Teologo morale. Dottore di Ricerca in Morale e Bioetica – Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale sezione parallela di Torino
Intervista
Professor Zeppegno, in una società plurale e multietnica gli atteggiamenti verso la vita e la morte non sono univoci. Cosa pensa dell’attuale referendum a favore dell’eutanasia?
Oggi sono presenti due tendenze contrapposte ed entrambe inopportune. La prima è paladina della falsa convinzione che la morte rappresenti una sconfitta per la classe medica e vada evitata proponendo terapie invasive, anche quando la situazione clinica è così seriamente compromessa da giustificare unicamente l’applicazione delle cure necessarie per accompagnare nel modo più indolore verso il naturale transito.
Come la prima, anche la seconda è incapace di accettare il limite, ma propone soluzioni ben diverse. Non mette in atto interventi inopportuni, ma trascura il dovere sociale di sostenere le vite fragili nella convinzione che siano indegne di essere vissute e rappresentino unicamente un peso economico e sociale ingiustificato. Proclama pertanto il diritto di decidere autonomamente il tempo del proprio morire, insinuando l’idea che ha senso solo una vita di qualità, cioè pienamente attiva ed efficiente.
La proposta referendaria che si sta promuovendo è frutto di questa seconda tendenza.
In Italia molti ritengono che un presunto ritardo in merito a tale legge dipenda dall’ingerenza della Chiesa cattolica italiana. È così? in Europa e nel resto del mondo come è la situazione?
I cattolici hanno certamente un peso notevole nel nostro Paese. Le loro prese di posizione però non possono essere qualificate come un’ingerenza. Secondo un’indagine Doxa del 2019, infatti, il 66,7% degli italiani si dice cattolico.
Non sono certamente una maggioranza uniforme, ma è avvertito nei più il dovere morale di far sentire la loro voce in difesa della vita. In resto dell’Europa e del mondo la situazione è molto variegata. Con diverse limitazioni, l’eutanasia attiva o l’interruzione dei trattamenti terapeutici (eutanasia passiva), sono permessi in Albania, Belgio, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Ungheria, Colombia, Argentina, Cina e Thailandia. In Germania, Spagna, Svizzera, Oregon, Vermont, Montana, California, nello Stato di Washington, Nuova Zelanda e Svizzera è ammesso il suicidio assistito. In Canada, Danimarca e in Australia, come in Italia, hanno valore legale le direttive anticipate di trattamento.
In Bioetica viene spesso utilizzato il concetto di «pendio scivoloso». Può spiegarci cosa significa? Dal punto di vista morale, quali possono essere le ricadute sulle coscienze dall’introduzione di una legge in tema eutanasico?
L’espressione «pendio scivoloso», detto anche «fallacia del piano inclinato», è generalmente usata per indicare un procedimento per mezzo del quale partendo da una tesi precostituita si ricavano una serie di conseguenze inevitabili. In bioetica si parla di «pendio scivoloso» quando si legittimano atti che aprono la via ad ulteriori pratiche che in origine erano ritenute dai più ingiustificabili.
È quello che avviene con la promozione della deriva eutanasica. Si avvia una insistente campagna mediatica che poggia sulla doverosità di abbreviare le sofferenze di malati terminali, si ipotizza poi la possibilità di intervento sui malati non terminali e si arriva ad ammettere l’opportunità di dare la morte a chi sperimenta disagi di tipo psicologico dovuti a depressione, difficoltà a gestire un lutto o è pervaso dalla noia di vivere.
Si dimentica che possono essere date a queste esigenze delle risposte ben diverse. Penso alla possibilità di prendere in carico il malato terminale sospendendo le terapie che ottengono solo il penoso procrastinarsi del processo di morte e avviando la necessaria palliazione.
È inoltre attuabile il potenziamento del servizio sociosanitario integrato prevedendo una serie di prestazione erogabili presso il domicilio, ma attuate in stretto collegamento con le strutture specialistiche.
Lo stesso servizio, affiancato dalle associazioni di volontariato, può venire incontro a chi vive particolari situazioni di disagio affettivo o relazionale dovuto a solitudine, limitazioni determinate dall’età avanzata o da diverse forme di cronicità. Non si deve infine dimenticare che l’utilitaristica cultura dell’efficientismo intristisce la vita sociale e fa dilagare l’ansia da prestazione, mentre l’attenzione alle esigenze del singolo e l’accompagnamento solidale nelle criticità, che spesso la vita comporta, fa avanzare il livello di civiltà di una nazione e aumenta il senso di generale fiducia.
E.Larghero: Dopo aver sentito il parere di un giurista, di un medico palliativista e di un bioeticista possiamo dire che in una democrazia matura e consolidata la libertà non deve essere disgiunta dalla responsabilità.
L’attuale referendum non è l’affermazione di un diritto, ma soltanto la negazione della morte, ormai rimossa come un tabù dalla nostra società. Il dono della vita, che implica fragilità e finitudine, deve essere accolto nella sua totalità.
L’eutanasia non è l’esercizio estremo del libero arbitrio, ma soltanto la via breve, più sbrigativa per porre fine ad una sofferenza ritenuta ormai inutile e priva di senso. Sulla morte non siamo noi a poter dire l’ultima parola, che attiene invece al mistero e alla trascendenza.
Tratto dall’Intervista di Enrico Larghero pubblicata sulla «Voce e il Tempo» dal titolo Referendum eutanasia, tante ragioni per dire il no, 4 settembre 2021, pp. 12-13. Si ringrazia per la pubblicazione il direttore Alberto Riccadonna.
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