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85 Febbraio 2022
Bioetica News Torino Verso un'ecologia integrale e dossier obbligo vaccinale Covid-19

RICEVIAMO e PUBBLICHIAMO. Capacità giuridica universale e “supported decision-making”

Abstract

Muovendo dalla pluralità dei contesti normativi che accolgono la categoria giuridica della capacità, l’Autore affronta i problemi pratici che si incontrano quando la si voglia esplorare sul piano clinico entrando poi nel merito dei contenuti dell’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili per provare a dare un primo perimetro al supporto decisionale. Così valorizzando il ruolo di "proxy" esercitato dalla rete familiare/amicale oltre a quello del fiduciario e le opzioni pratiche realmente offerte dalla pianificazione condivisa della cura

I. Introduzione

La libertà di scelta e, con essa, la capacità della persona di prendere una decisione libera e consapevole sono ambiti tematici con i quali occorre confrontarsi ogni qual volta la (presunta) linearità del binarismo capacità/incapacità dimostra la sua perniciosa artificiosità1 e la sua debolezza costitutiva.

Essendo giunto il tempo di abbandonare la presunzione (iscritta nella vulgata del consenso informato) riconoscendo che la persona pienamente signora di sé non è la regola ma l’eccezione2 riconoscendo, al contempo, gli influssi, le interferenze ed i condizionamenti esercitati su ogni decisione umana dai centri regolatori dell’affettività, dell’empatia e delle emozioni oltre che dalla nostra stessa identità biografica.

Da qui l’idea che l’attuale approccio binario alla capacità è un approccio sotto-inclusivo perché non offre nessun aiuto a coloro che sono quasi-capaci e, allo stesso tempo, troppo-inclusivo escludendo aprioristicamente tutte quelle persone che, nonostante la pur dichiarata incapacità, sono ancora in grado di esprimere le loro preferenze e di compiere scelte personali autonome.

In queste situazioni, davvero frequenti nella pratica clinica, per molto tempo ci si è lasciati abbagliare dalla categorizzazione giuridica dominante e dall’illusione di poter contare su di una metodica standardizzata in grado di disambiguare la capacità della persona di prendere una decisione giuridicamente valida (libera e pienamente informata) nonostante i più recenti studi scientifici abbiano confermato  l’insufficienza del modello cognitivo delle metodiche più accreditate (della MacCAT-T3) e la dubbia validità del loro fondamentale teorico che sarebbe discriminatorio invitando a disattendere scelte individuali perché socialmente inaccettabili4; ammettendo – di conseguenza – che non esistono strumenti, interviste strutturate  e/o semi-strutturate e frames neuro-testistici validati a livello internazionale in grado di esplorarla a fondo e che, in questo campo, esiste, tra i clinici, un’ampia soggettività5 condizionata, in qualche caso, da veri e propri bias cognitivi.

Purtroppo rinforzati da discutibili scelte normative e dai (nefasti) condizionamenti esercitati dalla pregnanza giuridica data al consenso informato in tutte le ipotesi di presunta malpractice  perché la volontà della persona non può mai essere un salvagente cui aggrapparsi per escludere le nostre umane responsabilità pur anche ammettendo che essa possa rilevare ai fini dell’addebito giuridico.

II. Il quadro generale dettato, per le persone incapaci, dalla legge n. 219/2017

In breve sintesi, il quadro generale che emerge dalla norma è il seguente6:

