Introduzione
a cura di Enrico Larghero
Comprendere la storia delle Neuroscienze è un modo meraviglioso per avvicinarsi alla loro realtà attuale. Spesso la scienza viene raccontata come una serie di verità indiscutibili, di conoscenze definitive e di scoperte fortuite. Tuttavia non è mai stato e non sarà mai così. Le nozioni acquisite sul sistema nervoso centrale non provengono dal caso, ma sono il risultato di fatica, sacrifici e lavoro sia individuale che di gruppo.
Ė un percorso lungo che ci ha condotto, soprattutto negli ultimi decenni, a vertiginosi progressi, nonché a definire e diagnosticare alcune malattie ponendo così le basi per nuove cure. Mettere in evidenza i passi a volte incerti, a volte geniali che sono stati compiuti ci permette di capire meglio la situazione attuale e gli sviluppi più recenti realizzati attraverso il contributo dei ricercatori di tutto il mondo.
Nel secolo dei lumi, gli scienziati iniziano ad esaminare la sostanza cerebrale e arrivano a capire che questa è divisa in una sostanza grigia e una sostanza bianca contenente fibre che convogliano le informazioni “alla” e “dalla” sostanza grigia. Ci si rese conto che il cervello presenta delle protuberanze, dette giri, e avvallamenti, detti solchi e scissure, che consentivano una ripartizione del cervello in lobi.
Alla fine XVIII secolo, l’anatomia macroscopica del sistema nervoso era stata descritta in dettaglio mentre rimaneva nebulosa la sua fisiologia, descritta più su base speculativa che empirica.
Nel XIX secolo, le concezioni fisiologiche saranno rivoluzionate dalla scoperta, anticipata da Galvani, della natura elettrica dell’impulso nervoso. Il fisico scozzese Charles BELL e il fisiologo francese Francois MAGENDIE dimostrano che i nervi sono “fili” che, conducendo segnali elettrici “al” e “dal” cervello in un rapporto bidirezionale, veicolano informazioni motorie e sensitive.
In questo secolo inizia la grande stagione delle localizzazioni corticali che passa attraverso le figure di Franz Joseph Gall e di Pierre Flourens.
Per l’austriaco GALL, tutte le funzioni psichiche potevano essere localizzate in ben definite zone cerebrali il cui sviluppo era tanto maggiore quanto più lo era la facoltà ad esse connessa. Il maggiore o minore sviluppo di tali aree era responsabile delle protuberanze o depressioni osservabili sulla scatola cranica, esaminando le quali era possibile riconoscere le capacità cognitive e i caratteri psichici dell’individuo. Tale dottrina prese il nome di frenologia e suscitò grande interesse nel XIX secolo, sia in Europa che negli Stati Uniti d’America.
Alle tesi di Gall si oppose il fisiologo francese FLOURENS che, applicando il metodo di ablazione sperimentale sul cervello di una grande varietà di animali, fornì la prima dimostrazione della dipendenza dalla corteccia cerebrale delle funzioni psichiche o mentali. Egli sosteneva però che tali funzioni mentali non avevano una localizzazione precisa ma ogni regione del SN svolgeva un proprio ruolo in ognuna di esse.
La prima evidenza scientifica della localizzazione delle funzioni cerebrali fu fornita dal chirurgo ed antropologo francese Pierre-Paul BROCA che dimostrò, nel 1861, che una lesione in un’area circoscritta dell’emisfero cerebrale sinistro causava una difficoltà a parlare ovvero un’afasia che fu poi, in suo onore, chiamata di Broca.
Successivamente, nel 1874, Carl WERNICKE scopre che il danno in una zona del lobo temporale comprometteva la comprensione di un discorso (afasia di Wernicke). Lo psichiatra e neurologo tedesco ipotizzò che il linguaggio, al pari di qualsiasi altro comportamento complesso, fosse il prodotto non di una singola regione ma di varie aree del cervello, specializzate e interconnesse. I suoi studi avviarono una nuova corrente di pensiero che va sotto il nome di connettivismo.
Alla fine dell’Ottocento le conoscenze anatomiche tradizionali saranno integrate dagli straordinari sviluppi dell’istologia che, grazie agli studi dell’italiano Camillo GOLGI, dello spagnolo Santiago RAMON J CAYAL e dell’inglese Charles SHERRIGTON, porteranno all’identificazione del neurone quale unità cellulare autonoma e funzionalmente indipendente del sistema nervoso.
Il XX secolo è segnato dalle conquiste della neurofisiologia, della neurochimica e della neurofarmacologia. Viene chiarito che i neuroni comunicano fra loro tramite un codice basato sull’impiego di un meccanismo elettrico, rappresentato dal potenziale d’azione, ed uno chimico, mediato dai neurotrasmettitori (eccitatori o inibitori). Nel 1929 lo psichiatra autriaco Hans BERGER, scopre che vi è una differenza di potenziale elettrico tra due elettrodi posti sul cuoio capelluto.
Inizia l’era dell’elettroencefalografia, metodica diagnostica ancora oggi fondamentale nello studio dell’epilessia e delle patologie metaboliche e infettive del Sistema nervoso. Vengono fornite evidenze che numerose malattie nervose e mentali sono provocate da alterazioni del funzionamento della parte chimica del codice di comunicazione neuronale. Questo ha portato alla sintesi di farmaci innovativi, con importanti ricadute terapeutiche.
La ricerca nei vari ambiti delle neuroscienze è stata rivoluzionata negli ultimi anni dall’avvento delle biotecnologie. Tecniche particolarmente raffinate quali la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica, la risonanza magnetica funzionale, la tomografia a emissione di positroni, ci permettono di ottenere, oggi, in maniera non invasiva immagini del cervello e localizzare le aree dove si verifica una particolare funzione mentale.
Da pochi decenni le neuroscienze hanno iniziato a indagare sui meccanismi che sottendono alle funzioni mentali complesse, che in precedenza erano escluse dagli orizzonti delle scienze sperimentali.
Il XXI secolo porterà alla decifrazione dei geroglifici cerebrali che descrivono i meccanismi che generano i processi mentali? Sarà questa, di certo, una delle sfide delle neuroscienze negli anni a venire.
Articolo tratto dalla rubrica Bioetica e Notizie de «La Voce e il Tempo per la cui pubblicazione ringraziamo il direttore Alberto Riccadonna
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