Migranti: da “accogliere, tutelare e integrare” Papa Francesco nella Giornata mondiale de Migrante e del Rifugiato da Matera per il XXVII Congresso eucaristico internazionale. Uno studio di Refugee International
26 Settembre 2022Mentre ad Iglesias in Sardegna si celebrava la Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato, la cui costituzione risale al 2014 per porre l’attenzione verso gli italiani che avevano lasciato il loro paese in cerca di fortuna, a Matera a conclusione delle quattro giornate del XXVII Congresso eucaristico nazionale Papa Francesco dopo la messa, nell’Angelus ricorda la Giornata spronando tutti a rinnovare «l’impegno di edificare il futuro secondo il disegno di Dio: un futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità». Perché? «Perché il regno di Dio si realizza con loro, senza esclusi».
Nell’omelia commentando la lettura della parabola del ricco epulone e di Lazzaro, il povero sofferente per la fame e dal corpo piagato, disteso sulla soglia del portone di casa dell’uomo ricco, Papa Francesco richiama l’attenzione all’indifferenza veros i più bisognosi e al rischio che ne comporta. «Non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso: questo è vero; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia».
Allora, come oggi, è triste vedere, aiutandoci a prendere consapevolezza, «questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre».
Ponendo un confronto sul piano dell’oggetto dell’adorazione Papa Francesco mette in evidenza la differenza dei comportamenti umani da cui scaturiscono decisioni personali e per la collettività egoistiche, fine per sé o di amore per se e per gli altri:
se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto. Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù.
Dal pane eucaristico di comunione personale, spezzato per tutti e comunione e collettiva con gli altri fratelli e sorelle, traiamo la nostra “conversione” ad una vita nuova di impegno che muove «dall’indifferenza alla compassione, conversione dallo spreco alla condivisione, conversione dall’egoismo all’amore, conversione dall’individualismo alla fraternità», invita Papa Francesco.
«Non c’è Paese, non c’è popolo che non sia in cammino. Tra questi saranno ormai 90 milioni i richiedenti asilo e rifugiati al termine di questo anno, anche in seguito alla tragica guerra in Ucraina, che ha costretto a lasciare le proprie città e le proprie case per mettersi in fuga oltre sei milioni e mezzo di persone, soprattutto donne e bambini», ha affermato il presidente della Fondazione Migrantes mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara – Comacchio nella rivista Migranti – Press (luglio-agosto 2022). Alla domanda chi sono risponde così: «Sono le vittime, spesso dimenticate, di oltre 30 guerre dimenticate, dei disastri ambientali, dei popoli alla fame. Sono le vittime della tratta, della violenza e di ogni forma di sfruttamento». Le tappe di questo cammino, ricordate anche da Papa Francesco nell’Angelus citato, sono accoglienza, tutela, promozione e integrazione.
Riferendosi all’accoglienza di molte persone a Lampedusa, portano ad una significativa riflessione le parole citate del cardinale Montenegro tra il materiale disposto per la preparazione alla Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato nel 2022: «Credo che il mondo nuovo è soprattutto questo: dove non noto la differenza ma scopro che con l’altro posso vivere e posso sperare insieme perché sperava l’Africano che arrivava e spera il lampedusano che ci abita. Un futuro fatto di muri, un futuro fatto di diversi che si mettono accanto guardandosi con diffidenza è già un presente che mi porta indietro e non mi porta avanti».
La Sardegna agli inizi del 2022 si colloca al quart’ultimo posto nella classifica per numero di residenti stranieri, preceduto da Basilicata, Molise e Valle d’Aosta, pare essere «non particolarmente attrattiva rispetto ad altri contesti regionali, sebbene non manchino i segnali di alcuni processi in atto di stabilizzazione del fenomeno migratorio, in particolare per alcune collettività» (Migranti, Speciale approfondimento, luglio – agosto 2022). Sono presenti soprattutto nelle province di Cagliari e Sassari. Dai dati aggiornati a gennaio 2021 tra le comunità straniere più presenti vi sono quella romena seguita con un certo distacco dalla senegalese. Meno della metà dei cittadini stranieri in Sardegna è assorbita dalla collettività romena ed europea, fra cui l’ucraina (2.599 unità) e la tedesca (1.088 unità); seguono l’africana per il 28% soprattutto dal Senegal e dal Marocco; l’asiatica in particolare la cinese e la filippina; dall’America latina, proveniente soprattutto dal Brasile, e alcuni residenti proveniente dall’Australia.
