, allo spirito dei luoghi e delle persone. Restituisce bellezza nelle assenze di cielo, assorbito dalle forme, così come nelle variabili di cielo scrutate e catturate guardando in su, dal frammento compreso nell’ovale di contorno alla Mole, al controluce inquieto che avvolge l’angelo di piazza Statuto, al cielo che penetra dalla cupola di S. Lorenzo o a quello che si interseca guardando in alto nel 45o parallelo dell’astrolabio. Tra apparenza e essenza si manifesta lo stupore dell’incontro tra chi restituisce l’incanto, nelle molteplici e indeterminate forme della propria dimensione sensibile, e chi lo osserva.
E’ il diritto di tutte e tutti alla bellezza e la libertà di condividere la personale visione di bellezza. Quella che i viaggiatori, che tutto hanno visto nel loro peregrinare e che continuano a stupirsi, ci fanno percepire nell’incanto

d’aver già vissuto una sera uguale a questa
e d’esser stati quella volta felici

Note

1 ITALO CALVINO, Le città invisibili, 2004, Meridiani, v.2, p. 362

2 La mostra fotografica è promossa dal Gruppo Abele onlus, nel contesto della Casa di prima accoglienza che ospita donne temporaneamente senza dimora, e rientra nel progetto La cultura dietro l’angolo, di Città di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo in collaborazione con Fondazione per la Cultura Torino, enti e presidi culturali della città. E’ visitabile nella Galleria di Binaria, via Sestriere 34 a Torino dal 20 febbraio all’8 marzo 2025. Il workshop è stato ideato e promosso dall’equipe di operatrici e operatori del Gruppo Abele. Strutturato in incontri teorici sull’uso professionale della telecamera dello smartphone e pratici con uscite sul campo, ha avuto come focus il concetto di memoria ed è stato supportato dal Gruppo di proposta che ne ha svolto la direzione artistica.

3 Valerio Minato è un fotografo torinese. Ed è il fotografo a tutti noto e premiato dalla Nasa per lo scatto del triplice allineamento Superga, Monviso e falce di luna, realizzato il 15 dicembre 2023, pianificato nel 2017 e ottenuto dopo lunghe prove, appostamenti e una somma infinita di pazienza e amore.
Inizia – come si presenta lui – “per gioco e per hobby il percorso di avvicinamento alla fotografia nel 2012” al termine del percorso di studi e della laurea in Scienze forestali e ambientali. Le prime sperimentazioni riguardano Torino nei suoi panorami e nelle visuali. Valerio avverte “cerco di personalizzare la mia produzione fotografica unendo punti di ripresa innovativi e prospettive audaci in grado di restituire una visione originale di panorami molto conosciuti”. Si dedica alla fotografia paesaggistica con un approccio “scientifico”, utilizzando il background universitario e la passione per geografia e cartografia. “Altra mia passione” dice Valerio è “la meteorologia. In anni di approfondimenti ed osservazioni ho imparato a leggere ed intuire il mutare delle condizioni per poterle utilizzare ed includere all’interno dei miei progetti”. E poi c’è il fascino per i corpi celesti. “Il fascino di riuscire ad includere Sole, Luna, pianeti, meteore, comete, galassie in panorami noti è per me una sfida”. Moltissime immagini sono frutto di studio prolungato e attese sul posto, confrontandosi anche con le variabili meteorologiche.
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