  • a) nel caso del minore la decisione di cura è rimessa a chi esercita la responsabilità genitoriale, tenuto comunque conto della volontà del minore medesimo che è stato così marginalizzato rispetto a quanto previsto dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo approvata nel 1989;
  • b) per l’interdetto, affidato alla sostituzione vicaria del tutore, le decisioni di cura spettano sempre a questa figura di rappresentanza giuridica sentito, ove possibile, l’interdetto, avendo come unico scopo  il suo best interest (la tutela della vita e della salute del beneficiario) sia pur con la precisazione che ciò deve avvenire nel pieno rispetto della sua dignità;
  • c) per l’inabilitato il consenso o il dissenso informato viene di regola espresso dal diretto interessato quando la sua parziale incapacità non gli impedisca di manifestare la sua volontà consapevole in ordine alle scelte di cura;
  • d) nel caso dell’amministrazione di sostegno, la volontà di accettare o di rifiutare le cure è, infine, espressa dal diretto interessato anche se, laddove l’amministratore di sostegno abbia nel decreto di nomina ricevuto l’incarico  di  provvedere  alla  tutela della sua  salute, il  consenso  deve  essere espresso anche da questa figura di rappresentanza giuridica tenendo comunque conto della volontà del beneficiario stesso.  Laddove poi emerga una divergenza tra la scelta professionale e quella dell’amministratore di sostegno, la norma rinvia la decisione finale alla giurisdizione (al Giudice tutelare) con una inopportunità  che alla fine di tutto delegittima la posizione di garanzia  in capo al medico lungo l’asse portante della teoria del contatto sociale enunciata dalla Corte di cassazione (a partire dalla sent. n. 589 del 22 gennaio 1999)7.

Perché, se può essere da un lato comprensibile che il medico non debba essere lasciato da solo nelle vertenze prodotte dalla difformità di vedute riguardo alle scelte clinico-assistenziali (anche astensive) comunque necessarie ed appropriate, affidare la loro soluzione al Giudice tutelare significa non ammettere la funzione di garanzia pubblica pur ricoperta dal medico trasformandolo in un generico impiegato, delegittimato dal suo ruolo e privato della sua più autentica responsabilità.

La legge n. 219/2017 conferma, così, il ruolo portante degli istituti di rappresentanza giuridica dell’incapace e la necessità del suo etero-controllo a guida esterna condizionato, nella sua intensità, dalla gravità del vizio di mente alla base dell’interdizione e dell’inabilitazione e/o dell’impossibilità (anche temporanea) di provvedere autonomamente ai propri interessi di cui parla, invece, la legge sull’amministrazione di sostegno. Confermando che la libertà di cura dell’incapace è un diritto ampiamente condizionato8 e non già una libertà personalissima.

È così che la legge n. 219/2017, pur dimostrando consapevolezza sul fatto che le condizioni cliniche del paziente siano difficilmente standardizzabili (art. 1, co 4), subordina la validità del consenso alla capacità di agire (art. 1, co 5) considerata non già come un’attitudine della persona ma come la possibilità concreta di compiere atti giuridici mediante i quali si acquisiscono diritti e si assumono doveri9 (art. 2 c.c.); essendo essa  condizionata dal raggiungimento della maggiore età e dalla capacità di discernimento, di comprensione e di decisione (art. 3, co 1) o, per dirla in coerenza al cifrario dell’archeologia giuridica, con la capacità di intendere e volere (art. 4, co 1).

Capacità di agire, maggiore età, capacità di discernimento, capacità di comprensione, capacità di decisione, grado di maturità, capacità di intendere e di volere e incapacità sono così le locuzioni che si alternano in maniera confusa e, spesso, incoerente (per non dire arbitraria) nella legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento la cui gergalità è arcaica, discutibile e spesso elusiva anche se l’intenzione del legislatore appare del tutto chiara: lasciare la questione del consenso alle cure all’interno dei rapporti giuridici privatistici/negoziali, senza dare diritto di cittadinanza a quei modelli comparativi che ritengono il consenso una scelta dal carattere prioritariamente morale che non può essere mai separata dai nostri telai biografici, dai nostri valori di riferimento, dal nostro sentire, dal senso che diamo alle nostre vite, da ciò che siamo e dal ricordo che vogliamo anche lasciare dopo di noi.  

III. La Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili e la capacità giuridica universale

Con l’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 18 approvata il 3 marzo 2009 che ne ha recepito anche il Protocollo opzionale, il modello della rappresentanza giuridica degli incapaci è venuto meno anche se il diritto vivente si si è dimostrato riluttante ad adeguarsi a questa straordinaria metamorfosi trasformativa. È l’art. 12 (Eguale riconoscimento davanti alla legge) di questa Convenzione che ne parla precisando che la legal capacity è un diritto umano universale, che questa libertà non può essere discriminata a causa di una qualsiasi disabilità e che gli Stati parte sono tenuti ad adottare le misure necessarie a favorire l’accesso delle persone con disabilità al sostegno da esse richiesto per l’esercizio della loro capacità.