Nel 2022 dai dati del Dipartimento ministeriale della Pubblica sicurezza sono sbarcati in Italia dal 1 gennaio alle 8 del 26 settembre 69.894 migranti mentre nel 2021 sono stati rilevati 44.763. I mesi in cui si sono avuti più sbarchi sono stati luglio e agosto, rispettivamente sulle tremila nel primo e 16mila nel secondo. Le provenienze identificate riguardano in ordine Tunisia (14.496), Egitto (13.536), Bangladesh (10.135), Afghanistan (5.320), Siria (4.560), Costa d’Avorio ( 2.206), Eritrea (1.663), Guinea (1.652), Iran (1.513), Pakistan (1.504).
Sempre dai dati dello Dipartimento citati nel cruscotto statistico giornaliero dal Ministero dell’Interno, i minori non accompagnati sono stati rilevati 7.486 nel 2022, 10.053 nel 2021 e nel 2020 4.687.
RIfugiati, richiedenti asilo. Esistono differenze tra il diritto e l’applicazione sul campo?
I ricercatori Ginn T., Ressstack R., Dempster H et al. presso il Center for Global Development (CGD), Asylum Access e Refugees International hanno esaminato 51 paesi ospitanti l’87 % della popolazione mondiale di rifugiati in uno studio per conoscere la situazione fino al 2021 e quali sono le barriere giuridiche e pratiche che incontrano nell’inclusione lavorativa. Con il termine rifugiato si riferiscono a stranieri sfollati forzati a causa di persecuzione o conflitto e i loro discendenti non sono cittadini e popolazioni sfollate perché come il caso dei Venezuelani costretti ad emigrare. Pubblicato il Rapporto 2022 Global Refugee Work Rights (28 luglio 2022, Harvard) emergono sostanziali differenze sul piano giuridico e nella pratica: «almeno il 62% dei rifugiati vive in paesi dove la struttura giuridica per il lavoro è adeguata o migliore. Tuttavia molte di queste leggi non sono del tutto implementate: almeno il 55% dei rifugiati vive in un paese che limita significativamente il loro diritto al lavoro nella pratica, e almeno il 19 percento dei rifugiati vive in un paese che limita severamente il loro diritto al lavoro nella pratica. Un quadro rappresentativo rispettivamente di almeno 16 milioni e 5milioni 500 mila».
Se da un lato i paesi ad alto reddito offrono spesso ai rifugiati che vengono riconosciuti “forti” diritti lavorativi ma anche qui, fanno osservare i ricercatori del Rapporto, dall’altro li limitano nella pratica secondo il tipo di status, ad esempio ai richiedenti asilo oppure per la mancanza di permessi lavorativi o commerciali specifici per i rifugiati. Ci sono anche paesi, tre su 19, che hanno un accesso adeguato in pratica ma non garantito sul piano giuridico. Negli ultimi 5 anni la popolazione dei rifugiati mondiale vive per il 28% circa in un paese in cui l’occupazione salariale nella pratica è migliorata mentre per il 29% circa è peggiorata. Riguardo all’educazione almeno il 64%dei rifugiati vive in paesi che forniscono l’accesso effettivo ad un’educazione di base con un accesso simile alla scuola secondaria; tuttavia solo l’11% dei rifugiati vive in paesi in cui possono certificare i titoli accademici e professionali dal loro paese di origine.
