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Quali farmaci assumono gli anziani? Un’indagine dell’Aifa e dell’Iss

14 Ottobre 2021



Il consumo dei farmaci nella popolazione anziana aumenta con l’avanzare dell’età. Dai sessantacinque anni in poi è in continuo crescendo, con una prevalenza maschile rispetto a quella femminile per ciascuna fascia di età (65-69; 70-74; 75-79; 80-84 e +85) e rispetto agli anni precedenti come mostrano l’Agenzia del farmaco italiana (Aifa) e l’Istituto superiore di Sanità (Iss) nel loro rapporto nazionale riferito all’anno 2019, pubblicato di recente sullo studio dell’impiego dei medicinali nella popolazione anziana.

«Uno strumento prezioso per promuovere interventi e progetti mirati a migliorare la qualità e la sicurezza dell’uso del farmaco in questa popolazione. Si stima, infatti, che un terzo degli over 65enni utilizzi 10 o più farmaci contemporaneamente», afferma il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro. «Aiuta a comprendere diversi aspetti di questo fenomeno individuando nella deprescrizione farmacologica, ovvero nella riduzione del numero dei principi attivi prescritti, una risposta mirata per garantire una maggior sicurezza e appropriatezza delle cure. Non sempre, infatti, la prescrizione di un numero elevato di farmaci corrisponde alle migliori cure o a più salute», conclude Brusaferro.

Quali sono le categorie di farmaci più prescritti negli anziani?

Sono quelli del sistema cardiovascolare a partire dai 65 anni di età. Questa categoria di farmaci rappresenta oltre il 50% del consumo tra i 65 e i 69 anni nel 2019, otto persone su dieci hanno ricevuto almeno una dose, per poi ridursi negli ultraottantacinquenni. Seguono i farmaci gastrointestinali e del metabolismo, di cui fanno parte per il diabete e la gastroprotezione, con una prevalenza d’uso del 71%, poi gli antibatterici (52%) e i farmaci del sangue e organi emopoietici (49%). Il consumo di questi farmaci è legato a patologie croniche come ipertensione, scompenso cardiaco, diabete e fibrillazione atriale.

In media la spesa annuale per ogni cittadino ultrasessantacinquenne è di 158 euro per i farmaci cardiovascolari, 134 euro per i farmaci gastrointestinali e 127euro per quelli del sangue.

Da una panoramica delle sostanze più utilizzate nell’elenco delle prime 20 appaiono 6 farmaci del sistema cardiovascolare, 5 dell’apparato gastrointestinale e 3 antibatterici per uso sistemico. Quella più usata è il colecalciferolo, 4 donne su 10 hanno ricevuto almeno una dose nel 2019 nella fascia tra 70 e 74 anni. Poi vi è l’acido acetilsalicilico, impiegato come antiaggregante piastrinico per la prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria, con un maggior uso negli uomini ultraottantacinquenni.

Riguardo alle categorie terapeutiche il 75% della popolazione ultrasettantacinquenne risulta in trattamento antipertensivo, superando il 90% nella fascia degli ultraottantacinquenni senza marcate differenze tra uomini e donne. In generale dai 65 a 85 e più anni metà della popolazione ha fatto ricorso a farmaci antibiotici, a gastroprotettori, e il 30% è in terapia con antiaggreganti e farmaci ipolipemizzanti.
Le donne anziane ricorrono ai farmaci per l’osteoporosi per quasi la metà (48%) mentre a quelli per disturbi genito-urinari per il 30% gli uomini anziani, i quali presentano una prevalenza d’uso rispetto alle donne anche per i farmaci antidiabetici (20,6%) e per Asma e BPCP (18%). L’insorgenza maggiore di quest’ultima malattia negli uomini è spiegata dal consumo di tabacco. Le donne invece presentano un maggior uso di antidepressivi, di farmaci per la terapia del dolore e per la tiroide. Sullo stesso piano, uomini e donne, per quelli antiparkinson, antidemenza e disturbi oculari; l’uso di questi ultimi cresce con l’avanzare dell’età.