Indicando, tra l’altro,  le caratteristiche formali e informali delle misure che devono essere messe in campo rispettando le esigenze della persona, i suoi diritti, volontà e preferenze, essere applicate per il tempo strettamente necessario evitando gli abusi e le influenze indebite; riconoscendo il diritto delle persone con disabilità di avere il controllo sui propri affari finanziari e prevedendo espressamente che le stesse possano redigere il loro testamento e ricevere per testamento, avere accesso alle forme di credito e conservare il diritto di proprietà.

Riflettendo sui primi commi dell’art. 12 della Convenzione  ONU occorre osservare che essa riprende contenuti già presenti nel diritto internazionale e presenti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, nel Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 e nella Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1981: confermando così,  il divieto generale di discriminare le persone disabili nell’esercizio dei loro diritti e libertà.

Il vero e proprio cambio di prospettiva si coglie, invece, riflettendo sui contenuti del terzo comma dell’art. 12 della Convenzione nella parte in cui si richiama l’esigenza di supportare la persona disabile quando la stessa deve assumere una decisione sì da esercitare un controllo reale sulla propria esistenza a partire dalla scelta del soggetto deputato a prestare il supporto e delle modalità con le quali questo supporto decisionale deve essere fornito10.

Qui sta il vero e proprio salto di prospettica di questa Convenzione internazionale perché la sostituzione vicaria della persona disabile dovrà cedere il passo al suo supporto ogni qual volta la persona medesima debba prendere una decisione. Anche se la nostra legislazione interna sembra non essersi accorta di ciò proseguendo, come si è fatto nella legge n. 219/2017, sulla vecchia strada della sostituzione vicaria non ammessa dalla Convenzione e dall’organismo incaricato di vigilare sulla sua applicazione (il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità) che ha proposto un’interpretazione particolarmente radicale dell’art. 12.

Anche se ciò ha suscitato dubbi e perplessità essendo stato evidenziato che i meccanismi di tutela sono giustificati dall’esigenza di garantire la protezione delle persone con disabilità nelle scelte che possono comportare l’autolesionismo o lo sfruttamento da parte di altri, che l’eliminazione della tutela giuridica potrebbe finire per ferire le stesse persone che pretende di aiutare11 rischiando di annullare le vittorie conquistate a fatica12 ed evidenziando che il non dirigere la persona dall’esterno per il tramite di una figura di rappresentanza giuridica avrebbe molte contro-indicazioni, soprattutto nelle situazioni cliniche particolarmente gravi quali, ad es., la sindrome lock-in, lo stato vegetativo  o la demenza giunta nella sua traiettoria terminale13.

IV. Supported decision-making

Nel primo General comments della Convenzione ONU datato 11 aprile 2014,  il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha fornito chiarimenti sull’interpretazione dell’art.12 della Convenzione e lo ha fatto sulla base dei periodici rapporti presentati dagli Stati parte osservando la sostanziale esclusione della persona disabile nei processi decisionali che la riguardano.

In questa decisa presa di posizione il Comitato rileva come la disabilità mentale sia, purtroppo, ancora considerata un motivo per negare l’autonomia della persona nelle scelte di vita dando atto del come, per questa ragione, le persone disabili siano ancora discriminate nell’esercizio dei loro diritti e libertà fondamentali contrariamente a quanto previsto dalla Convenzione ONU.

Evidenziando che gli «State parties have an obligation to respect, protect and fulfil the right of persons with all disabilities to equal recognition before the law» e che «in this regard, State parties should refrain from any action that deprives persons with disabilities of the right to equal recognition before the law»   e che gli stessi dovrebbero cosi farsi parte attiva per scongiurare il pericolo che  «non-State actors and private persons from interfering in the ability of persons with disabilities to realize and enjoy their human rights, including the right to legal capacity» . Osserva, al riguardo, il Comitato che  la «legal capacity and mental capacity are distinct concepts».14

La prima «is the ability to hold rights and duties (legal standing) and to exercise these rights and duties (legal agency)» e «the key to accessing meaningful participation in society»; mentre la seconda «refers to the decision-making skills of a person, which naturally vary from one person to another and may be different for a given person depending on many factors, including environmental and social factors» con la precisazione che «under article 12 of the Convention, perceived or actual deficits in mental capacity must not be used as justification for denying legal capacity»: una precisazione di straordinario interesse in ragione della quale non si può più mettere in discussione la capacità giuridica della persona sulla base dell’esistenza di una presunta o accertata incapacità mentale.