DIRITTI LAVORATIVI PER I RIFUGIATI. Sono 9 su 51 paesi del campione che hanno ricevuto un punteggio (da 1 a 5 ) 5 (si veda la mappa interattiva sul sito https://refugeeworkrights.org/scorecard/ ), paesi che incontrano i criteri di politiche nazionali che sostengono il diritto al lavoro dei rifugiati senza restrizioni ed estendono loro le protezioni lavorative: ospitano il 12% della popolazione dei rifugiati mondiale. Poi un 50% dei rifugiati vive in 21 paesi con punteggio 4 (giallo), ovvero più della metà della popolazione mondiale sfollata vive in paesi che in generale rispettano gli rispettano i diritti lavorativi secondo la normativa. Invece un paese risulta limitante se ottiene un punteggio 3 (arancione), 2 (rosso) e 1 (porpora) sul piano giuridico.
I paesi con medio – basso reddito del campione si presentano 3 su 8 con il punteggio più basso 2 (verde) in materia legislativa sul diritto al lavoro per i rifugiati. I paese con reddito medio si rivelano con il più basso punteggio riguardo alla normativa legislativa: 7 su 8 hanno ricevuto punteggio 1 (porpora) o 2 (rosso) mentre 10 e i 20 paesi con reddito alto-medio il punteggio è 4 o 5. Per la maggior parte dei paesi ad alto reddito il punteggio è 4 (giallo), che «riflette un periodo di attesa da due a nove mesi prima che i richiedenti asilo possano accedere legalmente ad un lavoro, alle volte accompagnato da altri ostacoli burocratici».
A livello regionale in America Latina e nei Caraibi i rifugiati hanno una normativa robusta, 4 su 11 paesi hanno ottenuto un punteggio 5 (verde): Argentina, Brasile,, Ecuador e Panama. 5 paesi, Chile, Colombia, Costa Rica, Messico e Perù hanno ottenuto un punteggio 4 (giallo). Colombia e Costa Rica hanno una normativa più robusta del gruppo ma occorrono 3 mesi per i richiedenti asilo, osservano i ricercatori, prima di poter lavorare legalmente. Il Perù pare invece adottare politiche non scritte che negano l’asilo ai venezuelani richiedenti dal confine peruviano. Le politiche del Cile, Messico e Perù limitano in modo ufficiale libertà di movimento di accesso e all’interno di questi paesi. Trinidad e Tobago ricevono un punteggio di 3 come il paese privo di legislazione sul diritto all’asilo o di lavoro, tuttavia risulta, afferma il Rapporto, che dal 2020 sono state attuate diverse misure di concessione per i rifugiati venezuelani il permesso di residenza e lavorativa nel paese.
Africa ed Europa si presentano con 9 paesi in ciascuna regione su 12 e 13 paesi rispettivamente ricevendo due punteggi alti. Chad, Rwanda e Uganda hanno ottenuto il punteggio alto. 6 paesi africani e 8 europei hanno ricevuto 4 di punteggio: Burundi, Cameroon, la Repubblica democratica del Congo, Egitto, Etiopia e Kenya; Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Serbia, Spagna e Svizzera. In Europa i paesi che hanno ottenuto 4 (giallo) presentano un periodo di attesa da due a nove mesi per i richiedenti asilo prima di avere accesso legale al lavoro, alle volte accompagnato da ostacoli burocratici. Per la maggior parte dei paesi africani del campione preso, il punteggio giallo riguarda le politiche interne: Burundi, Cameroon, Repubblica democratica del Congo, Etiopia e Kenya hanno politiche che richiedono almeno ad alcuni gruppi di rifugiati o richiedenti asilo di risiedere nei campi di internamento se non sono concessi permessi di libero movimento.
Danimarca, Grecia, Malawi, Nord Macedonia, Sudan e Tanzania con un punteggio 3 (arancione) per una normativa o politiche significativamente restrittive sul mercato del lavoro rendendo impossibile per quasi alcuni gruppi l’accesso. La Libia si presenta con il rosso (punteggio 2) dove i rifugiati non possono rimanere legalmente nel paese e non possono accedere al diritto al lavoro accordato agli altri stranieri.
