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Milioni di euro sprecati per esami e visite che non servono

24 Novembre 2014

Visite specialistiche ed esami in eccesso, cioè eseguiti quando non sarebbero necessari per la diagnosi o la cura di una malattia. Ma anche, all’opposto, prestazioni mancate, spesso a scapito della prevenzione. Sono i due volti della non appropriatezza di prestazioni sanitarie, che pesa sulla salute dei cittadini e in termini di sprechi sulle tasche del Servizio sanitario nazionale. Secondo alcuni studi, per esempio, degli oltre 100 milioni di indagini radiologiche eseguite ogni anno in Italia il 30-50% sarebbe parzialmente o totalmente ingiustificato. E la Società italiana di medicina interna stima che dei 64 milioni di visite specialistiche annue, per un costo di circa un miliardo di euro, il 10% non sarebbe appropriato. «Esiste effettivamente un eccessivo ricorso alla diagnostica per immagini e alla radiologia in tutte le sue forme — afferma Carlo Masciocchi, presidente della Società italiana di radiologia medica —. È sbagliato sottoporre i pazienti a un numero crescente di accertamenti, anche con radiazioni ionizzanti che comunque espongono a un rischio».

Diagnostica sofisticata

Ma perché si prescrivono troppi esami? « È innegabile — risponde Masciocchi — che indagini strumentali e di diagnostica per immagini sempre più sofisticate permettano un riconoscimento precoce delle varie patologie; purtroppo, però, il crescente ricorso ad accertamenti diagnostici può essere attribuito alla cosiddetta “medicina difensiva”, cioè a quella pratica medica non finalizzata esclusivamente alla diagnosi e alla terapia, ma orientata piuttosto alla tutela legale del medico o seguita per consuetudine». Un esempio per tutti: la risonanza magnetica. «Viene richiesta in modo inappropriato anche per patologie degenerative delle ossa o delle articolazioni, come l’artrosi, — dice Masciocchi — mentre un esame radiologico correttamente eseguito sarebbe più efficace». «Capita anche di ripetere esami diagnostici a causa di macchinari obsoleti: un costo inutile per il paziente e per il Servizio sanitario — segnala il coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva, Tonino Aceti —. E sul numero eccessivo di esami e visite influisce l’assenza di “percorsi diagnostici-terapeutici” per certe patologie: dove esistono, calano prestazioni inutili e sprechi». «Una delle principali sfide per la sanità è la gestione corretta di pazienti che soffrono di malattie croniche, come diabete o cardiopatie, che spesso richiedono il ricorso a più specialisti — aggiunge Fiorenzo Corti, della Federazione italiana medici di medicina generale —. Il ruolo di “regista” del medico di famiglia dovrebbe evitare che questi assistiti ripetano inutilmente esami già eseguiti».

I problemi di chi ha più malattie

Secondo la Società italiana di medicina interna le visite specialistiche che si effettuano nel nostro Paese sono troppe. «Un’eccessiva frammentazione — dice il presidente, Gino Roberto Corazza — non consente una presa in carico globale del paziente, necessaria soprattutto per gran parte degli oltre otto milioni di italiani che hanno due o più malattie croniche. Per i pazienti “complessi”, almeno in un caso su tre, il medico di riferimento dovrebbe essere l’internista, che valuta se indirizzare il malato allo specialista d’organo, per esempio il cardiologo. Nessuna contrapposizione tra medici, ma maggiore organizzazione per migliorare l’assistenza e ridurre i costi inutili». Proprio sull’alleanza tra medici e pazienti punta la cosiddetta “slow medicine”, diffusa ormai anche in Italia: lo scopo è individuare, discutendone insieme, prestazioni ed esami prescritti anche quando non sarebbe necessario, al fine di evitarli, perché “fare di più non significa fare meglio”. Ma anche il sottoutilizzo di prestazioni si traduce in sprechi. «Bisogna giocare d’anticipo, con la “medicina d’iniziativa” — spiega Corti —. Per esempio, a chi soffre di diabete il medico propone controlli “su misura” anche per prevenire le complicanze, e poi verifica che l’assistito faccia gli esami. Dove i medici di famiglia sono coinvolti negli screening, ad esempio per il tumore al colon retto, le adesioni aumentano: vuol dire diagnosi precoci e quindi cure più efficaci». E il Servizio sanitario alla fine risparmia.

Maria Giovanna Faiella

fonte: Corriere della Sera

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino