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65 Gennaio 2020
Bioetica News Torino Gennaio 2020

Riflessioni a margine della recente sentenza sulla canapa della Corte di Cassazione Penale, a Sezioni Unite La Corte ha statuito che una piccola coltivazione domestica di canapa non è reato

Con la sentenza dello scorso 19 dicembre 2019 la Corte di Cassazione Penale, a Sezioni Unite, ha statuito che la coltivazione domestica di canapa non è reato quando non è concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato. Avv. Maurizio CARDACIAvv. Maurizio CARDACI © BNT
Le motivazioni del provvedimento – che, con tutta probabilità, rinfocolerà la polemica tra antiproibizionisti e proibizionisti – non sono note al momento della stesura di questo breve articolo, in quanto la sentenza per esteso non risulta ancora pubblicata. Nondimeno l’Ufficio Stampa della Corte ha diramato l’informazione provvisoria n. 27, con la quale anticipa la sintesi della motivazione.
Considerata la relativa brevità della stessa, qui di seguito si trascrive per intero:

Questione controversa:

«Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato.»

Soluzione adottata:

«Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.»

Riferimenti normativi:

D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, artt. 26, 27, 28, 73, 75.

* Giova subito evidenziare, per i non addetti, due aspetti di carattere generale: il primo, che la Corte di Cassazione, tra le attribuzioni che le conferisce la legge (articolo 65 dell’Ordinamento Giudiziario) svolge la funzione c.d. nomofilattica, che consiste nell’assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale; il secondo, che, essendo la Corte di Cassazione suddivisa, al suo interno, in sezioni, le sentenze sono, di norma, emesse dalle singole sezioni ma, quando occorre risolvere un contrasto giurisprudenziale sorto dalla diversa statuizione delle sezioni singole su casi analoghi, ovvero quando occorre decidere questioni di speciale importanza, la Corte decide a Sezioni Unite.
In pratica, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è la massima autorità giudicante e detta principi ai quali tutti i giudici, di legittimità e di merito, si devono uniformare e, se intendono discostarsene, devono indicare le ragioni del dissenso.
Nel caso in esame la Corte di Cassazione ha stabilito che non è configurabile il reato di coltivazione di stupefacenti quando la coltivazione è: in forma domestica; di minime dimensioni; il  modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile appare destinato all’uso esclusivo del coltivatore; e tale principio deve essere osservato quando ricorrono casi analoghi.
* La canapa, o cannabis, secondo la definizione latina, è una pianta che può raggiungere i sei metri d’altezza diffusa in Occidente, prima in Asia ed Europa, poi, secondo i più, dopo la scoperta dell’America, anche colà.
Non c’è accordo tra i botanici nella classificazione delle varie specie, o sottospecie, di cannabis; l’orientamento prevalente è quello di riconoscere una sola specie (cannabis sativa) a cui sarebbero ricondotte due sottospecie o varietà: cannabis indica, cannabis ruderalis.
Conosciuta sin dall’antichità, addirittura dal Neolitico, dalla canapa si ricavavano, principalmente, fibre per tessuti, vele, sartiame, cordame in genere nonché fibre per la fabbricazione della carta.
La canapa contiene circa sessanta componenti attivi, tra cui i più importanti sono il chemiotipo CBD (cannabidiolo) ed il chemiotipo THC (tetraidrocannabinolo) e, quando ha un alto contenuto di quest’ultimo chemiotipo, è uno stupefacente psicoattivo.
I derivati della canapa a contenuto drogante si presentano sotto diverse forme: foglie essiccate e infiorescenza (marijuana), resina (hashish), olio.
* La disciplina degli stupefacenti è contenuta nel Testo Unico 9 ottobre 1990, n.309 (Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, nonché prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza); ad esso sono allegate cinque tabelle nelle quali sono elencate le sostanze stupefacenti o psicotrope, tanto di origine naturale che chimica, nonché i medicinali che contengono sostanze stupefacenti o psicotrope. Tali tabelle sono aggiornate periodicamente dal Ministero della Sanità e, all’atto pratico, soccorrono nell’applicazione delle norme sanzionatorie contenute nello stesso Testo Unico.
La canapa, con i suoi derivati, è inserita nella tabella II, come sostanza stupefacente di origine naturale (vegetale).
A norma dell’articolo 26 del Testo Unico sugli stupefacenti la coltivazione della canapa è vietata nel territorio dello Stato, con la sola eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o di altri usi industriali o per scopi scientifici, sperimentali o didattici.
La coltivazione della canapa (Sativa L) per uso industriale è regolata dalla Legge 2 dicembre 2016 n. 242 (Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa), che costituisce un sistema normativo a se stante, autonomo ed indipendente da quello del Testo Unico sugli stupefacenti. Si tratta infatti di una canapa dal basso contenuto di THC, ammesso in uno spettro tra lo 0,2% e lo 0,6% fuori dell’ambito applicativo del detto Testo Unico.
* Dallo scarno comunicato della Corte di Cassazione sembra di capire che essa abbia attenuato la tassatività del divieto di coltivazione della canapa, diversa dalla canapa Sativa L, contenuto nella  norma dell’articolo 26 facendo leva sul concetto che la modestia e l’inadeguatezza della coltivazione non consentano la produzione di sostanza drogante in quantità sufficiente, se non per esclusivo uso personale, senza la possibilità di «inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti» (ovverossia, spaccio).
Considerato che le stesse Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con la recente sentenza del 10 luglio 2019, n. 30475 hanno definitivamente sancito il divieto di vendita della cosiddetta cannabis light, ossia i derivati della cannabis sativa L, consentita dalla L. 242/2016, il quadro che emerge è il seguente: si può coltivare la canapa sul balcone di casa, anche se ha un contenuto di THC a potere drogante, ma non si può comprare in negozio la canapa light.
L’antinomia è superata considerando che la sentenza della Cass. 30475/2019 proibisce la commercializzazione di qualunque tipo di canapa, a prescindere dal quantitativo di THC presente,  mentre la Cass. della comunicazione provvisoria n.27 si concentra sull’uso personale della coltivazione, che non può essere assoggettata a pene, proprio perchè compatibile soltanto con un uso squisitamente personale.
*La Corte di Cassazione sta consolidando l’indirizzo secondo cui esiste uno spazio di libertà per il singolo nel quale lo stesso può fare le scelte che meglio ritiene, senza dover rendere conto e senza responsabilità penale, a condizione che non nuoccia ai terzi (il mercato degli stupefacenti).
Toccherà alla bioetica il compito di riflettere su tale apertura. 


