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Si avanza nella ricerca sull’Alzheimer: confermato il ruolo del microbiota intestinale Una scoperta dell'Università di Ginevra, di Genova e di un team di ricercatori da atenei e istituti italiani.

21 Novembre 2020

Esiste una correlazione tra certe proteine del microbiota intestinale e le placche amiloidi nel cervello presenti nella patologia dell’Alzeihmer dovuto ad un fenomeno infiammatorio nel sangue. Una scoperta importante perché spiega la causa dell’Alzeihmer. Da tempo la comunità scientifica comprende il ruolo che il microbiota intestinale ha nello sviluppo della malattia neurodegenerativa e l’equipe di ricerca dell’Università di Genova e dell’Università di Ginevra (Hug) con la collaborazione di un nutrito gruppo di professionisti, provenienti da istituti di ricerca e università italiane, è riuscita a confermare tale ipotesi.

Lo studio è pubblicato sulla rivista «Journal of Alzheimer’s Disease», Short-Chain Fatty Acids and Lipopolysaccharide as Mediators Between Gut Dysbiosis and Amyloid Pathology in Alzheimer’s Disease (10 novembre 2020). È stato effettuato su una coorte di 89 persone tra 65 e 85 anni, di cui alcuni affetti da Alzheimer o altre patologie neurodegenerative che comportavano difficoltà di memoria e altri che non riportavano alcun problema. «Con la diagnostica per immagini Pet abbiamo misurato il deposito di amiloide e quantificata la presenza nel loro sangue di diversi marcatori infiammatori e di proteine prodotte dai batteri intestinali come lipopolisaccaridi e acidi grassi a catena corta», spiega la ricercatrice Moira Marazzoni del Centro del Fatebenefratelli di Brescia e prima autrice dello studio pubblicato, nell’annuncio dell’Università di Ginevra. Infatti, aggiunge, alti livelli di lipopolisaccaridi e certi acidi grassi a catena corta (acetato e valerato) erano associati ad ampi depositi di amiloide nel cervello; contrariamente, alti livelli di un altro acido grasso a catena breve, butirrato, erano associati ad una patologia con meno amiloidi». I liposaccardi sono una proteina localizzata nella membrana dei batteri con proprietà infiammatorie ed è stata trovata nelle placche amiloide cerebrali. Alcuni acidi grassi a catena corta, prodotti dal microbiota intestinale, hanno invece proprietà neuroprotettive e anti infiammatoria e direttamente o indirettamente influenzano il funzionamento del cervello.

Aver potuto confermare l’ipotesi dell’infiammazione nel sangue come mediatore tra il microbiota e il cervello è importante perché apre la strada a potenziali strategie di protezione altamente innovative attraverso la somministrazione di un cocktail di batteri ad esempio o di prebiotici per alimentare i batteri “buoni” nel nostro intestino, afferma il neurologo Giovanni Frisoni, direttore del Centro di Memoria HUG e professore del Dipartimento di Riabilitazione e Geriatria dell’Università di Genova, che da anni è impegnato nello studio delle malattie neurodegenerative e dell’influenza che il microbiota intestinale può avere nel cervello. Ma occorre anche precisare che bisogna essere cauti. Frisoni infatti spiega che «un effetto neuroprotettivo potrebbe essere efficace solo ad uno stadio molto precoce della malattia con una visione alla prevenzione piuttosto che alla terapia. La sfida attuale è poter avere una diagnosi precoce con cui gestire la malattia.

Redazione Bioetica News Torino
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