Sostieni Bioetica News Torino con una donazione. Sostieni
88 Maggio 2022
Speciale Il mondo giovanile nella società odierna tra Covid-19 e post Covid

Note a sentenza della Corte costituzionale 28.3. 2022, numero 79, in tema di adozione “in casi particolari” Con questa sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 55 della Legge 5 maggio 1983 n.184 (Diritto del minore a una famiglia) nella parte in cui, mediante il rinvio all’articolo 300, secondo comma, del codice civile, prevede che l’adozione in “casi particolari” non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante


Per comprendere appieno la portata della decisione occorre por mente che essa si inserisce nel più ampio contesto dell’adozione, in particolare dell’adozione dei minori, e dei suoi effetti. L’istituto dell’adozione ha origini lontanissime: se ne hanno tracce nell’Antico Testamento e presso i babilonesi, ma trovò più compiuta sistemazione nell’antica Roma (neanche a dirsi!), in considerazione della struttura della società romana, della famiglia in particolare. Dopo secoli di attenuato interesse, Napoleone Bonaparte lo reintrodusse nel suo code civil e da allora i codici civili degli Stati dell’Europa continentale lo hanno accolto.

Per darne una stringata, ma non incompleta, definizione si dirà che l’adozione è quell’istituto (giuridico) che consente di creare un legame giuridico e, non necessariamente, affettivo, tra soggetti che non sono legati da vincoli di sangue. All’origine gli scopi prevalenti dell’adozione erano, per chi non aveva prole, la trasmissione del patrimonio e la continuità della discendenza ovvero, sotto aspetti più propriamente politici, la creazione di alleanze tra famiglie; gli effetti determinavano, a seconda della forma prescelta o il completo distacco dalla famiglia originaria o il mantenimento dei legami originari.

Nel nostro ordinamento il codice civile del 1942, ancora vigente, prevede due forme di adozione, la prima, disciplinata dal titolo settimo del libro primo (Delle persone e della famiglia), capo primo, concerne l’adozione di persone maggiori di età e dei suoi effetti e risente delle sue origini romanistiche. L’articolo 291 del codice civile dispone che «l’adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che hanno compiuto gli anni 35 e che superano almeno di 18 anni l’età di coloro che intendono adottare». In casi eccezionali il tribunale può autorizzare l’adozione a trentenni, ferma restando la differenza di età tra adottante ed adottato.

Una volta pronunziata l’adozione, l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio, articolo 299 codice civile. In virtù del successivo articolo 300 – questo è il punto critico sul quale si appunta la sentenza della Corte – (…) L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato né tra l’adottato e i parenti dell’adottante (…).

La seconda forma di adozione è l’adozione dei minori, introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 4 maggio 1983 n.184, successivamente emendata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 e dalla legge 19 ottobre 2015, numero 173.

Tale normativa ha sostituito integralmente, abrogandolo, il capo terzo del titolo settimo del codice civile, intitolato dell’ «adozione speciale». Significativamente, il titolo della legge è il Diritto del minore ad una famiglia; principio ribadito dall’articolo 1 che, al primo comma, enuncia che «il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia». Tuttavia, qualora il minore versi in stato di abbandono o di impossibilità di fatto, o anche solo giuridica, di essere mantenuto, istruito ed educato in seno alla famiglia originaria, può essere temporaneamente affidato ovvero, previa dichiarazione dello stato di adottabilità, dato in adozione a terzi idonei. Dichiarata l’adozione, per effetto dell’articolo 27 della legge 184/83 «l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. (…) Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali».

Il principio fondante che guida la legge ed anche la giurisprudenza, nazionale ed internazionale, è quello del superiore interesse del minore, che deve prevalere sempre e in ogni caso. Ė un principio non nuovo, se si pensa che già nella seconda metà dell’Ottocento lo stato americano del Massachussetts promulgò una legge a tutela dei minori in stato di abbandono, retta, appunto, dal principio del preminente interesse del minore. Le vicende storiche di quel Paese – guerre indiane, guerra civile, immigrazione massiccia – determinarono una rilevante massa di minori orfani o in stato di abbandono per i quali si dovette intervenire in loro tutela. In Italia la sensibilità verso tali tematiche si è manifestata di recente perché, evidentemente, la società ha avuto dinamiche e sensibilità diverse.

Invero, in questi ultimi tempi coppie omosessuali, rafforzate dal riconoscimento giuridico delle unioni civili, il loro desiderio di genitorialità – che, come già precisato dalla Corte Costituzionale, non è un diritto,  ma che pure esiste – la possibilità di praticare all’estero la PMA, ancorché preclusa in Italia, sono fattori che stanno dando, non in via esclusiva ma significativa, un forte impulso a queste tematiche.

***

Il caso che ha dato adito alla sentenza della Corte concerne una coppia omosessuale che, praticata all’estero una PMA (presumibilmente con la tecnica dell’utero in affitto), dà alla luce una bambina della quale, uno dei componenti la coppia è il padre biologico, mentre l’altro è il padre “d’intenzione”, per aver condiviso il progetto genitoriale. Rientrati in Italia, il padre d’intenzione chiede l’adozione della minore, ai sensi della legge 184/83, nonché il riconoscimento, quale effetto della sentenza di adozione, dei rapporti civili della minore con i propri parenti.

