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Perché è preferibile una ricerca sulla retina umana da donazione da cadavere alla sperimentazione animale Il gruppo di studio dell'Università dello Yuta descrive la scoperta della loro ricerca oftalmica internazionale

12 Maggio 2022

La scoperta condotta in un laboratorio americano di ricerca sperimentale del John A. Moran Eye Centre dell’Università dello Yuta che con l’ossigeno si può ristabilire la comunicazione tra le cellule retiniche sensibili alla luce (fotorecettori) dopo il prelievo di cornea da donazione da cadavere aprirebbe ad indagini di ulteriore conoscenza sulle malattie neurodegenerative, e tra quelle della retina la degenerazione maculare correlata all’età (AMD) che è causa di cecità.

L’importanza di questo studio americano, guidato da Fatima Abbas presso il Centro Oculistico dello Yuta, che è diretto dal prof. Frans Vinberg, e a cui vi hanno collaborato studiosi provenienti da istituti di ricerca californiani di biologia, medicina molecolare e sulla retina (Salk Institute, The Scripps Research, Retina Consultants San Diego) e centri di fisiologia e neurologia sperimentale dell’Università di Berna, è il metodo di approccio: il lavoro di ricerca sulla retina umana tramite il prelievo di tessuti oculari da donazione da cadavere consente di poter studiare la visione oculare dell’uomo nelle modalità che non sono rese possibili con la sperimentazione sugli animali da laboratorio. Lo spiegano gli Autori, Fatima Abbas, Frans Vinberg, Ludovic S. Mure, Anne Hanneken et al. nel loro articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature (11 maggio 2022), dal titolo Revival of light signalling in the postmortem mouse and human retina.

«Mentre sono i topi che vengono comunemente impiegati nella ricerca visiva, questi non hanno una macula», viene spiegato dagli Autori nell’annuncio dell’esito di questa ricerca che l’Università dello Yuta pubblica sul proprio sito, La vita dopo la morte per l’occhio umano: le cellule sensibili alla luce degli scienziati dagli occhi del donatore di organi rivivono la visione (11 maggio 2022). «Siamo stati in grado di far comunicare le cellule della retina tra di loro, ciò che avviene in un occhio vivente per mediare la visione umana. Gli studi passati hanno conservato un’attività di impulsi elettrici molto limitata negli occhi del donatore di organi, che finora non è mai arrivata fino alla macula e per estensione che siamo stati capaci di dimostrare», spiega il prof. Vinberg.

In breve il direttore del A. Moran Eye Centre spiega come il loro approccio conduca a ridurre i costi della ricerca confrontandoli con quella che impiega primati non umani e la dipendenza da modelli animali che danno risultati ritenuti non sempre applicabili agli esseri umani, dando così avvio alla possibile ricerca di nuove terapie farmacologiche nel settore oftalmico.

In che cosa consiste la scoperta dello studio dello Yuta?

La retina umana viene utilizzata come modello del sistema nervoso centrale per scoprire come i neuroni muoiono e nuovi approcci per farli rivivere.

Il laboratorio di Frans Vinberg studia i meccanismi di funzionamento della retina, che ha una capacità visiva di un’ampia gamma di intensità luminose e di colori, e come questi meccanismi sono danneggiati maggiormente nelle patologie oculari che portano alla cecità come la degenerazione maculare correlata all’età e la retinopatia diabetica.

Lo studio ha fornito informazioni su oltre 40 occhi umani prelevati da donazione da cadavere.

Fatima Abbas, dottore di ricerca presso il laboratorio di Frans Vinberg ha condotto gli esperimenti esponendo il tessuto oculare dei donatori deceduti a differenti tipi di luce e registrato le risposte dei fotorecettori retinici, che sono le cellule sensibili alla luce che traducono l’immagine percepita in impulsi elettrici inviati al cervello attraverso il nervo ottico.

«Siamo stati capaci di risvegliare le cellule fotorecettori nella macula umana, che è la parte della retina responsabile per la nostra visione centrale e per la nostra capacità di vedere in modo preciso un dettaglio e un colore», spiega la ricercatrice Abbas aggiungendo: «Nelle cornee ottenute fino a 5 ore dalla morte dell’organo del donatore queste cellule hanno risposto ad una luce brillante, a luci colorate, e persino a fasci di luce molto fioca» (si veda figura 5. Contributing factors to the quality of light-evoked responses from human postmortem research donor retinas from Revival of light op. cit.)

Spiegano che negli sperimenti iniziali i fotorecettori rivivevano ma perdevano la loro capacità comunicativa tra le cellule e che la sfida è stata quella di procurare le cornee prelevate da donatori d’organo entro i 20 minuti dal tempo della morte e preparare un’unità di trasporto speciale per ristabilire l’ossigenazione e altri nutrienti alle cornee donate. Hanno costruito un dispositivo per stimolare la retina e misurare gli impulsi elettrici delle cellule retiniche che ha consentito di ristabilire uno specifico segnale elettrico presente negli occhi viventi, l”onda b”. E si tratta di una prima registrazione dell’onda b resa dalla retina centrale degli occhi umani post-mortem.

I tessuti del sistema nervoso centrale perdono rapidamente la vitalità dopo che la circolazione sanguigna smette. E il loro approccio, come descrivono nell’abstract dell’articolo, «avrà ampie applicazioni e impatto mettendo in grado gli studi sul sistema nervoso centrale umano di sollevare questioni sulla irreversibilità della morte delle cellule neuronali, e di fornire nuovi orizzonti per la riabilitazione visiva».


Cenni sulla funzione visiva e la degenerazione maculare correlata all’età

Il fascio di luce penetra nell’occhio attraverso la cornea che posta dinanzi all’iride mette a fuoco i raggi che colpiscono la retina posta nel fondo oculare. Dalla cornea la luce passa per la pupilla (il centro nero dell’occhio). La quantità luminosa è gestita dall’iride che fa penetrare di più o di meno a seconda della luminosità dell’ambiente facendo dilatare o restringere il campo della pupilla.

Il cristallino è posto dietro l’iride focalizza i raggi luminosi sulla retina ispessendosi se gli oggetti sono vicini o assottigliandosi se lontani.

La retina presenta cellule sensibili alla luce dette fotorecettori e vasi sanguigni che le nutrono; ha una piccola parte più sensibile sul fondo dell’occhio chiamata macula, che possiede milioni di fotorecettori concentrati: tanto più sono densi i coni tanto più l’immagine percepita sarà dettagliata e precisa.

Ogni fotorecettore è collegato a una fibra nervosa che insieme ad altre forma il nervo ottico. I fotorecettori della retina trasformano l’immagine in impulsi elettrici da trasmettere al cervello tramite il nervo ottico: vi sono i coni deputati alla percezione di un’immagine centrale accurata e dei colori; si trovano soprattutto nella macula; i bastoncelli sono deputati alla visione periferica (laterale) e notturna, sono più sensibili alla luce ma non contribuiscono alla visione centrale dettaglia come i coni.

Il nervo ottico di ciascun occhio si divide e metà delle fibre passa all’altro lato e prosegue verso la parte posteriore del cervello; quest’ultimo riceve le informazioni da ambe due gli occhi integrando le informazioni per produrre un’immagine completa.

Quando la macula si deteriora con l’età si ha una degenerazione del tessuto maculare e gli oggetti possono apparire annebbiati, distorti o perdere il colore; o vedere un’area scura o vuota al centro del campo visivo. La parte danneggiata non può essere recuperata compensata con sistemi ottici.

(aggiornamento 12 maggio 2022 ore 22.14)

redazione Bioetica News Torino