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Medicina di genere: la cura di cefalea per la donna (143 centri in Italia) e uno studio sulla qualità di sonno nelle donne medico in Italia

28 Ottobre 2022

È un faro per una cura personalizzata calata nella conoscenza delle patologie comuni tra i due sessi che viene approfondita secondo l’influenza del sesso, riguardo all’aspetto biologico, e del genere, riguardo all’aspetto fisiologico, che nell’accezione più ampia comprende anche aspetti socio-culturali come gli stili di vita, sociali, economici, ambientali. La medicina di genere con la sua specificità interdisciplinare in ciascuna area medica nello studio delle differenze di sesso e di genere consente di avere una cura più appropriata per la persona malata con risposte migliori alle terapie grazie all’apporto che dà alla ricerca biomedica. Infatti molte patologie come quelle degenerative, metaboliche, infettive, immunitarie e tumorali pur manifestandosi in entrambi i sessi presentano delle differenze nell’incidenza, nelle caratteristiche cliniche o nelle risposte alle terapie. Questo è quanto fa la medicina di genere oggi che indaga gli aspetti biologici, fisiologici, genetici, epigenetici e considera il vissuto della persona.

Una branca interdisciplinare della scienza medica i cui sviluppi si abbozzano negli anni ottanta del XX secolo all’Onu per eliminare le discriminazioni verso le donne nelle cure sanitarie, si delineano negli anni novanta con i nuovi approcci scientifici alla scienza tradizionale dell’evidenza scientifica. Risale al 1997 il documento di medicina di genere della CE intitolato Lo stato di salute delle donne europee, a cui segue nel 2007 per opera dello stesso organismo la nascita dell’Istituto europeo della salute delle donne nel 2007 e nel 2011 dell’Istituto Europeo per l’Equità di genere e la pubblicazione del Rapporto 2011 sullo stato di salute degli uomini d’Europa. Alcuni anni prima, nel 2005 viene fondata la Società Internazionale di Medicina di Genere (IGM) e nel 2008 l’Organizzazione americana per lo studio delle differenze sessuali, poi nel 2009 l’Organizzazione mondiale della Salute istituisce un dipartimento dedicato alla salute delle donne e alle differenze di genere.

Il cammino della Medicina di Genere inizia in Italia si avvia con un progetto dei Ministeri per le pari Opportunità e Salute, chiamato Una salute a misura di donna. Si è nel 1998 e alcuni anni dopo, nel 2005 si istituisce un tavolo di lavoro presso il Ministero della Salute intitolato Salute delle donne e farmaci per le donne, mentre nel 2007 viene istituita la Commissione sulla Salute delle Donne e l’anno successivo il Comitato nazionale di Bioetica pubblica il documento La sperimentazione farmacologica sulle donne. Nel 2011 la Medicina di genere viene inserita nel Dipartimento del Farmaco dell’Istituto superiore di Sanità con il Reparto Malattie degenerative, invecchiamento e Medicina di Genere e dal 2017 ha un Centro di riferimento che crea una rete con associazioni, centri di studio, per la prevenzione, la ricerca, la formazione e l’informazione pubblica. Con la legge del 2018 n. 3, Applicazione e diffusione della Medicina di Genere nel servizio sanitario nazionale si garantisce il genere come criterio valido nella medicina per la sperimentazione clinica dei farmaci, nei percorsi diagnostici terapeutici e formativi per studenti e operatori della salute. Entra nelle università. Nel 2020 viene istituito un Osservatorio per la Medicina di Genere.

Può e certamente la fa la differenza nella cura della salute di una donna una terapia farmacologica appropriata e più efficace valutata sul sistema biologico, ormonale, genetico, epigenetico femminile. Solamente dagli anni novanta la donna viene arruolata negli studi clinici ad eccezione di alcune patologie tipicamente femminili e da alcuni anni ne viene riconosciuta l’importanza di coinvolgerle «fin dalle prime fasi della ricerca, un numero significativo di donne nelle varie fasi del ciclo riproduttivo (per esempio età fertile e menopausa), per poter ottimizzare una raccolta di dati che migliorerebbe non di poco la cura delle donne anche nella pratica clinica», si afferma nel documento del Ministero della Salute, Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere (2019).

Nel documento citato si spiega che esistono non solo patologie specificatamente femminili, come l’osteoporosi per fattore di rischio di degenerazione articolare e protesizzazione con l’avanzare dell’età, ma anche patologie riscontrate dalla letteratura scientifica più frequenti nelle donne rispetto agli uomini. Un esempio le patologie cardiovascolari, cardiache e cerebrali, sono maggiori per numero nella donna e l’infarto del miocardio è la prima causa di morte nelle donne nei paesi industrializzati, colpisce soprattutto dopo i 65 anni di età. Nel campo dell’oncologico poi in molte aree le donne sono ancora sottorappresentate nelle sperimentazioni cliniche: ad esempio, occorre indagare perché il cancro al polmone è più letale e colpisce più le donne, anche se non fumatrici, su fattori non solo ormonali ma anche genetici e metabolici. In pediatria si è osservato la presenza di un numero maggiore nei maschi del disturbo da deficit di attenzione e iperattività o più frequenti le malattie respiratorie nei maschi mentre quelle autoimmuni come il lupus eritematoso pediatrico più comune nelle bambine.

