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Pubblichiamo e riceviamo. E l’algoritmo si fece carne La rivoluzione epistemologico-etica del pensiero «aumentato»

L’antropologa Sophia Roosth ha scritto: «la vita non è più quella di una volta»1. Quando è cambiata? Perché? Chi o cosa ne hanno determinato il cambiamento? Soprattutto, in che cosa consiste il cambiamento? Rispondere a queste domande non è semplice; basterebbe, tuttavia, leggere il romanzo di Yōko Ogawa, L’isola dei senza memoria, per capire la portata dei mutamenti che stanno segnando il nostro presente.

Nel romanzo Ogawa parla di un’isola in cui gli oggetti, le cose e i ricordi spariscono inspiegabilmente. Un regime totalitario e violento, che si serve della polizia segreta, strappa alla società le cose e i ricordi, facendo precipitare gli uomini nell’oscurità dell’oblio e della perdita. Chi cerca di recuperare cose e ricordi viene arrestato o ucciso dalla polizia segreta. Arrischierei una similitudine paradossale: il XXI secolo, segnato da una incontrollabile inflazione oggettuale, utilizza la polizia del “pensiero debole” per sottrarre ingannevolmente al nostro tempo oggetti e ricordi, rendendolo un tempo senza memoria e senza storia. Algoritmi, codici, Intelligenza Artificiale sono gli strumenti del “pensiero debole” che, presentandosi sotto forma di «mente aumentata»2 costringe l’essere umano a fare i conti con un’inedita combinazione: intelligenza e tecnologia, reale e virtuale, persona e macchina.

Siamo di fronte ad una sorta di cyborghizzazione dell’esistenza umana in cui linguaggio e ragione, oggettivati in forma di algoritmo3, trasmigrano dal corpo umano per abitare in corpi non umani e da questi ultimi, performati, inafferrabili e veloci, fanno ritorno all’uomo. È proprio in questa interazione/sovrapposizione che il tempo, la memoria, la storia pagano il caro prezzo della dissoluzione. L’avvento della «Singolarità»4 tecnologica sogna di trasformare l’uomo e sostituirlo definitivamente, e in essa non c’è posto per l’attività simbolica, per la riflessione “lenta”5 per la creatività, la fantasia; non è previsto il tempo kairotico, «quel momento non fuori dal tempo, ma nel tempo, che noi chiamiamo storia»6, determinato dalla libertà e dalla volontà umane.

Incompiutezza, fragilità, finitudine, lentezza, non sono qualità di cui l’essere umano deve inesorabilmente sbarazzarsi, al contrario, sono gli attributi essenziali per i quali è tale nella sua precaria grandezza. La tecnologia digitale fa leva proprio sulla precarietà umana per dichiararle guerra e decretarne la fine prima possibile.

Da sempre l’uomo ha guardato a qualunque fenomeno cercando di sapere che origine e finalità avesse e ha inventato metodologie per ottenere risposte a tali quesiti. La tecnoscienza basa tutta l’evoluzione digitale esattamente su questa necessità: la mente umana, senza aiuti, è incapace di affrontare la complessità. In progetti come esplorazioni spaziali, ricerche scientifiche, applicazioni ingegneristiche, la mente umana non potenziata è incapace di ottenere risultati positivi senza l’ausilio di nuove tecnologie digitali. Tutti i processi predittivi e la costruzione di scenari ipotetici sarebbero imprecisi se affidati alla previsione di cervello umano che fa fatica a concepire più prospettive simultaneamente, che dimentica, che si annoia, che stenta a separare le reazioni emotive dalle conclusioni razionali; in altri termini sarebbe impossibile orientare il futuro senza il potenziamento della nostra mente.

Saremmo più saggi se combiniamo le nostre menti alla tecnologia? Problemi complicatissimi sono stati risolti combinando queste due entità. Vale la pena citare un esempio su tutti. Complessi problemi matematici sono stati risolti grazie al progetto collaborativo Pylomat, sul sito del matematico Tim Gower7: difficili problemi di ripiegamento delle proteine sono stati chiariti con l’uso del programma Fold – it. Alcuni scienziati hanno collaborato per produrre la cosiddetta HapMap (mappa degli aplotipi), completata nel 2007, in cui si fa una mappatura dei modi e dei punti in cui i diversi esseri umani possono differire nel loro codice genetico.

