Prof. Pia Massaglia
L’esordio di una malattia grave nell’infanzia
implica un’esperienza di intensa crisi per il bambino e i suoi familiari e comporta l’ingresso in ospedale. A livello emotivo si configura un profondo cambiamento, che dissesta l’equilibrio precedente, apportando innumerevoli sofferenze e difficoltà, che possono apparire assolute, cioè estreme ed eterne.
Anche se l’ospedalizzazione in pediatria, oggi più che mai, rappresenta la risposta ad un bisogno fisico e/o psichico non adeguatamente affrontabile nel normale ambiente di vita, tuttavia interrompe l’andamento della quotidianità dell’intero nucleo e fa sperimentare al bambino/ragazzo che il proprio corpo diventa oggetto di investigazioni e/o di trattamenti, che (unitamente alla sintomatologia avvertita personalmente) sollecitano timori più o meno rilevanti rispetto all’integrità fisica, allo stato di malattia, alla vita.
Si delinea una crisi d’identità completa, con sentimento di estraniamento a sé e percezione di minaccia negli interventi degli operatori sanitari.
Spesso nel vissuto del piccolo ricoverato si inverte l’ottica interpretativa dell’esperienza contingente, passando dalla considerazione reale «sono in ospedale, perché sto male» alla valutazione soggettiva «sto male, perché sono in ospedale». Per limitare il rischio che la cura sia vissuta come una persecuzione occorre effettuare con il bambino/ragazzo un corretto e sincero esame di realtà, attraverso un dialogo diretto e attento, oltre che ad informare sugli aspetti concreti, ad ascoltare le implicazioni emotive individuali (ansie, rabbie, incertezze, paure, speranze, desideri ecc.) senza cercare immediatamente di rassicurarlo o di distrarlo.
Diventa allora fondamentale per il bambino/ragazzo essere aiutato a superare le proprie interpretazioni fantastiche sulla permanenza in ospedale e sugli atti a cui è sottoposto, per ritrovare “il senso della cura” e la propria possibilità di accettarla e di parteciparvi (anziché di subirla) nell’ambito di un’alleanza terapeutica, maturando un atteggiamento di collaborazione consapevole.
Se viene espressa ed ascoltata, la sofferenza può essere condivisa e in parte consolata, se resta inespressa aggrava i sentimenti di solitudine e di esclusione.
Con un accompagnamento adeguato, l’esperienza di malattia e di terapia viene, più o meno dolorosamente, integrata nel percorso di vita, recuperando la prospettiva sul futuro, anche se in alcuni casi è richiesta una riformulazione dei propri progetti.
Gli operatori ospedalieri svolgono il loro lavoro nell’interesse del bambino/ragazzo, ma per essere da lui riconosciuti come “i suoi curanti” devono essere in grado di accogliere e di comprendere i suoi vissuti e le sue reazioni, aiutandolo a pensare sulla propria esperienza e a sostenerla, quindi incontrandolo come persona confrontata con una prova significativa.
La consapevolezza del bisogno e della possibilità di ricevere aiuto nell’ambito della relazione terapeutica in genere attiva nel bambino/ragazzo un miglior adattamento e sollecita investimenti positivi, consentendogli una migliore qualità di vita e favorendo una sua più completa crescita.
Il rapporto con l’ospedale può essere riconsiderato con gratitudine, se la cura della malattia comprende l’attenzione e l’interesse per la persona, di modo che l’intervento sanitario, indispensabile per la salute e/o per la vita, si inserisca nell’ambito di un “buon incontro”, che lascia in ogni caso una traccia positiva.
In questa prospettiva di offrire buoni incontri, si colloca l’attività regolare di lettura in ospedale, che rappresenta una risorsa preziosa nell’ambito degli interventi a favore del miglioramento della qualità di vita durante e dopo il ricovero, per la sua rilevanza soprattutto sul piano emotivo e relazionale.