Note

Art. 26. Coltivazioni e produzioni vietate

1. Salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’articolo 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea. (1)
2. Il Ministro della sanità può autorizzare istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali di ricerca, alla coltivazione delle piante sopra indicate per scopi scientifici, sperimentali o didattici.
Art. 27. Autorizzazione alla coltivazione
1. La richiesta di autorizzazione alla coltivazione, avanzata dai soggetti di cui agli articoli 16 e 17 del presente testo unico deve contenere il nome del richiedente coltivatore responsabile, l’indicazione del luogo, delle particelle catastali e della superficie di terreno sulla quale sarà effettuata la coltivazione, nonché  la specie di coltivazione e i prodotti che si intende ottenere. Il richiedente deve indicare l’esatta ubicazione dei locali destinati alla custodia dei prodotti ottenuti.
2. Sia la richiesta che l’eventuale decreto ministeriale di autorizzazione sono trasmessi alla competente unità sanitaria locale e agli organi di cui all’articolo 29 ai quali spetta l’esercizio della vigilanza e del controllo di tutte le fasi della coltivazione fino all’avvenuta cessione del prodotto.
3. L’autorizzazione è valida oltre che per la coltivazione, anche per la raccolta, la detenzione e la vendita dei prodotti ottenuti, da effettuarsi esclusivamente alle ditte titolari di autorizzazione per la fabbricazione e l’impiego di sostanze stupefacenti.
Art. 28. Sanzioni
1. Chiunque, senza essere autorizzato, coltiva le piante indicate nell’articolo 26, è assoggettato a sanzioni penali ed amministrative stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stesse.
2. Chiunque non osserva le prescrizioni e le garanzie cui l’autorizzazione è subordinata, è soggetto, salvo che il fatto costituisca reato, alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000. (1)
3. In ogni caso le piante illegalmente coltivate sono sequestrate e confiscate. Si applicano le disposizioni dell’articolo 86.

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