Prof. Carla Corbella
La prospettiva narrativa è certamente una prospettiva di senso nella misura in cui rileggere i fatti dell’esistenza nell’unità di una trama consente di coglierne la concatenazione e dunque una prospettiva di senso.
La Bibbia è di fatto un racconto. Essa, non essendo un manuale di morale né un trattato teologico né un prontuario della vita, si presenta come storia dell’alleanza tra Dio e gli uomini cioè Storia di salvezza.
I libri che la compongono appartengono a generi letterari distinti distribuiti in molte sessioni. È impossibile una conoscenza complessiva di essa e ogni discorso ampio risulta generico. Tuttavia tutti i libri biblici, attraverso la loro diversità ed anche le contraddizioni ed incoerenze tra loro, hanno una sola meta: far conoscere Dio e ciò che lui ha fatto e fa per gli uomini. Detto diversamente: narrare ciò che Dio ha fatto per noi piuttosto che ciò che noi dobbiamo fare per lui.
Accostandosi ai testi biblici occorre, dunque, porsi la domanda: cosa vuol dire il testo? E solo in un secondo momento: cosa dice a me?
Questo può essere interessante anche nel dialogo medico-paziente: cosa racconta il paziente? Cosa vuol dire a me? E cosa concretamente questo significa per me?
Se cerchiamo nella Bibbia ciò che essa non dice evidentemente rischiamo delle letture errate e eretiche. Imparare a leggere ed interpretare il testo in modo corretto è assai importante come pure imparare a comprendere ciò che il paziente comunica attraverso le parole è indispensabile per una cura non solo una terapia adeguata dello stesso.
Storia di alleanze: Dio-uomo e medico-paziente
Dio e uomo: ecco i due protagonisti della storia della salvezza raccontata. Protagonisti e non semplici personaggi perché costruiscono insieme (l’uomo co-partecipa sempre) le azioni con una interconnessione che in modo narrativo avviene attraverso il dialogo. Le storie raccontate non sono storie ideali o elaborazioni filosofiche di principi astratti ma storie reali, quotidiane, uniche come le persone che le vivono. Così come non esiste la malattia da manuale astrattamente intesa ma questa persona che è malata in modo assolutamente unico pur presentando dei sintomi comprensibili in termini generali.
La complessità delle opere raggruppate nella Bibbia fa sì che ci sia la presenza di versioni differenti di un medesimo racconto. Ciò obbliga il lettore a paragonare e far dialogare, dialogando lui stesso, le diverse versioni per cercare la verità esattamente come il medico che ascolta il racconto dei diversi sintomi del paziente e magari anche la percezione che ne hanno i familiari ed è obbligato a cercare il punto centrale da cui tutto il resto si irradia.
La verità, nella Bibbia come nei racconti umani, è sempre al di là delle singole presentazioni. Essa è da approfondire, attualizzare ed esprime in termini nuovi, adatti alle circostanze se la Parola di Dio deve avere un impatto sul presente. La verità non è nella lettera ma nell’atto intelligente e critico del lettore che prolunga, nella comunità dei credenti, lo sforzo di aggiornamento iniziato nella Scrittura stessa. Allo stesso modo nella medicina narrativa dove il malato non è la sua malattia ma questa entra nella sua storia con implicanze e significati diversi soggettivamente interpretati.
In fine la Bibbia apre sempre al futuro, verso una terra da ricevere in dono, una città da costruire o ricostruire verso il ritorno di un Salvatore. Anche l’incontro medico paziente deve aprire al futuro perché c’è sempre qualcosa da fare: nessuno è incurabile anche se inguaribile e il tempo che si ha è ciò che si apre al futuro come ponte, almeno, per l’eternità.
Inoltriamoci allora in due testi in cui la narrazione si snoda in modo salvifico in termini fisici e spirituali.
Il fanciullo indemoniato: Mc 9,14-29
È un episodio che si situa immediatamente dopo il racconto della Trasfigurazione.
La narrazione si presenta non perfettamente omogenea in quanto si pongono al centro due dialoghi di Gesù: con i discepoli e con il padre del ragazzo. La composizione si sviluppa in tre tempi: l’incontro di Gesù con la folla e il primo dialogo con il padre (vv 14-19), la presentazione dell’ammalato e il secondo dialogo di Gesù con il padre (vv 20-24), esorcismo e il dialogo con i discepoli (vv 25-29)1.
Da un punto di vista medico il problema è concreto. C’è un ragazzo posseduto da un demonio: probabilmente è epilessia. I discepoli non riescono a fare nulla.