Perché un rapporto sugli anziani e differenza tra anziani e molto anziani “ultranovantenni”

Siamo tra i Paesi con il maggior numero di anziani: nel mondo secondi al Giappone, spiega Graziano Onder dell’Iss e coordinatore del gruppo di studio per il Rapporto, nella sua relazione al convegno di presentazione del Rapporto del 13 ottobre in Roma. Poi la popolazione anziana non è omogenea, va analizzata per singole fasce di età; è un periodo della vita lungo: un sessantacinquenne ha un’attesa di circa 20 anni. In Italia sono circa 14milioni di persone dai 65 anni in poi.

La quantità di farmaci, in termini di dose di mantenimento giornaliera della terapia ogni 1000 abitanti (DDD) cresce progressivamente con l’aumentare dell’età dai 65 agli 84 anni. Riguardo ai principi attivi (politerapie – sostanze) sono molto elevati e nel corso della vita fanno uso più di 10 sostanze; le donne per il 30% ma con un dosaggio più ridotto e gli uomini per il 29%.

Come descritto nel precedente capitolo le tre categorie terapeutiche di maggior uso riguardano gli antipertensivi con il 74% (3 anziani su 4), gli antibiotici per il 50%-52% (i primi uomini e i secondi donne) e per l’ulcera peptica e Malattia da reflusso gastroesofageo MRGE per il 48% uomini e il 50% donne; e non mostrano differenze significative di genere e sono più in uso dagli ultra 85enni.

Una parabola discendente inizia invece per gli antidiabetici, gli ipolipemizzanti e Fans dai 65 ai più di 85 anni. Osserva come ciò fa riflettere, forse per il rapporto rischio -beneficio che tali farmaci vengono meno usati nella popolazione più anziana.

Un altro segmento su cui invita a riflettere è la popolazione ultranovantenne destinata nei prossimi decenni ad aumentare, rappresentata da 774.528 anziani, di cui 175.677 dai 95 anni in poi e centenarie da 14.456. Scavalcata la soglia progressiva dell’elevato consumo di farmaci da parte dei 65-85enni, inizia la fase di riduzione del consumo per gli ultra90enni. Le ragioni possono essere diverse, spiega il Rapporto: solo gli anziani più sani sopravvivono nelle età più avanzate, fenomeno questo chiamato dagli anglosassoni heathy survivor effect, oppure perché la prescrizione di farmaci preventivi che hanno la funzione di ridurre il rischio di eventi acuti potrebbe essere poco vantaggiosa in quanto il raggiungimento dell’effetto di alcuni di questi farmaci come gli antipertensivi, ipolipemizzanti, antiaggreganti, per l’osteoporosi, richiede periodi lunghi o ancora perché i molti anziani sono spesso esclusi nei trial. .

Il consumo dei farmaci e la spesa pro capite inizia a riscemare dai 90 in su. Anche qui in linea con la popolazione generale anziana, le tre classi di farmaci più usati sono gli antipertensivi nella fascia 90-94 che raggiungono una dose di mantenimento giornaliera della terapia (DDD) per ogni 1000 abitanti di 3.361, mentre per la classe di età dai 95 ai 99 anni la DDD è di 1241 e dai 100 anni in poi la DDD è di 985. Allo stesso modo per i farmaci gastroprotettivi la DDD è di 331 dai 90 ai 94 anni, di 323 dai 95 ai 99 anni e 281 per i centenari e ultra. Anche per gli antiaggreganti, la DDD è di 336 dai 90 ai 94 anni, di 345 dai 95 ai 99 anni e per i cento e più anni di 320.

Il dottor Onder spiega come una gran parte dei farmaci usati dagli ultranovantenni sia di tipo preventivo. Sono gli antipertensivi, gli anticoagulanti, gli ipolipemizzanti, le statine, gli antiaggreganti, i i farmaci per l’osteoporosi. Fa osservare, riflettendo, si può fare prevenzione a 100 anni? Forse sì. Poi ci sono due categorie che aumentano l’uso con l’avanzare dell’età: gli antibiotici e gli antipsicotici. Sull’ultimo dato spiega come un centenario su 6 ne prende uno e i cui effetti collaterali sono ben noti.