Da qui l’illegittimità di tutti quei provvedimenti normativi in cui:

  • a) la capacità giuridica della persona è privata o anche ridotta;
  • b) un rappresentante legale può essere nominato contro la volontà della persona;
  • c) il decisore sceglie sulla base del criterio di un interesse superiore (il best interest) senza tener conto della volontà del diretto interessato e delle sue preferenze personali.

Conseguentemente, prosegue il Comitato,  gli Stati parti sono tenuti a rivedere le leggi che consentono la tutela e l’amministrazione fiduciaria e sostituire tutti gli istituti di rappresentanza giuridica15 con un processo decisionale assistito che deve onorare questi presupposti:

  1. i diritti e le preferenze della persona devono essere sempre rispettati;
  2. le misure di sostegno devono essere proporzionate ai bisogni della persona ed essere disponibili per tutti indipendentemente dal reddito e dalla gravità della disabilità;
  1. i diritti e le preferenze della persona devono essere sempre rispettati;
  2. le misure di sostegno devono essere proporzionate ai bisogni della persona ed essere disponibili per tutti indipendentemente dal reddito e dalla gravità della disabilità;
  3. le stesse non devono essere subordinate alla valutazione delle capacità mentali della persona;
  4. esse devono essere comunque volontarie e salvaguardare la persona difendendola dai pur sempre possibili abusi. Relativamente a quest’ultimo aspetto, il Comitato evidenzia che solo laddove, dopo significativi tentativi, la persona esprime personalmente la sua decisione, questa deve essere comunque presa sulla base della migliore interpretazione della sua volontà e delle sue preferenze. A sottolineare che chi ha la responsabilità del supporto deve ricostruire i desideri della persona sulla base del suo compasso biografico, delle dichiarazioni precedenti e degli elementi contestuali per poi sintetizzarli, con un ragionamento logico/presuntivo, in modo da assumere la decisione il più vicino possibile a quella della persona.

V. Conclusioni

L’ampiezza della rottura operata dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili nella presa di distanza dal vecchio paradigma degli incapaci ci costringe a riflettere sul chi e sul come si dovrebbe oggi supportare la persona in ogni decisione di cura.

Con tutta una serie di interrogativi che, naturalmente, non valgono per le sole persone con una ridotta decision making ma per tutti coloro che devono assumere una decisione di cura non essendo più legittima la distinzione tra i capaci e gli incapaci che si oppone a quanto previsto dalla Convenzione ONU. La regola generale che ne deriva è che tutte le persone debbono essere supportate nelle decisioni di cura anche se, naturalmente, la gradualità del supporto può e deve essere modulata non tanto in relazione alla situazione cognitiva della persona medesima ma a seconda della gravosità della decisione e delle specifiche circostanze.

Riguardo a chi deve fornire il sostegno decisionale nelle decisioni di cura, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, nel più volte richiamato parere, afferma che gli accordi di supporto possono essere sia informali che formali. I primi, affidati di regola ai proxy della persona, hanno il vantaggio di essere relativamente semplici, poco costosi e di coinvolgere protagonisti con cui la persona ha già un rapporto familiare, amicale o affettivo; quelli formali comportano, invece, la nomina, attraverso un atto formale, di una persona terza anche indipendente  che può benissimo essere il fiduciario introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 219/2017 anche se la sua individuazione è – come sappiamo – un’opzione attribuita (senza particolari formalità) alla persona  medesima e non un obbligo sia quando la stessa deposita la sua dichiarazione anticipata di trattamento sia anche nella pianificazione condivisa della cura.