Arriva Gesù e punta sulla fede: O generazione incredula[…] fino quando sarò con voi?
vv 21-22: Gesù inizia con una domanda: di cosa discutete? È un modo per prendere tempo e far emergere la situazione in tutta la sua gravità. Ci si concentra sulla storia perché la malattia è di lunga data e lo ha buttato nel fuoco per ucciderlo. E il racconto si conclude con una preghiera accorata: se puoi qualcosa […] abbi pietà di noi […] aiutaci.
v 23: ecco la fede: tutto è possibile per chi crede […] credo ma tu aiutami nella mia incredulità […]
v. 25: l’esorcismo […]
v 26: la conseguenza è che il fanciullo diviene come morto. Questo succede nel caso di epilessia e genera spavento in chi è presente.
v. 27: Gesù non si spaventa ma solleva con affetto il ragazzo.
v. 28-29: dialogo tra i discepoli e Gesù: al centro la preghiera.
Il protagonista dell’episodio è Gesù insieme al ragazzo, al padre, ai discepoli. Lui guida la narrazione ed ogni passaggio ne evidenza caratteri diversi nel suo rendersi vicino: interroga per suscitare il racconto, reagisce mostrando la sua partecipazione reale, agisce in seguito cogliendo ciò che è necessario.
Le domande per stimolare il racconto sono interessanti:
– la prima punta sull’autocoscienza delle persone. Il padre è obbligato a raccontare cosa succede dal passato ad esprimere la gravità e dunque a coinvolgersi emotivamente. Si descrivono i sintomi in sé in termini medici ma non è sufficiente anche se importante.
– La seconda cerca di aiutare il padre e le persone presenti a riflettere sulla gravità del male. Cosa serve sapere da quanto tempo succede questo? Non serve in sé ma è l’occasione per la narrazione del sintomo e della vita che ne è collegata: dunque una comprensione soggettiva e sociale della cosa.
Non esiste nessuna situazione inguaribile e la fede è il cardine della possibilità di gestire le situazioni perché essa ci fa guardare alla nostra e altrui storia come storia in cui si mostra l’azione di Dio, come storia di salvezza. La narrazione che Gesù induce apre la strada ad una comprensione diversa della stessa e alla possibilità del suo intervento sanante.
I discepoli di Emmaus
L’episodio è noto. Due discepoli se ne vanno da Gerusalemme la sera di Pasqua verso Emmaus. Il sentimento che li caratterizza è la tristezza insieme alla rabbia e al rancore. Forse questo ci porta al momento della malattia: la crisi sulla propria esistenza; è forte il sentimento della tristezza e della rabbia…
Hanno bisogno di discutere. Gesù arriva e per un po’ cammina con loro. Cioè si mette al loro fianco e ascolta tutto ciò che loro dicono in maniera libera e senza obiettivi.
Poi fa la domanda giusta cioè induce il racconto non solo un parlare per sfogarsi: Di che tipo sono le parole che vi scambiate tra voi?
Gesù parte da loro, dal punto in cui sono e usa una pedagogia che aiuta i due ad aiutarsi con il metodo progressivo dello stimolo-domanda-far emergere il punto centrale ascoltando il loro modo di leggere ed interpretare gli avvenimenti.
Essi annunciano esattamente la salvezza: le parole che dicono esprimono il Kerigma ma lo fanno con la faccia da funerale. In realtà ciò che è successo è esattamente ciò che li salva ma loro sono delusi, le loro speranze svanite. Essi fanno un annuncio ma alle parole non corrisponde l’adesione del cuore, anzi, prevale la rassegnazione e la tristezza per cui è un annuncio che non convince nessuno. Leggono la storia senza speranza e così tutto appare inutile. È un racconto esatto anche nei dettagli ma incapace di accendere il cuore. Di questo hanno bisogno.
E così Gesù interviene riprendendo gli stessi avvenimenti ma all’interno di una narrazione e di una trama nuova. Ecco il ruolo del medico.
La risposta di Gesù apre una chiave interpretativa degli eventi che riporta al provvidenziale piano divino. Immette anche i fatti ultimi nella storia di salvezza, nella progressione della Bibbia e spiega ciò che i discepoli avevano interpretato solo in base al veduto. Si erano fermati a quello che avevano visto senza alzare lo sguardo alla Scrittura e alla parola di Gesù.
La loro reazione finale stupisce: Non ci ardeva forse il cuore nel petto […] Gesù non solo parla e attualizza la salvezza ma riscalda il cuore amareggiato davanti alla vista di un piano di Dio così inaccettabile. E lo fa ridando speranza.
Noi, a nostra volta, con la sola azione o con le nostre parole, difficilmente riusciremo a far alzare lo sguardo dalla tristezza e dalla aggressività. Lo faremo solo se riusciremo a scaldare il cuore ma ciò è possibile solo perché anche noi siamo stati avvolti dall’amore di Dio.
E allora ritornano a Gerusalemme cioè si rimettono in marcia, il loro cuore è guarito!
Bibliografia
1 MAGGIONI B., Era veramente uomo. Rivisitando la figura di Gesù nei Vangeli, Ancora, Milano 2001
© Bioetica News Torino, Settembre 2013 - Riproduzione Vietata