Tab 1 consumo OsMed anziani_13.10.2021
Tab 1. Distribuzione consumo DDD /1000 ab die anno 2019 Fonte: Rapporto Oss Medicinali Anziani Aifa-Iss 2021

Farmaci concomitanti in associazione a specifiche patologie: alcune riflessioni

Il Rapporto analizza un aspetto ancora poco conosciuto, quello dei co-trattamenti farmacologici per trattare comorbilità in persone affette da specifiche patologie indice – diabete, demenza, BPCO e morbo di Parkinson – parkinsonismo.

Gli anziani hanno più malattie. In media tre quarti della popolazione ultra sessantacinquenne ha due malattie croniche, le persone affette da diabete ultra 65enni hanno in media più di 6 malattie croniche. Solitamente si valuta il farmaco per quella singola patologia ma è, spiega Onder dell’Istituto Superiore di Sanità, importante valutare anche i farmaci coprescritti per una certa persona che ha una determinata malattia indice, dato che può dire molto sulla qualità farmacologica.

Per quattro specifiche malattie si sono considerati i farmaci coprescritti, ossia associati a:

  • per il diabete sono il 15.8% ultra65enni
  • per la demenza sono 1,2% ultra65enni
  • per il morbo di Parkinson- parkinsonismi sono 2,3% ultra65enni
  • per la BPCO sono 10,4% ultra65enni.

Diabete

In Italia supera il 5% la popolazione affetta da diabete mellito. E su 100 persone affette 70 hanno sessantacinque anni e più mentre 30 hanno hanno più di 75 anni.

Tra le classi terapeutiche più utilizzate tra i trattati con antidiabetici vi sono: i farmaci cardiovascolari quali antipertensivi con un uso prevalente dell’89% per individuo che ne fa uso, gli ipolipemizzanti, gli antiaggreganti e gli anticoagulanti. Di uso comune sono, anche associate al diabete, il trattamento per le infezioni – antibiotici – , del dolore – FANS e analgesici -, dei disturbi della vista.

Il consumo dei farmaci antidiabetici diminuisce in modo significativo dopo gli 85 anni; dopo tale età i target glicemici sono ampliati e se fossero molto stretti potrebbero non essere vantaggiosi, come spiega il Rapporto.

Demenza

In Italia ne è affetto il 4,7% della popolazione anziana. Risulta la quinta causa di morte e ogni anno si stima il decesso di più di 52mila anziani secondo l’Istat nel 2018.

Per chi è affetto da demenza le classi di farmaci più coprescritti sono, nell’ordine descrescente: gli antipertensivi, gli antiaggreganti, gli ipolipemizzanti, gli antidiabetici e gli anticoagulanti. «Quello che è meno ragionevole, afferma Onder dell’Iss, è vedere un grosso carico di psicofarmaci: più del 50% della popolazione che prende farmaci per la demenza assume antidepressivi, un quarto (25%) assume antipsicotici, il 13% utilizza farmaci antiparkinson e il 10% antiepilettici».

Parkinson

Il morbo di Parkinson ha una prevalenza media di circa l’1,5% tra gli anziani ultra65enni.

Per il Parkinson-parkinsonismi le classi farmacologiche più coprescritte per tale malattia risultano quelli per l’ulcera peptica e MRGE – malattia da reflusso gastroesofageo (67%, 2 su 3 anziani) che possono però ridurre l’assorbimento di alcuni farmaci per la cura ad esempio il Dopa.

Un’altra classe di farmaci in associazione con potenziale uso inappropriato è data dagli antipsicotici, spiega il Rapporto. Il loro uso appare tra i più utilizzati, il 17%, e in associazione al trattamento del morbo di Parkinson, essendo «farmaci con azioni opposte andrebbero evitati dove possibile»; possono anche indurre all’insorgenza di parkinsonismi per azione sul sistema extrapiramidale.

La medicina “personalizzata”: farmaci “ricuciti” sull’individuo

All’invecchiamento si accompagnano malattie croniche e degenerative che aggravandosi presentano in tarda età un quadro pluripatologico. I trattamenti farmacologici aumentano con il crescere patologie da curare, non senza rischi di interazioni farmacologiche ad esempio tra farmaco e farmaco, o tra farmaco e patologia, o farmaco e cibo oppure tra farmaco e integratore, di insorgenza di reazioni avverse, anche gravi.

