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90 Luglio - Agosto 2022
Speciale Disabilità e bioetica Tra vecchie e nuove fragilità

Relazioni di cura: questione di sguardi? Intervista al Prof. Melazzini

Introduzione

La medicina fa passi importanti nella cura delle malattie grazie alla ricerca scientifica.  Si può guarire e curare molte malattie rare, intervenire per malattie genetiche già nel grembo materno. Sono aumentale le prospettive di sopravvivenza al cancro dopo gli interventi. Mani mutilate possono recuperare in buona parte la loro funzionalità con protesi di derivazione robotica.  Tuttavia rimane sempre quella specificità che contraddistingue ogni persona umana nei confronti della sua malattia e il suo rapporto con il medico presso cui si è in cura e l’equipe che l’assiste.  

Della relazione medico – paziente ne parliamo con il prof. Mario Melazzini, medico specialista in ematologia generale, clinica e laboratorio, attualmente amministratore delegato di ICS Maugeri, SpA, Società Benefit, che è presente in Italia con 19 istituti e centri,  di cui 9 riconosciuti dal Ministero della Salute come Irccs (Istituti di ricovero a carattere Scientifico).

Melazzini_ritratto
Intervistato Mario Melazzini

Medico specializzato in Ematologia Generale, clinica e laboratorio. Amministratore Delegato degli Istituti Clinici Scientifici «IRCCS Maugeri», società che si occupa prevalentemente della cura e prevenzione delle malattie professionali e della riabilitazione in vari setting assistenziali – neuromotorio, ortopedico, cardiologico e pneumologico. Ė stato Direttore Generale degli istituti di Pavia e Direttore Scientifico Centrale.

Tra i suoi molteplici incarichi scientifici, a livello nazionale e internazionale: presidenza del Consiglio di Amministrazione e la Direzione Generale dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), partecipazione al Management Board dell’European Medicine Agency (Ema) e al Committee for Medical Productor for Human Use (Chmp), membro del Comitato tecnico sanitario del Ministero della Salute e presidente della Commissione per la ricerca sanitaria del Ministero, Assessore della Sanità, dell’Università, Ricerca e Innovazione di regione Lombardia, componente del CdA del CNR.
Segretario nazionale Fish, Federazione italiana per il Superamento dell’handicap e presidente di AISLA (Associazione Italiana per la Sclerosi Laterale Amiotrofica); attualmente Presidente di Arisla, Fondazione di ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Attività di docenza presso l’Università degli Studi di Pavia, tra cui il corso “The disabled person” nel corso di studi Harvey e nel corso di laurea di Medicina e Chirurgia “Golgi” (Il paziente e la Persona con disabilità) e per la Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro.
Vasta pubblicazione di articoli scientifici e libri, tra i quali “Lo sguardo e la speranza. La vita è bella, non solo nei film” (San Paolo 2015), “Io sono qui, Ma che che cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la malattia e la vita” (San Paolo 2012).

INTERVISTA.

D. Prof. Mario MELAZZINI, al Convegno internazionale di Bioetica di Malta, dedicato quest’anno  alla Disabilità: «Bioetica e il paradosso delle apparenze», tenutosi in video conferenza dal Dipartimento di Teologia morale dell’Università di Malta, in collaborazione con la consulenza scientifica del prof. Pietro Grassi,  ha portato la sua esperienza pluriennale  che abbraccia diverse prospettive, quella di medico, ricercatore, amministratore di gestione sanitaria e di paziente di una malattia neurodegenerativa, la Sclerosi laterale amiotrofica.

La sua relazione si è incentrata sul tema dell’alleanza terapeutica, «Chi è l’uomo perché io lo curi? Il medico: una questione di sguardo». In una situazione di malattia neurodegenerativa che cosa preoccupa di più nella relazione di cura e quanto il tipo di “sguardo” assunto dal medico può influire?

R. Potrei rispondere che lo fa in modo totale. Ritorniamo alla domanda iniziale: Chi è l’uomo perché io lo curi? La Medicina è una scienza meravigliosa che non può fermarsi alla sola interpretazione dei dati, fondamentale, ma che da soli non definiscono come può essere potenzialmente la prognosi di una determinata patologia. Qualche tempo fa leggendo Il Corpo di Umberto Galimberti ho trovato un passaggio che vale la pena trascrivere:

lo sguardo medico non incontra il paziente, ma la sua malattia e nel suo corpo non legge una biografia, ma una patologia dove la soggettività del paziente scompare dietro l’oggettività di segni sintomatici che non rimandano ad un ambiente, ad uno stile di vita, a una serie di abitudini, ma solo ed esclusivamente al quadro clinico dove le differenze individuali scompaiono nella grammatica dei sintomi di classificazione.

