Continua la riflessione sul presente e sul futuro del noto psicanalista e filosofo argentino Miguel Benasayag, sempre segnata da acume, realismo e foriera di proposte e consigli sempre mai banali.
L’epoca dell’intranquillità. Lettera alle nuove generazioni (Vita e Pensiero, dicembre 2023), scritto a quattro mani con Teodoro Cohen, giovane filosofo anch’egli facente parte del collettivo Malgré Tout, è un fecondo dialogo tra due generazioni diverse: una che ha vissuto il cambiamento antropologico epocale, segnato dallo sviluppo e dalla iper diffusione delle tecnologie e delle ICT e l’altra che vi è nata dentro, ossia un nativo digitale. E’ ovvio che i punti di vista sono diversi, ma di fronte alle nuove sfide che il mondo contemporaneo continuamente pone, la necessità di trovare una strategia è alquanto incombente.
Pandemie, guerre, mutamenti climatici. Tutti grandi eventi che eccedono le capacità dei singoli di metabolizzarle a dovere, specie in uno scenario dove trovare un orizzonte di senso diventa sempre più difficile.
Il sentimento dell’intranquillità richiamato nel titolo, potrebbe, secondo gli autori, essere uno strumento efficace, sebbene non risolva appieno la questione in un epoca segnata da una “utopia di decostruzione totale”, dove le narrazioni sono divenute realtà adottanti pseudo vesti metafisiche, maschere di senso che nascondono non volti.
L’intranquillità, a differenza dell’ansia e della paura (la prima rivolta verso l’incertezza, la seconda verso qualcosa di concreto), diviene un atteggiamento di continua veglia, quasi di attivismo, atteggiamento che prova, vuole continuare a cercare, nonostante le direzioni mostrate e propinate paiono indicare, paradossalmente, che una direzione non ci sia.
E’ l’opposto di chi vive, citando Spinoza, le passioni tristi, ossia di chi si lascia vivere e non si rende padrone delle sue scelte e timoniere della propria esistenza.
Anche il riferimento a modelli del passato diventa difficile, se il risultato ottenuto da questi è il presente così come lo conosciamo e viviamo.
Scrive l’autore: “Agire ‘qui e ora’, in situazione, non significa in alcun modo riabbracciare una certa immediatezza. Il presente di cui parliamo non è un presente scarno, fatto di istanti senza spessore. Il presente situazionale di cui parliamo è il presente spesso ed esteso proprio del vivente, in cui il passato e il futuro esistono come sue dimensioni. Il futuro non esiste come blocco ‘in sé’, come il blocco di ‘ciò che sarà’, ma è una dimensione del presente, nel senso in cui partecipa in maniera dinamica alla sua tessitura: immaginare un futuro democratico e vivibile è ciò che permette di agire all’altezza della situazione, quando ci si oppone a una dittatura, senza pertanto agire ‘in nome’ di quel futuro che non esiste ancora. Agiamo nel nome del presente e delle sue sfide (pp. 128 – 129)” E ancora: “Se ci sarà un domani, esso dipenderà anche dalla capacità di assumere il presente situazionale (p. 129)”.
E assumersi questa responsabilità parte da un cambio di prospettiva cosciente, volontario e aperto a tutte le prospettive, avendo in sè la tensione, l’istinto e il vero desiderio di muoversi verso il bene, personale e collettivo. Questa potrebbe sembrare una banalità, ma se si analizza il mood iper individualista e soggettivista della contemporaneità, dove l’immagine, la rappresentazione (virtuale e non) della persona ha maggior valenza della controparte ontica, ontologica e esistenziale, tale direzione può essere intrapresa grazie ad un passaggio fondamentale, ossia cambiare dal “funzionare” “all’esistere”, nell’essere consapevole della singolarità del vivente (per citare due titoli di altre due fortunate opere dell’autore), del suo ruolo nella sua storia e nella storia in generale.
L’angoscia e l’intranquillità non devono essere patologizzate, ma devono essere viste come momenti di possibilità creativa, come ciò che ci mette in moto, che ci spinge a non essere soddisfatti una volta per tutte. Ai venditori di sicurezza rispondiamo che l’illusione noi già la conosciamo, e che noi non cerchiamo la sicurezza, ma la possibilità di seguire e sostenere il deisderio che ci attraversa, che è desiderio di vita, di gioa, di solidarietà. Il caos, la distruzinoe, l’orizzonte minaccioso per noi sono le condizioni in cui sviluppare il nostro agire.
In questo bel testo, i due autori lasciano una sorta di “messaggio nella bottiglia” da aprire e trasformare in proprio, in cui dopo aver proposto una lettura estremamente critica della società contemporanea, dove aleggia la cosiddetta “tirannia dell’algoritmo”, della prestazione fine a se stessa, nella parte finale propongono una serie di prospettive di un impegno alternativo, che assuma la condizione della fragilità umana e l’attitudine all’intranquillità, come spinta a “sostenere il desiderio che ci attraversa, che è desiderio di vita, di gioia e di solidarietà”.
© Bioetica News Torino, Febbraio 2024 - Riproduzione Vietata