Queste forme di collaborazione in cui c’è la combinazione di mente umana e tecnologia digitale sono sagge? Siamo davvero più saggi se combiniamo le nostre menti alla tecnologia per soddisfare esigenze e trovare soluzioni? Sì, nella misura in cui la tecnologia rimane uno strumento (potente) a disposizione della mente umana, e la combinazione cervello – tecnologia serve a controllare le stesse macchine che usiamo. Se, al contrario, la combinazione serve solo ad asservire la mente alle macchine e a decretarne successivamente la liquefazione nel contesto digitale, saremmo inconsapevolmente di fronte all’atomizzazione del soggetto stesso, costretti a ripensare tutto, perfino quella che chiamiamo “educazione”, e riadattarla al futuro digitale. Il risultato sarà personalità omologate, identità che pretendono di essere libere e originali, ma che risultano «autenticità contraffatte» secondo l’espressione di Peter Corrigan.

La ri–creazione della realtà potenziata, produrrebbe solo un “multiverso” caotico e disordinato e non un “ordinato universo”.  Urge, dunque, trovare riferimenti trascendenti al di là dello scenario mondano, capaci «di fornire un significato affidabile al reale e al nostro esserci»8. Recuperare la “lentezza” del pensiero, la sedimentazione delle esperienze e la profondità della riflessione non significa rifiutare aprioristicamente il “contesto digitale”, ma coltivare maggiormente la dimensione interiore della nostra umanità, che per crescere ha bisogno di attesa e momenti lunghi. Lungi dal cadere nel catastrofismo o feticismo tecnologico la questione (etica) che qui poniamo riguarda gli effetti venturi del rapporto mente – macchina.

Il principale rischio che l’umanità corre, in questa “relazione” è quello di creare un “bazar di principi e valori” in cui gli acquirenti possono acquistare il tipo di etica che più si adatta a giustificare le proprie scelte. Lo slogan etico che più risuona nell’epoca delle iperconnessioni digitali è: Like (piacere). Il termine è diventato il passaporto per “esistere”. È il segno dell’approvazione, il nuovo simbolo “dell’esserci”. «L’infosfera, infatti, è un Giano bifronte che ci garantisce senza dubbio una maggiore libertà, ma al contempo ci espone a una crescente sorveglianza, che ci influenza»9.

La digitalizzazione ha provocato lo smarrimento di qualsiasi coscienza materiale, compresa quella “dell’io” e della sua dignità, ecco perché si fa sempre più urgente una ri – materializzazione del mondo. Abbiamo visto sinteticamente come la tecnologia, va assumendo sempre più i tratti di un sistema autopoietico, con una cultura sua propria. Nel mondo digitale, in cui la ragione umana deve fare i conti con l’algoritmo, si impongono valori e significati non sempre percepiti in maniera consapevole da coloro che entrano in rete. Nell’universo tecnologico nulla ha valore in sé ma solo in quanto è utile e funzionale10.

Tutto questo mette in discussione il valore intrinseco dell’essere umano, soprattutto se la tecnologia si sostituisce all’uomo nella determinazione dei fini, superando l’ordine strumentale e imponendosi come orizzonte di comprensione dell’intera realtà. Ristabilire il confine etico significa essere aperti all’inedito del sistema tecnologico ma anche e soprattutto al grande mistero che è l’uomo.

Note

1 ROOSTH, Syntetic. How Life Got Made, The University of Chicago Press, Chicago 2017, p. 1

2 Cfr. M. PRENSKY, La mente aumentata, Dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erckson, Trento  2013

3 Cfr. R. BODEI, Dominio e sottomissione, Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, Il Mulino, Bologna 2019

4 Cfr. R. KURZWEIL, La Singolarità è vicina, Apogeo, Milano 2008

5 Cfr. D. KAHNEMAN, Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano 2015

6 T.S. ELIOT, Opere, R. SENESI (a cura di), Bompiani, Milano 1986, p. 235

7  Cfr. M. NIELSEN, Reinventing discovery: The New Era of Netwprked Science, Princeton University Press, Princeton 2011

8 G. DEL MISSIER, Vite digitali, Comportamenti umani e sfide della rete, EDB, Bologna 2020, p. 35

9  B.C. HAN, Le non cose, Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, Torino 2022, p. 10

10 Cfr. M. HEIDEGGER,  La questione della tecnica, in ID., Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, p. 5.

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