Dottore di ricerca in Sociologia, Scienze organizzative e direzionali, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Si è perfezionata in Bioetica. È professore a contratto presso la Scuola di Medicina dell’Università di Torino, Corso di Laurea in Infermieristica di Asti e ricercatore senior Gruppo di ricerca In.Crea.Se (Innovation Creativity Setting), sezione Intangibili, dinamiche sociali e salute e società. Si occupa in qualità di direttore della Pastorale della Salute della diocesi di Asti.
D. È stata tra i relatori del Convegno internazionale di Malta, dedicato alla Bioetica e ai cinque sensi, tenutosi nei primi giorni di ottobre dall’1 al 4, organizzato dall’Università di Malta con la collaborazione scientifica del filosofo Prof. Pietro Grassi. Gli interventi sono stati quasi una quarantina, articolati in una prospettiva multidisciplinare. Quali sono le Sue impressioni sul Convegno?
R. Indubbiamente l’apporto di saperi differenti, dalla teologia all’antropologia, dalla sociologia alla medicina nelle sue varie specialità, dalla psicologia alla filosofia hanno consentito a tutti i partecipanti di prendere consapevolezza dell’attuale sfida che le nuove conoscenze in campo biomedico pongono da un punto di vista etico e bioetico, rese ancor più manifeste nell’attuale contesto della pandemia da SARS-CoV 2, che ha causato una sorta di “interruzione” nella complessa relazione/interazione tra assistito e terapeuta.
D. Quale è stato l’argomento da Lei affrontato?
R. Il mio intervento ha preso in esame le problematiche etiche correlate al contatto fisico, attraverso l’uso del tocco, e alle sfide connesse alla telemedicina.
D. Può descriverci allora alcuni aspetti della relazione di cura?
R. Indubbiamente, quando il corpo diventa malato, la naturale relazione tra la persona sofferente e chi se ne prende cura modifica l’asse stesso della recettività relazionale e si sposta su canali diversi, a volte complessi, poiché le relazioni divengono obbligate, non desiderate ma subìte. È questo il motivo per cui, chi cura e assiste, necessariamente deve imparare a fare un uso consapevole dei propri sensi, in particolare del contatto corporeo, vera e propria modalità per ascoltare il bisogno dell’altro: «Quando prendete o carezzate la mano di qualcuno, la persona che viene toccata può sentire anche tutte le vostre emozioni, brutalità o dolcezza, sentimenti e intenzioni. È proprio questo che fa la ricchezza del senso del tatto» (Savatofski, 2009).
La comunicazione attraverso il contatto rappresenta la forma di comunicazione più remota, ancestrale, che ognuno di noi abbia mai sperimentato e che ci è propria sin dalla nascita. Nella relazione terapeutica la capacità di prendersi cura diviene, soprattutto, un modo di essere presente, ancor prima che la possibilità di dire o di compiere gesti di cura. Nella relazione con l’altro, in un contesto che implica prioritariamente in chiave bioetica l’espressione di un consenso e il rispetto della dignità e della volontà della persona, il tempo da dedicare all’”altro” è, di conseguenza, di fondamentale importanza, poiché atteggiamenti e gesti frettolosi, sbrigativi, fuggevoli, se non addirittura freddi o minacciosi, rischiano di offendere e di provocare altre sofferenze a chi porta in sé il peso della malattia.
D. E quali sono i riflessi sull’operatore sanitario?
R. Nel contatto con l’altro, poi, è essenziale prendere consapevolezza anche che non si può toccare senza essere toccati. Il professionista sanitario, infatti, deve, in primis, imparare a riconoscere il proprio mondo emotivo, le proprie paure, proiezioni, repulsioni, resistenze: senza questa valutazione introspettiva non è possibile entrare consapevolmente in relazione con il corpo malato. Jean Watson, teorica dello Human Caring, ci induce proprio a riflettere su quanto esso sia fondato sul paradigma etico e non sui bisogni di assistenza. Con lo Human Caring, infatti, si supera il riduzionismo tecnicista che spesso caratterizza il pensiero e l’azione assistenziale e si evidenzia, senza ambiguità alcuna, come il lavoro assistenziale altro non sia che un lavoro finalizzato alla guarigione della persona nella sua complessità, o l’accompagnamento verso una morte serena.
