Cosa è realtà? Cosa è immaginazione? Questo eterno dilemma si colora ai nostri giorni di nuove sfumature. L’era digitale si insinua nelle dinamiche più profonde delle relazioni, modifica in modo significativo i rapporti interpersonali ed il nostro sguardo sul mondo. I neologismi “infosfera” e “metaverso” ci proiettano in un futuro (neanche troppo remoto…) nel quale realtà e finzione non avranno più contorni così netti. Si intravvedono già i primi segnali. Su facebook, ad esempio , possiamo frequentare migliaia di amici e con un tour virtuale visitare un museo a Tokio o passeggiare per le strade di New York. Il fascino e la comodità di queste esperienze è indubbio, ma le paure sottostanti sono altrettanto evidenti. Fuggire dalla mediocrità e dalla sofferenza e rinchiuderci in una bolla, sognare ad occhi aperti, è allettante, ma rischia di alienarci dalla vita vera in cui purtroppo non tutto è meraviglioso. Gesù, non a caso, ci esorta ad amare il prossimo, cioè chi, in carne ed ossa, è accanto a noi. Un avatar in 3D, di gradevoli sembianze umanoidi, creato da un computer farà forse tutto ciò che gli chiediamo, ma non è la stessa cosa…
Enrico Larghero
Ragione digitale: sembra un ossimoro. La prima, la ragione, è una caratteristica prettamente umana; la seconda, il digitale, è figlia della tecnica e della tecnologia.
Pensare l’infosfera, facendo propria qui la fortunata definizione coniata dal filosofo Luciano Floridi nel suo libro La quarta rivoluzione, diventa una necessità emergente per chiunque si ritrovi a vivere e a pensare nell’epoca 4.0.
Sull’argomento di scottante attualità è stato dedicato un interessante incontro all’interno del Corso di Bioetica Avanzata presso la Facoltà Teologica di Torino. Due autorevoli relatori ed un interessante dibattito hanno animato l’arricchente Giornata di Studio.
La riflessione di Oreste Aime, docente di filosofia presso l’Ateneo torinese parte dalla rivoluzione scientifica del Seicento, ossia da quando il metodo matematico scientifico è divenuto il nuovo paradigma interpretativo del reale: il mondo come numero, comprensibile e manipolabile attraverso sensate e sperienze e necessarie dimostrazioni, fino ad arrivare alla scoperta del DNA, nel 1953, dove è avvenuta la codifica delle istruzioni con cui un essere umano è fatto.
Alla rivoluzione scientifica segue una rivoluzione antropologica e quindi la rivoluzione informatica, inaugurata da Turing e dalla sua leggendaria macchina. La pretesa di rendere autonoma la ragione, automatizzandola e portandola “fuori” dall’uomo, segna un ulteriore passo verso il post moderno dove i confini tra uomo/macchina, ragione umana/intelligenza artificiale tendono a divenire sempre più sfumati. Il calcolatore presuppone che ogni suo atto sia, appunto, calcolabile. Ogni evento, ogni azione sia rappresentabile da un numero, quindi riproducibile e controllabile.
Ma il reale, tutto ciò che ci circonda, noi compresi, è completamente riducibile a un mero dato, oppure, come afferma il sociologo Ulrich Beck, c’è qualcosa che sfugge a quella che oggi viene definita digitalizzazione del reale? Inoltre, tale nuovo codice, nuova forma di scrittura (si ricordi che la scrittura è nata come strumento per poter tener sotto controllo i vari fenomeni del mondo circostante) rischia di trasformarsi da strumento a presunta condizione totalizzante, da mezzo a fine. Benasayag, altro studioso della materia, si spinge a parlare di tirannia dell’algoritmo, dove questo modo di descrivere il reale, tende a spingersi oltre, fino a diventare non solo una mera descrizione del mondo stesso, ma la pretesa di diventare lo strumento che ne tratteggia e determina la condizione di senso ultimo. Senso che esclude, comunque, il dubbio e la dimensione simbolica, tipicamente umani e difficilmente trascrivibili in un numero.
Il secondo relatore, Matteo Bergamaschi, anch’egli filosofo e docente presso la medesima istituzione torinese, ha completato il quadro proponendo una interessante riflessione. L’infosfera, ossia il connubio tra informazione mediale e automazione, è un contesto antropologico nel quale siamo stati sempre inseriti seppure secondo modalità diverse. Codifica e interpretazione del reale hanno sempre accompagnato l’uomo nel corso della sua evoluzione culturale.
Ma come si è evoluto il sapere teologico durante questo percorso? In esso, simbolismo ed eccedenza, hanno sempre avuto un rilievo fondamentale, che difficilmente può essere trasdotto in mero dato.
Rifacendosi agli studi di importanti autori quali Antonio Spadaro e Massimo Leone, Bergamaschi fa notare, per esempio, come molti termini caratteristici del linguaggio teologico, quali salvare, condividere, giustificare e comunità, vengono usati anche in un contesto informatico. In tale ambito sussisterebbe, inoltre, anche una certa forma di spiritualità, basata sia su un concetto di condivisione in grado di superare i particolarismi (come dimostrano le reti di computer collegati tra loro nel mondo), sia su una concezione mirante al superamento della materialità, del concreto, dove il cloud assumerebbe le forme di una sorta di paradiso digitale. In tutto ciò, forte, si fa sentire il richiamo ad una forma di spiritualità new age, di self spirituality. Ma questo, si interroga Bergamaschi, come si sposa con la dimensione liturgica sacramentale del cristianesimo? Ritorna il tema dell’incarnazione digitale…
Si comunica noi stessi, mediati dalle nuove tecnologie, proponendoci agli altri come messaggi. Ma come ci ha insegnato McLuhan, il “medium”, ossia il mezzo con cui un messaggio è veicolato, è il messaggio stesso e, infine, il “medium” non è affatto neutro e in un certo qual modo struttura il messaggio stesso.
L’infosfera, quindi, regno della comunicazione, digitale e non, è un contesto nel quale l’uomo è da sempre stato inserito, solo che con l’avvento della rivoluzione informatica e il suo pesante impatto nella vita di ogni giorno (Floridi parla di avvolgimento del reale al digitale, arrivando a parlare di società onlife, ibridazione tra online e vita reale), propone sfide e questioni etiche che non possono essere tralasciate e abbisognano di ulteriori riflessioni e delucidazioni.
In tale ambito, quindi, a differenza dell’IA vista come differente quadro di azione aprioristicamente determinato e digitalizzato, nell’infosfera resta un margine di azione che consentirebbe di pensare all’infosfera, mantenendo ancora attiva l’essenza dell’umano. Tale caratteristica, legata in modo indissolubile alla nostra natura si declina attraverso la critica, il ragionamento, il dubbio e l’emotività, cioè qualcosa sicuramente più grande di ciò che abbiamo definito con la locuzione ragione digitale.
Antonio De Nigris
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