Da sette anni lavoro come infermiera presso il Centro Pre-ricoveri dell’Ospedale Cottolengo, struttura inserita in un contesto più ampio, quello della Piccola Casa della Divina Provvidenza. La Piccola Casa fin dalla sua fondazione si è proposta di riconoscere in ogni persona che giungeva qui il volto di Cristo, ed oggi tutti noi, eredi del santo Cottolengo, cerchiamo di portare avanti e far vivere il carisma originario accettando le nuove sfide, rispondendo alle nuove povertà, adoperandoci con creatività e fantasia per supplire alle carenze ed ai limiti imposti dagli attuali apparati politici e burocratici.
La sfida quotidiana del presidio ospedaliero è di operare con dedizione e rispetto verso i più bisognosi garantendo loro assistenza clinica, sociale e spirituale ed erogando interventi gratuiti a favore di chi non ha diritto alle prestazioni del servizio sanitario nazionale.
Con questi presupposti riconosco di operare in un contesto sotto certi aspetti privilegiato perché i valori cristiani ed umani espressi dalla Nuova Carta degli Operatori Sanitari sono parte intrinseca dei principi dichiarati e vissuti in questa Piccola Grande Casa.
Tanti anni fa mi colpì di questa realtà il modo di prendersi cura della persona, il chinarsi sull’uomo bisognoso, il dire: I care (mi interessi, mi stai a cuore) e tutto questo bagaglio di “assistenza con un di più di umanità” mi fece scegliere di fermarmi a lavorare qui come infermiera, nonostante ci fossero molte altre strutture più vicine a casa. Al Cottolengo mi pareva di poter vivere la mia professione anche come missione e nel rispetto dei valori cristiani ed umani in cui credevo, come “pienezza” della mia umanità.
Nel tempo la dimensione familiare di questo luogo ha cercato e trovato compromessi per resistere alla competitività e al processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie senza però dover rinunciare alla sua mission e così a diciassette anni di distanza da quando approdai nell’ospedale mi sento di raccontare ancora che una medicina ed una assistenza che tengano conto dell’uomo sono doverose e sono l’unico modo che la medicina e l’infermieristica hanno per attuare se stesse senza snaturarsi.
Il Centro pre-ricoveri presso cui opero si inserisce in un punto preciso del percorso diagnostico terapeutico del paziente. Spesso è il primo contatto che il paziente ha con la struttura sanitaria. Presso il Centro pre-ricoveri infatti il paziente riceve informazioni sul suo stato di salute, viene informato sulla necessità e le modalità di un intervento chirurgico, sui rischi che questo comporta e sulle possibilità riabilitative.
Questo flusso di informazioni fornite e ricevute è particolarmente delicato e complesso, a maggior ragione, se si tiene conto che l’Ospedale Cottolengo è inserito in un quartiere caratteristico della città, zona Porta Palazzo, in cui il flusso di persone che vi affluiscono è multiculturale e multietnico.
La sfida di un “di più di umanità” richiesta ad un operatore sanitario che opera in questa realtà passa proprio attraverso una comunicazione che non si accontenta di aver fornito le informazioni ma che mette in atto tutte le possibilità affinché le informazioni siano realmente recepite ed accolte dalla persona assistita.
Spesso i ritmi organizzativi pongono l’operatore di fronte al dilemma di dover scegliere tra ciò che permette un servizio efficace, rischiando però di perdere l’efficienza o, viceversa, un servizio pienamente efficiente ma non necessariamente efficace. Il tempo richiesto per comunicare in modo chiaro e verificare che l’informazione sia compresa appieno da persone con un livello di scolarità medio basso o con scarsa comprensione della lingua si scontra con un bisogno organizzativo che quantifica la produzione in termini di tempo a persona in base ad un criterio di efficienza di tipo economico.
Ogni giorno la sfida sta nel non perdere di vista l’uomo nella sua totalità e con i suoi tempi e bisogni che non sono standardizzabili, attivando con creatività tutte le risorse disponibili per non rinunciare a quel tassello importante del percorso diagnostico terapeutico del paziente che è la comprensione e la sua adesione partecipata al progetto di cure proposte.
Alcuni esempi concreti si sono avverati interpellando colleghi operanti in altri servizi che si adoperassero per tradurre, oppure rinviando una visita e chiedendo la persona assistita di portare con sé un interprete, oppure interpellando i servizi sociali nel caso in cui il post-intervento necessitasse di condizioni particolari altrimenti non garantite. Più volte ci è capitato di accogliere tra l’utenza persone senza fissa dimora con scarse condizioni igieniche per le quali l’aumentato rischio infettivo post-intrevento rischiava di compromettere l’esito.
Grazie ai servizi di accoglienza e servizio doccia offerti dalla Piccola Casa è stato possibile preparare i pazienti ad interventi che nonostante fossero necessari sarebbero stati preclusi per le scarse condizioni igieniche.
Concludo con una frase della Nuova Carta degli Operatori Sanitari che riprende una citazione di Benedetto XVI che mi ha particolarmente colpito e fatto interrogare:
© Bioetica News Torino, Maggio 2017 - Riproduzione Vietata