In Medio Oriente più di 5 paesi ricevono un punteggio di 3 (arancione). In Kurdistan iracheno per la maggior parte dei rifugiati il lavoro non è garantito per legge ma soggetto a discrezione ministeriale mentre in Giordania è altamente limitato dalla nazionalità e dal settore lavorativo.
L’Asia, da Est a Sud e Sudest rappresenta la regione peggiore in tema di diritti lavorativi per i rifugiati: 4 su 7 paesi hanno ricevuto 1 come punteggio (porpora).
RELAZIONE TRA DIRITTO PER LEGGE E DIRITTO DI FATTO
Per la maggior parte dei casi la legge rappresenta una condizione necessaria per l’accesso effettivo al mercato del lavoro. In tre paesi la pratica non è legata ad un ambiente normativo. La legge, tuttavia, riporta il documento, non è sufficiente, 14 paesi hanno ambienti legislativi adeguati ma presentano barrire nella pratica.
In generale, spiegano gli Autori, 25 paesi del loro campione hanno ambienti giuridici migliori rispetto alla pratica mentre 9 paesi registrano condizioni di fatto migliori di quelle giuridiche. 17 paesi presentano simili condizioni tra pratica e legislative.
Sebbene risalga al 1951 la Convenzione del rifugiato e il Patto economico per garantire il loro accesso al mercato del lavoro solo 9 dei 51 paesi hanno una politica nazionale che sostiene il diritto dei rifugiati al lavoro senza limitazioni.
Per la libertà di movimento gli autori hanno riscontrato un lieve aumento delle barriere negli ultimi cinque anni; il 43% vivono in paesi dove la libertà di movimento non è mutata, il 27% dove la libertà di movimento è declinata per loro.
il 66 per cento dei rifugiati che vivono in paesi con punteggio 3 possono far ricorso per le violazioni riguardo al posto di lavoro ma le barriere burocratiche come tempo di attesa o il timore di venir deportati prevengono molti dal farlo; avviene soprattutto nei paesi a basso reddito: Austria, Costa Rica, Israele e Ruanda hanno ricevuto generalmente voti alti per l’accesso al ricorso governativo mentre Bangladesh, Indonesia e Tanzania quelli peggiori.
Com’è la situazione in Italia?
Dai dati Alto commissariato per il rifugiato nel 2021 l’Italia ha ospitato 134,499 rifugiati e 53.686 richiedenti asilo, provenienti per paese di origine dal Pakistan e dalla Nigeria. Dal Rapporto Global Refugee Work Rights una volta che il rifugiato sia riconosciuto può lavorare mentre un richiedente asilo, in base al decreto italiano di accoglienza (2015) può iniziare 60 giorni dopo averne fatto richiesta. Una volta concesso lo stato di rifugiato, il permesso di residenza dà la possibilità di lavorare, incluso nel settore governativo. Hanno lo stesso trattamento dei cittadini italiani in termini di competenza nell’accedere ad un impiego e attività autonoma.
Rifugiati, richiedenti asilo e con protezione sussidiaria possono muoversi liberamente. Hanno il diritto di permanenza in un centro di accoglienza ma non sono obbligato e possono sistemarsi fuori da tali centri. I richiedenti asilo registrati presso i centri di accoglienza governativi possono essere soggetti a restrizioni e limitazioni di tempo per spostarsi e richiedere permesso di trasferimento tra i centri di accoglienza.
Il Rapporto mostra che nella pratica i rifugiati devono attendere molti ritardi nell’avere un permesso di residenza e le barriere burocratiche sono poi un altro impedimento. Più facile avere un permesso di soggiorno a breve termine, con richieste di rinnovo per anni, che rende difficile ottenere un lavoro perché i datori non vogliono in genere rifugiati con documenti verso la scadenza o con validità breve.
Pochi sono i rifugiati in grado, spiegano gli Autori, di accedere a prestiti o aprire un contro di risparmio. Sia i richiedenti asilo che i rifugiati hanno diritto una una mensilità di sussidio ma solo se risiedono in un centro di accoglienza. I servizi di sostegno vengono forniti dalle strutture governative europee.
(aggiornamento 26 settembre 2022 ore 20.09)