Dovendosi sottolineare l’esigenza di individuarlo, soprattutto nella advance care planning, sempre, dopo aver fornito alla persona la più idonea informazione su quali sono i reali e concreti vantaggi di questa scelta e quale sarà il ruolo di chi è stato a ciò individuato. Che non è certo quello di etero-guidare o di vicariare la persona nelle scelte di cura ma quello di supportarla, di sostenerla, di aiutarla e di coadiuvarla, quando necessario, in tutti i processi decisionali. Dando ad essa voce quando la persona non sarà più in grado di poterla esprimere soprattutto in quelle davvero marginalissime situazioni precisate dalla legge sul consenso informato e nelle quali il medico può dissociarsi da una volontà in precedenza formalizzata: ipotesi davvero residuale perché la pianificazione condivisa delle cure è un processo graduale, progressivo e soprattutto condiviso che deve essere costantemente sottoposto a verifica.

Con la conseguenza che, in questa particolarissima situazione, è davvero aleatorio ipotizzare l’emergere di scelte di cura o opzioni terapeutiche non previste nel momento della sua formalizzazione. Pur dovendo sottolineare l’esigenza che il fiduciario sia adeguatamente formato e sostenuto nel suo ruolo per non concentrare su di esso il peso dei biases cognitivi, affettivi ed emozionali che sempre esistono quando si voglia ridar voce alla persona che non ha più voce senza la pretesa di interpretare, in prospettiva paternalistica, il suo best interest sia pur sulla base del più comune sentire morale, come indicato dall’art. 12 della Convenzione ONU.  Dato che il miglior interesse risponde, spesso, ad una logica di tipo paternalistico che non si adatta certo al nuovo paradigma della capacità legale universale introdotto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili.

Nel supporto decisionale ciò che più conta è, tuttavia, il non interferire l’autonomia della persona scegliendo opportunamente gli argomenti, il modo di presentare i problemi e scandendo prudentemente i tempi della comunicazione. Pur nella consapevolezza che ogni relazione comunicativa non può mai essere neutrale e che essa richiede un costante feedback per comprenderne l’avvenuta comprensione ed il come si dinamizza ogni compasso biografico ogni qual volta si debba assumere una decisione più o meno difficile. Tenuto sempre conto del fatto che la relazione di cura origina, spesso, dinamiche di dipendenza sulle quali occorre intervenire per contenere il più possibile le sue asimmetrie costitutive.  

Un’utilissima modalità per evitare ciò è il supporto offerto alla persona da una rete di protagonisti di modo che la loro azione combinata si possa opporre al rischio di interferire la scelta individuale sempre che, naturalmente, si convenga sull’esigenza di non vicariarla ma di supportarla privilegiando sempre, quando lo si può ancora fare, le opzioni offerte dalla pianificazione condivisa della cura. La quale, se continuamente aggiornata, riduce al minimo i dilemmi etici o quei dubbi interpretativi che sussistono ogni qual volta la persona esprime scelte in contrasto con la sua volontà anticipata.

Più ampia e complessa risulta essere la questione degli strumenti di supporto che possono essere messi in atto rispetto ai quali il Comitato, nel parere già richiamato, esprime qualche generale considerazione.  Il primo possibile mezzo di supporto decisionale consiste nel fornire informazioni accessibili e nell’esplicitare le informazioni in termini chiari, semplici e soprattutto comprensivi. Un’altra opportunità del sostegno decisionale è quello di utilizzare metodiche di comunicazione aumentativa o alternativa (CCA) non convenzionali soprattutto nel caso di persone che presentano problemi espressivi con soluzioni finalizzate a sostituire il linguaggio naturale o la scrittura e a capire o produrre linguaggio parlato o scritto.