Il giudice investito della questione, con riferimento alla domanda di adozione, ritiene di poterla accogliere in quanto, in questo caso, si verserebbe in una ipotesi di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo (l’affidamento preadottivo è un periodo di prova della durata di un anno, prorogabile, è propedeutico all’adozione e, per questa ragione, deve avere lo stesso requisito della situazione di abbandono. n.d.r.), mentre la domanda di riconoscere i rapporti civili con i parenti dell’adottante non è, in base alla legislazione vigente, accoglibile, stante il rinvio dell’art. 55 della L. 184/83 all’art. 300 del codice civile (che, come si è visto, non consente l’instaurazione di rapporti civili tra l’adottato ed i parenti dell’adottante. n.d.r.). Pertanto il giudice solleva la questione di costituzionalità del detto articolo 55 L. 184/83 in riferimento agli articoli 3, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La legge 184/83 prevede tre casi di adozione dei minori: il primo, di adozione cosiddetta piena, allorché il minore si trovi in stato di definitivo abbandono e gli adottanti siano coniugi o abbiano convissuto in modo stabile e continuativo, per almeno tre anni e siano affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere il minore che intendono adottare; il secondo è l’adozione internazionale, regolata in conformità alla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29 maggio 1993; il terzo, l’adozione in casi particolari, così definita dalla legge all’articolo 44, ossia adozione che si discosta dalle prime due perché contempla situazioni che non presuppongono necessariamente uno stato di abbandono definitivo del minore. Riporto testualmente l’articolo 44:

1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:
a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (ossia portatore di handicap. n.d.r.), e sia orfano di padre e di madre;
d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi.

3. Nei casi di cui alle lettere a), c) e d) del comma 1, l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.

***

La Corte, commentando questa norma, osserva che «l’istituto (dell’adozione in casi particolari. n.d.r.) è stato introdotto dalla legge n. 184 del 1983 per fare fronte a situazioni particolari, nelle quali versa il minore, che inducono a consentire l’adozione a condizioni differenti rispetto a quelle richieste per l’adozione cosiddetta piena (ossia la situazione di abbandono)».

«L’adozione in esame, prosegue la Corte, aggrega una varietà di ipotesi particolari riconducibili a due fondamentali rationes».

«La prima consiste nel valorizzare l’effettività di un rapporto instauratosi con il minore. (…) La seconda, che emerge dal dato normativo, risiede nella difficoltà o nella impossibilità per taluni minori di accedere all’adozione piena».

«Vi rientrano il caso dell’orfano di entrambi i genitori, che sia (…) persona «che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione» – nonché l’ipotesi del minore non adottabile in ragione della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Infatti, affidamento preadottivo, essendo propedeutico all’adozione, richiede gli stessi presupposti che legittimano l’adozione.

Da queste premesse la Corte svolge un ragionamento, seguendo – e approvando – gli sviluppi del cosiddetto diritto vivente, ossia il diritto che emerge dall’interpretazione giurisprudenziale secondo l’evoluzione della società in un dato momento storico, che la porta a evidenziare la situazione di minori che hanno una relazione affettiva col partner del genitore biologico quando il primo è giuridicamente impossibilitato ad adottare il minore: si tratta, da un lato, del convivente di diverso sesso del genitore biologico che, non essendo coniuge, non ha il requisito per adottare, dall’altro lato, del partner in un’unione civile o il convivente dello stesso sesso del genitore biologico che ha condiviso con l’altro partner un percorso di procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero, posto che in Italia l’accesso alla PMA è consentito alle sole coppie di sesso diverso. Si versa in ipotesi che, secondo il diritto vivente (condiviso dalla Corte), ammettono, ormai, l’accesso all’adozione in casi particolari.

Ė ovvio che in tal modo, il minore è inserito, di fatto e di diritto, in un contesto affettivo e familiare dal quale “nel suo primario interesse” non può essere distolto, anche, ma non solo,  per proteggere la sua identità ed il suo equilibrio affettivo. E dal contesto familiare non possono essere esclusi i parenti dell’adottante.

 Ne discende che il divieto di istituire legami di parentela con i parenti dell’adottante, contenuto nell’articolo 55 della l. 184/1983 per effetto del rinvio all’articolo 300 del codice civile, è costituzionalmente illegittimo, perché discriminatorio e lesivo dell’interesse del minore.

***

Due parole conclusive. La Corte pur ricordando di aver stigmatizzato in precedenti sentenze la pratica della PMA all’estero da parte di coppie omosessuali, afferma che «lo sforzo di arginare tale pratica – sforzo che richiede impegni anche a livello internazionale – non consente di ignorare la realtà di minori che vivono di fatto in una relazione affettiva con il partner del genitore biologico» e che, pertanto, dovendo essere tutelato il primario interesse del minore, devono essere mantenute le relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate.

Bene, l’interesse del minore è fuori discussione, anche perché, dopotutto, è l’unico che non ha colpe e non può patire le conseguenze dannose derivanti da una situazione dallo stesso non voluta.

Ma riguardando le cose dalla parte dei genitori, biologico e d’intenzione, è evidente che essi si sono recati all’estero, avendo i mezzi per una simile trasferta, per praticare la procreazione medicalmente assistita nella piena consapevolezza che essa è loro vietata in Italia, ossia con il chiaro intento di eludere la legge italiana.

A cose fatte, eccoli rientrare in Italia, con un bebè che, più che latore di un interesse primario, appare in quel momento come il salvacondotto per coprire la violazione della legge, nella certa attesa che il “diritto vivente” attribuirà tutti i riconoscimenti del caso, fino a ventilare che la famiglia tradizionale, di coppia eterosessuale, legata da legami biologici, benché costituzionalizzata, è un ambito dove la «famiglia si tramuta in un dogma, che tradisce il retaggio di una logica di appartenenza in via esclusiva».

In tutto ciò qualcosa non torna.

Vedremo quali sviluppi riserverà il diritto vivente a proposito della famiglia tradizionale.

© Bioetica News Torino, Maggio 2022 - Riproduzione Vietata