Ogni anno si verificano ad esempio da 50 ai 150 casi ogni 100mila abitanti di emorragia digestiva superiore e 20 casi/100mila abitanti di quella inferiore. Si tratta di un evento di interazione farmacologica potenzialmente severa che accade di frequente nella popolazione generale dovuto all’uso concomitante di almeno due farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento gastrointestinale, tra FANS, anticoagulanti e antiaggreganti. Il Rapporto, spiega, FANS e antiaggreganti piastrinici sono importanti fattori di rischio per queste condizioni in considerazione della loro gastrolesività, in particolar modo in età avanzata e il rischio di emorragia associato ad essi può aumentare con l’assunzione concomitante di farmaci anticoagulanti.

La letteratura internazionale dà un elenco di farmaci o classi terapeutiche che viene indicato come potenzialmente inappropriato e il cui uso negli anziani comporta rischi maggiori rispetto ai potenziali benefici. Tra questi vi è l’uso degli antidepressivi triciclici che possono causare significati effetti collaterali cognitivi, cardiaci, neurologici e urinari nella popolazione anziana; o ad esempio la digossina usato comunemente per il trattamento di aritmie cardiache e nello scompenso cardiaco, ma il suo uso a dosaggi superiori a 0,125 mg/die è considerato potenzialmente inappropriato negli anziani in quanto «la ridotta funzionalità renale frequentemente osservata in questi pazienti può infatti comportare una maggiore difficoltà nell’eliminazione di questo farmaco, con conseguente rischio di sovradosaggio e tossicità come astenia, aritmie, delirium».

Si è andata maturando negli ultimi anni, nell’ambito della medicina personalizzata, la possibilità di ridurre i farmaci assunti che in un individuo anziano possono comportare dei rischi o nessun beneficio. Si chiama deprescrizione farmacologica, lo studio è ancora agli inizi. Le linee guida dell’Iss raccomandano la deprescrizione di inibitori di pompa protonica e statine.

Si pone l’attenzione in particolar modo nei grandi anziani, dagli ottantacinque anni in poi, che assumono numerosi farmaci contemporaneamente per il trattamento di patologie. Il Rapporto descrive quattro esperienze italiane di deprescrizione farmacologica svolte sul territorio, in ospedale e in Rsa. Partendo dall’evidenza che nelle Rsa vi è un ricorso “eccezionalmente elevato” dell’uso di farmaci antipsicotici nei pazienti affetti da demenza con disturbi del comportamento, che rappresentano la maggior parte dei ricoverati. Il Rapporto spiega che tali farmaci «possono aumentare il rischio di eventi avversi in anziani fragili, delirium, ospedalizzazione e morte e al contrario, la loro sospensione è stata associata a miglioramento dell’equilibrio, con riduzione del rischio di caduta e miglioramento della performance di alcune aree cognitive e funzionali

La letteratura internazionale dà un elenco di farmaci o classi terapeutiche che viene indicato come potenzialmente inappropriato e il cui uso negli anziani comporta rischi maggiori rispetto ai potenziali benefici. Tra questi vi è l’uso degli antidepressivi triciclici che possono causare significati effetti collaterali cognitivi, cardiaci, neurologici e urinari nella popolazione anziana; o ad esempio la digossina usato comunemente per il trattamento di aritmie cardiache e nello scompenso cardiaco, ma il suo uso a dosaggi superiori a 0,125 mg/die è considerato potenzialmente inappropriato negli anziani in quanto «la ridotta funzionalità renale frequentemente osservata in questi pazienti può infatti comportare una maggiore difficoltà nell’eliminazione di questo farmaco, con conseguente rischio di sovradosaggio e tossicità come astenia, aritmie, delirium». Viene così raccomandata cautela nell’utilizzo di antidepressivi e antipsicotici nell’anziano.

(Aggiornamento 15 ottobre 2021, ore 0.48)

CCBYSA

redazione Bioetica News Torino