Redazionale – Febbraio 2021
Gentilissimi Lettrici e Lettori,
La sofferenza, nelle sue mille sfaccettature, può essere curata, lenita o aiutata ad un sollievo durante il proseguo del cammino di vita, lungo o breve che sia, ma temporaneo, guardando indietro chi ci ha preceduti mentre si tende lo sguardo verso chi ci avanza dinanzi.
C’è bisogno di vicinanza, che è relazione, un prendersi cura dell’altro, povero, malato, fragile, avendo compassione e aiutarlo nelle sue necessità. Papa Francesco non si stanca mai di ripetere nei suoi discorsi a tutto il mondo, da quando è salito al soglio pontificio, come anche nel messaggio per la Giornata Mondiale del Malato celebrata l’11 febbraio, che «una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, e sa farlo con efficienza animata da amore fraterno».
La figura della parabola evangelica del buon Samaritano (Lc 10, 25 -37) viene spesso richiamata nella pastorale sanitaria, nell’apostolato del volontariato per la sua incisività con cui Gesù fa comprendere il senso e il come essere prossimi verso gli altri. Papa Francesco la riprende in questo Messaggio e nella Enciclica Fratelli Tutti.
Nel primo ci incita a vivere la vicinanza con i fratelli malati, deboli, cristiani, «oltre che personalmente , in forma comunitaria: infatti l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili». E tiene a precisare che «il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone».
Nella seconda, gli dedica un capitolo, Un estraneo sulla strada, e offre uno spunto di riflessione su cui ricominciare a livello personale e sociale, sul lavoro, nelle istituzioni: «Come il viandante occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto; anche se tante volte ci troviamo immersi e condannati a ripetere la logica dei violenti, di quanti nutrono ambizioni solo per sé stessi e diffondono la confusione e la menzogna. Che altri continuino a pensare alla politica o all’economia per i loro giochi di potere. Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene». Papa Francesco ci esorta, sprona a cambiare perché: «L’inclusione o l’esclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi» dicendo che «se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano».
Una figura che si è piegata china sui malati, abbracciandoli, accarezzandoli è Madre Teresa di Calcutta (1910 – 1997), fondatrice della congregazione delle missionarie della Carità, che scrisse sul male dell’indifferenza: «Il più grande male di oggi non è la lebbra o la tubercolosi, ma piuttosto il sentirsi indesiderati, trascurati e abbandonati da tutti. La peggiore sventura è la mancanza d’amore e di carità, la terribile indifferenza verso il proprio vicino che vive sul margine della strada, minacciato dallo sfruttamento, dalla corruzione, dalla povertà e dalle malattie». E nell’intervista al giornalista Malcom Muggeridge, sempre nello stesso libro da cui si è attinto lo stralcio citato, Qualcosa di bello per Dio (2010), raccontando della loro opera della Casa per gli Ammalati e per i Moribondi aperta nel 1952 in Calcutta – era negli anni Settanta, spiegò: «Da allora abbiamo raccolto dalle strade di Calcutta oltre ventitremila persone, delle quali circa il cinquanta per cento sono morte» e su cosa facevano alle persone moribonde, rispose: «Per prima cosa cerchiamo di far loro comprendere che si vuol loro bene: vogliamo che si rendano conto che c’è gente che realmente li ama, che realmente ha cura di loro, almeno per le poche ore che restano loro da vivere che conoscano l’amore umano e l’amore divino».
In questo numero di febbraio abbiamo voluto cominciare dalle riflessioni che la recente enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti ha scaturito durante un ciclo di incontri serali formativi dell’Associazione dei Medici Cattolici (Amci) di Torino intitolato Amci e Spiritualità, con padre Luciano Manicardi priore della Comunità di Bose, e dalla Lettera Samaritanus Bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede, concernente la cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita con monsignor Marco Brunetti, vescovo della diocesi di Alba e assistente spirituale Amci Piemonte. Delle due serate, da lui introdotte, Franco Balzaretti, vice presidente nazionale Amci, prende spunto da entrambi i testi per un orientamento etico-morale e spirituale del medico nella relazione con la persona malata e il suo accompagnamento fino alla fine della vita. Si è posta poi l’attenzione sulle considerazioni sul fine vita, partendo dal vissuto del sofferente, dal senso del morire con dignità alle questioni scientifico -cliniche che sono state fatte dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei, sotto la guida del direttore don Massimo Angelelli, e riportate in un documento Alla sera della vita, che la giornalista Ilaria Losapio recensisce.
Infine, un inserto sulle Cure palliative in tempo di pandemia. Ci accompagnano ad una comprensione sulle cure palliative nel solco carismatico di Cicely Saunders, della loro esperienza quotidiana nell’emergenza della pandemia, alle criticità e nuove aspettative, alle diverse sfide attuali sulle cure palliative nei malati neurologici, i medici palliativisti Ferdinando Garetto della Humanitas Gradenigo di Torino, Federica Colombo della Fondazione Faro sezione Valli di Lanzo e Simone Veronese ricercatore presso Faro di Torino.
Concludiamo con le rubriche delle novità editoriali dello Scaffale a cura di Carla Corbella, docente di Etica della Vita presso la Facoltà Teologica di Torino e le recensioni curate delle collaboratrici Martina Casalone per la saggistica l’opera dell’economista Jeffrey Sachs Terra, popoli e macchina (Luiss University Press) e Ilaria Losapio per la cinematografia Lei mi parla ancora di Pupi Avati.
Lo staff di
Bioetica News Torino
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