Per il poeta, padre David Maria Turoldo, il tempo dell’attesa pasquale è tempo di vuoto, di ricerca, di smarrimento ed è tempo che radica e configura il senso della vita nello sguardo alla sofferenza del mondo.
Come gli artisti hanno interpretato, studiato e rappresentato la morte di Cristo, come hanno dato forma al vuoto e allo smarrimento dei partecipanti al dolore?
Percorrendo gli spazi ottocenteschi della Pinacoteca Albertina, luogo di conservazione ed esposizione, ma anche di studio per gli artisti, e guardando le sue collezioni lo chiediamo ad Enrico Zanellati, conservatore delle raccolte.
“Non dite mai cosa sia la vita:
un pozzo d’acqua sorgiva
nel deserto,
la ghirlanda di colori
intorno al collo dei colombi in amore
un raggio di luce nel buio di una cella
o il silenzio dell’alba
quando sorge la luce…».
(David M. Turoldo, Il grande Male)1
Il senso della vita è rincorso nei versi di padre Turoldo, scrutato nelle trame dell’esistenza, scorto nell’acqua che zampilla nell’aridità del deserto, nell’orizzonte immaginato dal foro della cella e reso vivo da uno sprazzo di luce 2 . E’ la vita che si scioglie e si rinnova sempre nell’istante in cui la luce vince la notte e avvolge l’alba. Non si può definire la vita avverte il poeta, è più semplice accoglierla nel suo farsi, da alba a tramonto e ancora alba, nel suo palesarsi tra gioia e difficoltà, alla ricerca di un senso.
Nel tempo dell’attesa pasquale, nei tempi profetici della fine e del dolore, della resurrezione e della salvezza della vita viene da pensare a quanti modi e visioni questi istanti di mistero e salvezza sono stati pensati, immaginati e rappresentati dagli artisti.
Studio d’arte e creazione
Siamo in Pinacoteca Albertina, un museo particolare sorto come raccolta funzionale allo studio dell’Accademia Albertina di Torino. La finalità didattica ed educativa per gli artisti frequentanti, presente già dalle sue origini, è mostrata dalle opere della quadreria dell’arcivescovo Mossi di Morano, composta da oltre duecento dipinti tra Quattrocento e Settecento, e dalla collezione dei 59 disegni “cartoni gaudenziani”, cinquecenteschi, offerta da Carlo Alberto. Entrambe le raccolte furono donate per finalità di studio ed educazione artistica.
Proprio allo studio delle forme e delle emozioni nella rappresentazione del dolore, della morte, dell’attesa della resurrezione guardiamo tra le opere esposte, accompagnati da Enrico Zanellati, conservatore della Pinacoteca.
Dipingere il corpo, rappresentare la vita e la morte
INTERVISTA A ENRICO ZANELLATI, CONSERVATORE DELLA PINACOTECA ALBERTINA
D. In molti dipinti raffiguranti la deposizione di Cristo il realismo del corpo segnato dalla morte e la coralità delle figure sbigottite e impotenti, che attorniano il cadavere, trasmettono l’emozione dell’assenza, della fine e ci interrogano. Qui in Pinacoteca puoi presentarci un esempio significativo?
R. Nella ricca collezione di Arte Sacra della Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti vorrei puntare in particolare l’attenzione sulla meravigliosa Deposizione nel sepolcro dipinta negli anni Quaranta del Cinquecento da Maarten van Heemskerck, pittore olandese che, a seguito di un viaggio a Roma tra il 1532 e il 1536, contribuì a diffondere il linguaggio del Rinascimento nei Paesi Bassi. Nelle sue opere convivono alcune caratteristiche della pittura italiana con altre tipicamente nord europee.
Il taglio del dipinto, concentrato sulla figura di Cristo come nelle opere di Mantegna o di Bellini, è da considerare il risultato di una elaborazione di modelli italiani, che già si confrontano con la fisicità dell’arte di Michelangelo, soprattutto nel corpo di Gesù deposto. I personaggi sono sospinti verso il primo piano e ci appaiono con tutta la loro drammaticità, come se anche noi spettatori ci trovassimo in posizione ravvicinata a Cristo, all’interno della tomba.
Sono invece di derivazione fiamminga, o comunque nord europea, altre caratteristiche salienti dell’opera: la drammaticità della scena, sottolineata dalle diverse espressioni di dolore sui volti, e l’attenzione al dettaglio nella descrizione degli oggetti. In particolare hanno un forte valore simbolico, in basso a destra, i tre chiodi utilizzati per la crocifissione e, lì accanto, il vaso degli unguenti che Maria Maddalena sembra aver appena appoggiato a lato del sepolcro, per preparare il corpo di Cristo alla sepoltura. Commovente la delicatezza con la quale la Maddalena regge la mano di Gesù e, mettendo il dito nella sua piaga, sembra anticipare i temi del riconoscimento del corpo risorto al mattino di Pasqua. Dal lato opposto la mano di Maria trattiene con forza l’altro braccio. La Madre e il Figlio, anche per il pallore dei loro visi, sembrano un unico corpo, trasfigurato dalla sofferenza ma ancora unito dall’amore.