Lo stesso Ippocrate ci ricorda che la cosa più importante in Medicina non è tanto la malattia di cui il paziente è affetto quanto la persona che soffre di quella malattia. Basta questo a ricordarci che l’atteggiamento del medico, e di tutti gli operatori sanitari, deve essere dunque la presa in carico del malato. Il neuropsichiatra canadese Max Chochinov, padre della cosiddetta Terapia della Dignità, affermava che la dignità sta nell’occhio del curante. L’ho poi verificato nell’attività quotidiana con i miei collaboratori, negli sguardi tra medici, infermieri e ammalati. Gentilezza, umanità, rispetto sono i valori fondamentali della professione medica, compongono tutte insieme la speranza, strumento fondamentale di cura, la sola a potere incidere positivamente sulla condizione di fragilità e vulnerabilità che la malattia genera.

D. Durante la sua relazione ha espresso il concetto che «la malattia non porta via emozioni, sentimenti, la possibilità di comprendere che “essere” conta più del “fare”. Come si può restituire dignità alle persone malate e sofferenti ? Dignità è un termine che ricorre spesso in questi tempi ma non senza ambiguità con accezioni diverse che rispecchiano la pluralità di pensieri che convivono nella cultura contemporanea.

R. Ho la convinzione che il valore di quella che chiamiamo “dignità” dovremmo ricostruirlo su più solide fondamenta spirituali. La Vita, il dono più prezioso che riceveremo mai, temo sia spesso valutata considerando parametri piuttosto effimeri come la godibilità consumistica. Consumo e faccio ciò che voglio e allora sono. Se riduciamo tutto a efficienza economica, godibilità consumistica, avremo una certa idea della Vita. Come se considerassimo la bellezza della Vita solo a livello di prestazione fisica, ignorando del tutto le dimensioni relazionali, spirituali, e anche religiose dell’esistenza.

Anche la Vita, e la dimensione delle difficoltà, diventa allora una questione di sguardi: c’è chi come prima definizione di Beethoven userebbe la sua sordità? Einstein era affetto da dislessia, e Nash “lo schizofrenico” vinse il Nobel per l’economia. Hawking, con una malattia simile alla mia, è stato uno dei più grandi studiosi del nostro tempo e leggendo la storia nessuno penserebbe al presidente Roosevelt come un uomo sulla sedia a rotelle. Ciascuno di noi, in qualsiasi condizione, può rendere la Vita un percorso straordinario.

Oggi Bebe Vio o Alex Zanardi non sono considerate persone con disabilità. È una questione di sguardi. Avere la consapevolezza che la limitazione funzionale del corpo, la malattia, non portano via le emozioni, i sentimenti, la possibilità di comprendere che l’“essere” conta di più del “fare”. Può sembrare paradossale, ma un corpo spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità, fa brillare maggiormente l’anima, ovvero il luogo in cui sono presenti le chiavi che possono aprire, in qualunque momento, la via per completare nel modo migliore il proprio percorso di Vita. E la Vita è un dono e va tutelata dal momento del concepimento fino alla fine naturale anche con la malattia.

D. Al Senato è al momento in stallo la legge sul suicidio assistito. Casi particolari su cui si è acceso il dibattito sono finora pochi come si è visto da Eluana Englaro a Welby al più recente, in questi mesi Mario Ridolfi. Perché le cure palliative non riescono ad essere conosciute e desiderate? Il rischio di una maglia di desideri che non si accontenti è quello più temuto, basti guardare al Belgio e all’Olanda che hanno esteso tale possibilità ai minori e nei casi di sofferenza “psicologica” ritenuta insostenibile.  

R. Mi dispiace dovere tornare su questioni che ritengo troppo spesso avvilite e ridotte a bandiere politiche, il cui fondamento sta nel pregiudizio, nell’incapacità di sapere osservare. Le leggi che già ci sono ritengono siano sufficienti.

Nel tempo, e nella mia condizione, con la mia storia personale, mi sono sempre più convinto che sono altri i percorsi da intraprendere, e riguardano la scienza e il sostegno alle persone fragili e ai loro famigliari. La scienza deve concretamente intervenire per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o con disabilità e per migliorare la qualità della Vita evitando ogni forma di accanimento terapeutico.

Non c’è Vita che non meriti di essere vissuta ed è importante che si creino le condizioni perché i malati e le loro famiglie non siano abbandonate.  Solo le difficoltà rese insormontabili dalle condizioni esterne portano a sintesi estreme: avalliamo l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la Vita solo quando l’organizzazione del percorso di cura trasformano il malato e la persona con disabilità in un potenziale peso sociale. Questo tipo di condizione aumenta la solitudine dei malati e delle loro famiglie, e nelle persone più fragili insinua il dubbio di poter essere vittime di un programmato disinteresse da parte della società e di conseguenza favorire decisioni rinunciatarie.

Dovrebbero essere prima di tutti i medici, i ricercatori, i cittadini a contribuire insieme alle istituzioni a rinsaldare nel nostro Paese la certezza che ognuno di noi riceverà trattamenti, cure e sostegni adeguati. Si deve sempre garantire al malato, alla persona con disabilità e alla sua famiglia ogni possibile, proporzionata, adeguata forma di trattamento, cura e sostegno.

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90 Luglio - Agosto 2022 Speciale Disabilità e bioetica Tra vecchie e nuove fragilità
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