Il modello si fonda in primo luogo sulla centralità della persona, evidenziando come il lavoro assistenziale sia necessariamente finalizzato alla riabilitazione della persona nella sua interezza (cfr. Watson, 2003). Esso riconosce un’importante «attenzione anche al curante, in quanto non può esserci ben-essere per la persona assistita se non vi è ben-essere nell’operatore» (cfr. Kelley, 2002). Da ciò se ne deduce che il Caring non può che rappresentare «una pratica che si realizza attraverso azioni competenti e disponibilità a occuparsi intenzionalmente e preoccuparsi della persona assistita» (Corbin, 2008).
D. In ambito sanitario si sta introducendo la digitalizzazione. La pandemia da Covid-19, nonostante le piaghe che continua ad infliggere alla società, ha avuto il risvolto positivo di accelerare tale sviluppo. Un esempio il servizio di telemedicina. In un rapporto “a distanza” può esserci ugualmente una “buona” relazione comunicativa e terapeutica?
R. Ma come può conciliarsi, allora, la necessaria attenzione al malato e la Telemedicina? Già nel lontano 1997 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si era pronunciata su questa modalità di cura. La pandemia Covid-correlata ha obbligatoriamente riportato alla ribalta la Telemedicina, tanto che l’Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto necessario dedicare il suo 12° rapporto del 2020 a tale argomento. In esso vengono fornite indicazioni, a partire dall’analisi di problematiche operative, per proporre modalità assistenziali di telemedicina, a partire dalle evidenze scientifiche per giungere a proporre azioni concretamente impiegabili nella pratica quotidiana.
Da anni gli operatori sanitari, gli accademici e gli sviluppatori di tecnologie cercano di promuovere e implementare un maggior utilizzo della telemedicina nella pratica terapeutica corrente. Questi servizi, definiti anche servizi di telemonitoraggio, sono utilizzati nell’ambito della erogazione di cure mediche e di altre prestazioni sanitarie, e forniscono agli operatori sanitari parametri fisiologici del malato attraverso l’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione. È, ad esempio, il caso dei malati di SLA/ALS che traggono un grosso vantaggio dal poter essere monitorati e sorvegliati a domicilio senza necessariamente doversi recare nei centri sanitari. Il telemonitoraggio presenta diversi vantaggi: può migliorare la qualità della vita dei malati cronici attraverso soluzioni di autogestione, ridurre i costi di ricovero e evitare inutili spostamenti.
La persona assistita in telemedicina, però, viene privata di quel tocco che anche in letteratura viene indicato come step fondamentale per una relazione terapeutica efficace. Il tocco, il contatto, rappresentano, infatti, quegli elementi di vicinanza fisica che consentono alla persona assistita di sperimentare la forza della presa in carico e di creare un rapporto interattivo ed empatico fra terapeuta e persona ammalata. Nel contatto e nel tocco due persone che si incontrano. Due persone, una che esprime un bisogno ed un’altra che cerca di soddisfarlo, che costruiscono insieme non solo la salute, ma anche una relazione, che costituisce l’essenza della persona umana e che l’avvicina a Dio: l’essere relazione.
Nel mondo delle creature, la relazionalità presuppone la sostanzialità. La relazionalità è essenziale per la realizzazione piena di un essere, sebbene non esaurisca tutta la sua realtà. É tuttavia essenziale che l’uomo entri in relazione per realizzarsi pienamente. Nessuna telemedicina potrà mai, perciò, sostituirsi completamente alla relazione diretta esistente tra il terapeuta e la persona assistita.
D. In conclusione, quali sono, alla luce di quanto Lei ci ha descritto, le sfide in telemedicina?
R. Nell’attuale epoca di pandemia i servizi di telemedicina possono certamente facilitare le strategie di protezione della salute pubblica, rappresentando un’opzione più sicura per operatori sanitari e pazienti poiché riducono, di fatto, le potenziali esposizioni infettive, diminuendo altresì la pressione sui sistemi sanitari. Ma resta sempre estremamente importante porre l’attenzione sulla capacità di preservare il rapporto paziente-operatore sanitario che diviene, con la distanza, rimesso in discussione.
Tra le pubblicazioni più recenti si ricordano: Lazzarini G., Stobbione T. e Forte A., in Salute e relazioni d’aiuto. Introduzione alla sociologia della salute, Pearson editore, 2020. Stobbione T., «Il corpo dell’operatore nella relazione di cura», in P. Grassi, R. Zammit, E. Toniato (a cura di) Viaggio intorno alla bioetica tra scienza e cinema, Tau Editrice, 2019. Stobbione T., Valore e sanità. Un binomio possibile che mette al centro la persona anche in tempo di crisi, prefazione di N. Dirindin, monografia, FrancoAngeli, Milano 2017.
© Bioetica News Torino, Novembre 2020 - Riproduzione Vietata