D. In questo luogo che è non solo di conservazione ed esposizione, ma storicamente di studio dell’arte, quale relazione scorgi tra la rappresentazione della morte di Cristo nelle opere della Pinacoteca e quelle degli artisti contemporanei dell’Accademia sullo stesso soggetto?
R. L’Albertina non è solo storia, ma anche e soprattutto produzione contemporanea! Alcune significative opere di arte sacra sono state realizzate recentemente, ad opera degli allievi dell’Accademia di Belle Arti. Una delle più significative è l’Ecce homo dipinto a olio su tela da Gabriele Domenico Casu, un promettente giovane artista nato a Chieri nel 1997 3 .
Reinterpretando l’ottocentesco Cristo deriso di Carl Heinrich Bloch, Casu ha dipinto nel 2022 un Ecce homo in cui gli occhi del Redentore continuano a essere colmi di sofferenza e il manto rosso è il presagio del sangue che verrà versato; ma della nuova tela colpisce soprattutto lo sfondo, immateriale e oscuro. Scrive l’artista: “tutto è velato dal bianco: è il tempo che passa e che intacca la materia pittorica, è metafora del decadimento fisico, è velo che ottenebra le memorie e che frammenta un corpo, un’immagine; è la fragilità. La pittura si fonde con la fotografia: come i dagherrotipi corrotti dal tempo, la memoria di questo corpo si modifica nelle epoche. In alcuni casi arricchendosi di significato, in altri perdendolo. Una cosa per me è certa: la sua esperienza nel dolore è così distante da noi, eppure così vicina”.
Può essere interessante confrontare l’Ecce homo di Gabriele Domenico Casu con un’altra piccola tavola rinascimentale della Pinacoteca Albertina, che ancora impressiona per l’attenzione al dettaglio, tipica della pittura fiamminga. Si tratta del Salvator mundi attribuito a Quentin Metsys (Lovanio 1466 – Anversa 1530).
È l’immagine gloriosa di Cristo benedicente, come gli antichi Pantocrator bizantini, che regge con la mano sinistra l’orbe terreste, sormontato dalla croce e pieno delle forme e dei colori della natura. La veste continua a essere rossa, ma è ora un prezioso piviale, che sulla spilla centrale ha incisa la creazione di Adamo e di Eva.
Il Gesù sofferente e il Cristo della gloria, a raccontare l’unicum della fede cristiana, capace di riconoscere nell’Ecce homo il Salvator mundi, nel dono d’amore del crocefisso il volto autentico del divino.
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Il tempo di attesa pasquale
Lo studio del corpo, nell’esposizione dell’Ecce homo, nelle forme della morte di Cristo, del dolore nel compianto tra i partecipanti alla scena è esercizio attraverso l’arte che coglie il tempo della cesura tra vita e morte. Nello studio del corpo e nella rappresentazione della scena c’è la sofferenza e il dubbio nell’identità di Gesù esposto, la relazione tra il dolore e la morte, per scrutare il mistero della fine umana e la salvezza che dà senso a quella fine.
Rappresentato dal disegno e dalla pittura, il tempo dell’attesa è contenuto nei versi di David Maria Turoldo. Il poeta guarda al Venerdì, alla Croce e scruta la ragione di una fede che si radica in quell’assenza, nella drammaticità del nulla del momento di dolore e morte che prelude la Pasqua. Il tempo che scuote i grandi interrogativi, perché il male, perché il dolore innocente, perché la sofferenza?
Il Venerdì Santo è il momento che contiene in sé tutta la sofferenza del mondo e dischiude la ragione della speranza. L’umanità fragile, caduca, limitata. Un buio totale, un vuoto, uno smarrimento che si comprende solo alla luce della Resurrezione.
Dov’è la bellezza nel dolore, nella morte? Tra la fragilità del corpo e lo spirito che vince e salva, l’assenza insuperabile e la speranza, il dolore e la trascendenza.
“Quando non una eco/risponde/al suo grido/e a stento il Nulla/dà forma/alla Tua assenza» 4.
E’ il tempo fertile dell’attesa e del senso della Pasqua.
1 DAVID MARIA TUROLDO, Il grande Male, Mondadori, 1992
2 DAVID MARIA TUROLDO (1916-1992) fu presbitero, teologo, filosofo, scrittore e poeta
3 GABRIELE DOMENICO CASU (Chieri, 1997) si è diplomato in Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Ha presentato le sue opere in differenti mostre: “Passione Bi-polare” 2019 alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, “Rodello Arte” 2021, Vulnerabilis 2021 presso il Polo Teologico di Torino, “volti nel Volto” 2022 alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina, in collaborazione con la Fondazione Carlo Acutis.
4 DAVID MARIA TUROLDO, A stento il nulla, in Canti ultimi (Garzanti 1991). “No, credere a Pasqua non e’/giusta fede:/troppo bello sei a Pasqua!/Fede vera/e’ al Venerdi’ Santo/quando Tu non c’eri lassu’./Quando non una eco/risponde/al suo grido/e a stento il Nulla/da’ forma/alla Tua assenza.”
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