Esse possono essere di due tipi:

  • a) quelle unaided (senza ausili) attinenti ad eventi comunicativi che non richiedono nessun strumento di supporto ma solo l’uso del corpo, attraverso espressioni facciali, gesti o con il linguaggio dei segni;
  • b) e quelle aided (con ausili) che necessitano di tecnologie inclusive che possono essere di bassa, media e alta tecnologia. Le soluzioni a bassa tecnologia sono quelle fornite da ausili che non hanno bisogno di energia elettrica, come per esempio le cosiddette tabelle di comunicazione che permettono alle persone di selezionare lettere, parole o simboli, a seconda delle loro limitazioni fisiche e cognitive. Soluzioni a media tecnologia sono quelle fornite da dispositivi elettronici di comunicazione che non richiedono l’uso o la connessione a un computer, come i Voice Output Communication Aids (VOCA) o tabelle di comunicazione composte da vari pulsanti collegati a un simbolo o ad un messaggio preregistrato di modo che, premendo il singolo pulsante, il sintetizzatore vocale legge la corrispondente parola o frase. Soluzioni ad alta tecnologia sono, infine, quelle che impiegano e integrano calcolatori, interfacce multimediali con acquisizione da fonti esterne e sintesi vocale16.

Attraverso questi strumenti tecnologici è oggi possibile supportare la persona nell’esprimere i propri desideri anche se essi non sono in grado di superare lo scoglio determinato dall’impossibilità della persona di comunicare. In questa situazione, la decisione dovrebbe essere presa sulla base della migliore interpretazione della volontà e preferenze senza percorrere la via paternalistica del best interest della persona disegnato nel perimetro del comune sentire morale.

Provando così a ricostruire i desideri della persona sulla base del suo comportamento, delle dichiarazioni precedenti, dei suoi valori, degli elementi contestuali o del ragionamento logico/presuntivo per individuare quella scelta il più vicino ragionevolmente possibile a ciò che la persona vorrebbe.

Note

1 Così VENCHIARUTTI A. (1993), Incapaci in diritto comparato, in Digesto delle discipline privatistiche, Torino. Si veda anche VISINTINI G. (1988), in CENDON P., (a cura di), Un altro diritto per il malato di mente, Napoli

2 Così CALDERAI V. (2015), Consenso informato, in Enciclopedia del Diritto, Annali VIII, Milano

3 Si tratta di uno strumento di indagine, particolarmente diffuso negli Stati Uniti d’America, proposto negli anni ’90 del secolo scorso ma non ancora validato in Italia, usato per la valutazione della capacità decisionale nel consenso alle cure. Per la sua descrizione, con i domini cognitivi esplorati realizzando un’intervista semi-strutturata, rinvio all’ampia monografia di GRISSO T. e APPELBAUM PS. (1998), Assessing competence to consent treatment. A guide for physician and other health professionals, New York

4 Così KEIS M., (2009) Legal capacity law reform in Europe: an urgent challenge, European Yearbook of Disability Law, Leiden

5 Cfr. GILBERT T. et al., Assessing capacity to consent for research in cognitively impaired older patients, in «Clinic Interv. Aging», 6 settembre 2017: 12; 1553 e ss. i quali hanno evidenziato che il MacCAT-CR è attualmente il questionario più utilizzato e meglio convalidato. Tuttavia, sembra difficile da usare e richiede tempo. Uno strumento più recente, il Brief Assessment of Capacity to Consent (UBACC) dell’Università della California, sembra offrire prospettive interessanti per la pratica di routine a causa della sua semplicità, rilevanza e applicabilità nei pazienti più anziani

6 Si veda, al riguardo, ZOIA R. e CEMBRANI F. (2021), L’autonomia decisionale della persona, in (a cura di) CEMBRANI F., Diritto e medicina per le professioni sanitarie, Milano

7  Si veda la ricostruzione fatta, a questo riguardo, da MANTOVANI F.,  L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, di solidarietà, di libertà e responsabilità personale, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2001, 342 e ss.

8 Sul tema dei diritti personalissimi rinvio a STANZIONE MG., Gli atti di natura personale dell’interdetto, in www.comparazionedirittocivile.it, (ultimo accesso 9 novembre 2021) la quale ammette che «la cura della persona attiene soprattutto alle situazioni esistenziali, per le quali rileva il discernimento, la capacità di autodeterminarsi di volta in volta presente nell’individuo, di modo che a nulla giova invocare il dualismo capacità giuridica – capacità di agire, che tutt’al più conserva una sua valenza per situazioni di ordine patrimoniale». Condividendo il monito di Corte Cost., 19.1.2007, secondo cui «il legislatore non può sostituire arbitrariamente le proprie valutazioni e scelte sulla cura degli interessi delle persone a quelle operate dagli stessi interessati sulla base della propria personale e insindacabile scala di valori senza violare la dignità della persona e la relativa sfera di libertà giuridica riconosciuta e tutelata dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, non potendo il sacrificio di tale libertà essere legittimato semplicemente dal rischio di un pessimo uso della stessa».