Innanzitutto la lettura ad alta voce consente ai bambini malati, indipendentemente dall’età e dai limiti imposti dalle loro condizioni di malattia e di cura, di partecipare ad un’attività di elevato valore educativo mediata dalla narrazione, che oltre a costituire un piacevole intrattenimento fornisce un’occasione forse unica di rapporto con un adulto extra-familiare ed extra-sanitario, non richiedente ma elargente, anche se professionale.
Inoltre a livello emotivo-relazionale l’offerta di incontro tramite la lettura di un testo si colloca in un campo transizionale, rappresentato appunto dalla storia, che fornisce una piattaforma delimitata e neutra rispetto al coinvolgimento personale, già sollecitato pesantemente dalle condizioni fisiche contingenti.
L’apertura di un ambito transizionale consente infatti al bambino malato di disporsi in un’area di maggiore o minore vicinanza (rispetto al lettore e al racconto) in base alle proprie risorse e fragilità contingenti. Nello sviluppo normale la voce costituisce il ponte che il bambino getta rispetto alla distanza fisica acquisita con la capacità motoria, che lo svincola e lo separa; nell’ambito della limitazione imposta dalla condizione di ricovero la voce consente un contatto estremamente significativo ma a distanza, garantendo il necessario rispetto del corpo e di uno spazio di sicurezza. Ne deriva un ampio margine di discrezionalità, che favorisce un più sereno vissuto dell’attività in confronto ad altre proposte ludico-didattiche.
Allo stesso tempo si sollecitano sentimenti e pensieri e si stimola il canale verbale, il cui arricchimento è sempre prezioso nel processo evolutivo, ma è ancora più opportuno in rapporto all’esperienza di malattia e/o di terapia, che rischia di risultare tanto più traumatica, quanto meno è esplorabile e comunicabile nei suoi risvolti emotivi.
Si tratta quindi di una proposta sempre adeguata nei diversi ambiti ospedalieri (ambulatori, day-hospital, degenze), ma particolarmente valida in caso di affezioni gravi con periodi di ospedalizzazione prolungati e/o ripetuti, come accade per molte patologie (oncologiche, malformative ecc) o per sequele di eventi traumatici.
Le letture possono essere di vario genere (come fiabe, miti, leggende, favole, racconti e novelle d’autore, filastrocche) e vanno scelte nell’ambito di quelle normalmente proposte per l’infanzia, con attenzione alla ricchezza in termini di comunicazione emotiva rispetto ai grandi sentimenti della vita: timori, speranze, gioie e sofferenze costituiscono la trama profonda di molte storie, in cui si giocano anche incontri favorevoli e sfavorevoli e si snoda un percorso.
Tutti questi elementi contribuiscono ad offrire ai piccoli ricoverati un modo delicato ma efficace di prendersi cura della loro esperienza, restituendola all’ambito generale della vita e della crescita.
La lettura ad alta voce svolta dall’adulto aiuta anche a recuperare la fiducia nell’attenzione e nella capacità dei “grandi” di comprendere e di condividere, quindi di curare.
Vengono così naturalmente contenuti i sentimenti di solitudine e di incomunicabilità, e può essere superato il vissuto di fissazione atemporale dell’esistenza a favore del recupero della continuità della propria storia di vita, che comprenda (oltre all’adesso) il passato e la prospettiva del futuro.
L’esperienza di ospedalizzazione e di malattia può allora essere meglio affrontata, perché sentita come meno devastante, quindi superata (patologie acute) o integrata (patologie croniche) nel processo di crescita.
Ascoltare molte storie aiuta il bambino a riprendere il filo della propria storia, rimettendosi in cammino e recuperando il percorso precedente. Ad alcuni bambini consente anche una maggiore elaborazione simbolica, che permette di pensare (quindi di raccontare e/o di scrivere) la propria esperienza in ospedale.
Per molti genitori l’attività di lettura ad alta voce rappresenta un possibile modello di incontro con il proprio bambino, realizzabile nel quotidiano sia in ospedale sia a casa, con effetti positivi sulla qualità della relazione in un momento di particolare difficoltà.
© Bioetica News Torino, Settembre 2013 - Riproduzione Vietata