9 Cosi FERRAJOLI L.(2007), Principia iuris, Teoria del diritto e della democrazia, Bari che la intende come l’idoneità ad essere autore di qualunque atto produttivo di effetti: giuridici:  non solo, quindi, degli atti negoziali, ma anche di tutti gli altri atti precettivi con cui vengono esercitati i diversi tipi di potere e perfino degli atti di adempimento e di quelli addirittura illeciti.

10 Così BERARDINI MG, op cit. supra. Sulla questione del support paradigm si veda anche KRISTIN BOOTH G., Changing Paradigms: Mental Capacity, Legal Capacity, in Guardianship and Beyond, 2012 (in www.columbia.edu: ultimo accesso 9 novembre 2021) la quale  contesta il «virulent medical model fueled by Social Darwinism» ricordandoci che, in accordo con questo modello,«persons with intellectual disabilities suffered from a hereditary, incurable disease that led to criminality, immorality or depraved behavior, and pauperism, all of which constituted an unacceptable drain on society. Hence this gave way to the rise of the eugenics movement, which led to prohibitions on marriage and procreation and the outright sterilization of tens of thousands of people with mental disabilities».

11 Cfr. APPELBAUM PS., Saving the UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities from itself, in «World Psichiatric» February 2019

12 Cfr. FREMANN MC et al., Reversing hard won victories in the name of human rights: a critique of the General Comment on Article 12 of the UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities, in «Lancet Psych», 2017 Apr: 4; 261 e ss.: «However, the General Comment on Article 12 of the CRPD threatens to undermine critical rights for persons with mental disabilities, including the enjoyment of the highest attainable standard of health, access to justice, the right to liberty, and the right to life. Stigma and discrimination might also increase. Much hinges on the Committee on the Rights of Persons with Disabilities’ view that all persons have legal capacity at all times irrespective of mental status, and hence involuntary admission and treatment, substitute decision-making, and diversion from the criminal justice system are deemed indefensible. The General Comment requires urgent consideration with the full participation of practitioners and a broad range of user and family groups».

13 Così DONNELLY M., Best interests in the Mental Capacity Act: time to say goodbye?, in  «Medical Low Review» 24,3, agosto 2016; 318-332, il quale così conclude la sua analisi critica sull’art. 12 della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili: «Drawing on the principles of autonomy and dignity, this article has evaluated the MCA standard and the alternative vision put forward by the Committee on the Rights of Persons with Disabilities in GC1. Although it has concluded that some elements of the will and preferences paradigm put forward by GC1 are not normatively justified, it has also argued, based on these principles, that the will and preferences/wishes and feelings of a person with impaired capacity should receive a higher degree of respect than has sometimes been the case under the MCA and that the terminology of best interests should be replaced with a terminology of rights. While legislative amendment would be required to deliver on some of the proposals made here, the enhancement of respect for wishes and feelings can be (and in some cases is being) achieved within the current MCA best interests standard»

14 Su questa distinzione mi si permetta rinviare a CEMBRANI F. et Al., La pianificazione condivisa della cura e l’autodeterminazione della persona anziana affetta da patologie psicogeriatriche, in «Psicogeriatria», 2019, suppl. 1-3

15 Anche quello dell’amministrazione di sostegno come espressamente precisato, dallo stesso Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, nel documento datato 31 agosto 2016 (Osservazioni conclusive al primo rapporto dell’Italia): «Il Comitato raccomanda di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei  tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare a attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni , compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitaria e sociale». La bozza di questo parere si trova, tradotta in italiano, all’indirizzo www.osservatoriodisabilita.org.it, ultimo accesso 9 novembre 2021.

16 Per approfondire gli aspetti tecnologici della comunicazione aumentativa utile il rinvio a BEUKELEMAN D. e MIRENDA P., (2013), Augmentative and alternative communication. Supporting children and adults with complex communication needs, Baltimora

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