Come è la qualità di sonno delle donne medico italiane?

Un’indagine svolta in Italia per conto dell’Associazione italiana medico donna (AIDM) ha voluto conoscere la qualità di sonno nelle donne medico, seppure limitata ad un piccolo gruppo di 517 membri socie, in forma anonima, residenti in Italia, per la sua influenza sulla salute e di conseguenza sull’attività professionale, in modo che con la consapevolezza si possano trovarvi soluzioni per poter garantire sicurezza dei loro servizi sanitari.

Alla ricerca hanno lavorato Vezzani A., anestesista dell’ospedale universitario di Parma e co-presidente del Comitato di ricerca e scientifico dell’Associazione internazionale delle donne medico (MWIA), Solinas E. della divisione di Cardiologia dell’ospedale universitario di Parma, Pfleiderer B. del dipartimento di radiologia clinica dell’Ospedale universitario Münster e della Facoltà di Medicina dell’Università di Münster in Germania e Ermio C del dipartimento di neuroscienze dell’Ospedale San Giovanni Paolo II di Lamezia Terme.

Lo studio intitolato A survey to assess the quality of sleep in Italian medical women in «Ital J. Gender Specific Med» (2022: 8(2), 81-86) è stato condotto nel gennaio 2020 mediante un’intervista on line di 36 domande utilizzando due tipi di scale di valutazione dei disturbi del sonno il PSQI (Pittsburg Sleep Quality Index) di autovalutazione soggettiva del sonno e l’Aps (Arousal Predisposition Scale) di predisposizione a rispondere con maggiore attivazione a stimoli nuovi o emozionalmente rilevanti e a ritornare più lentamente ai livelli di base.

Parte dalla premessa generale che una povera qualità di sonno interferisce negativamente sulla salute. Studi mostrano che la mancanza di sonno può comportare deficit cognitivi, di attenzione ed emotivi. Gli operatori del mondo della salute svolgono lunghi orari di lavoro, turni, reperibilità per le chiamate notturne. Una scarsa qualità di sonno può comportare una prestazione inferiore e un maggior rischio di errori medici che possono compromettere seriamente la sicurezza dei pazienti.

Le intervistate hanno un’età mediana di 52 anni, il 62%, pari a 323 su 514, ha più di vent’anni di lavoro (323) mentre l’8% pari a 41 ha lavorato tra i 16 e i 20 anni, l’11%, 57 tra gli 11 e i 15 anni, il 10%, pari a 52, tra i 6-10 anni, l’8% , pari a 41, ha meno di 6 anni di lavoro e solo una, laureata, che non lavorava durante l’indagine. Il lavoro viene svolto in ospedale per il 51% pari a 260, il 48% pari a 244 negli ambulatori. Sono pensionate il 9% pari a 55 e tuttora in attività il 90% pari a 449. Il 60% di loro, ossia 307 su 512 ha risposto all’indagine riportando meno di 7 ore di sonno per notte e il 35%, 179 su 515 hanno definito il loro sonno abbastanza cattivo o pessimo. Risultati che i ricercatori dello studio ritengono in linea con la popolazione generale in cui un terzo riporta di soffrire di insonnia e in cui le donne hanno una prevalenza maggiore nell’addormentarsi e nel mantenere il sonno rispetto agli uomini.

Poi emerge che il 75%, 372 su 493 dei rispondenti ha ottenuto un esito totale di PSQI uguale o superiore a 5. I più alti punteggi del test valutativo del sonno sono stati riportati soprattutto dalle donne medico nelle strutture ospedaliere. Conferma per gli Autori quanto si rileva in altri studi, la compromissione di un buon riposo tra i medici che svolgono attività notturna, turni massacranti e lunghe ore di lavoro.

Viene fatto osservare come il 35% delle donne intervistate afferma di aver avuto una cattiva qualità di sonno e solo il 18% abbia assunto ansiolitici. Questi ultimi sono stati presi più dalle donne medico nel Nord Italia (24%) e nell’Italia Centrale (23%) rispetto al Sud (12%), in linea con il rapporto nazionale sull’uso dei medicinali in Italia, in cui «il consumo di benzodiazepina è maggiore nelle regioni settentrionali d’Italia».

Gli Autori concludono che «per la maggior parte (75%) delle donne medico, membri dell’Aidm, hanno riportato una cattiva qualità di sonno come misurato dal PSQI (Pittsburg Sleep Quality Index). Sebbene l’APS (Arousal Predisposition Scale) del nostro campione era alto non lo abbiamo trovato predittore affidabile di presenza dei problemi di sonno e di insonnia nella nostra popolazione. Le donne medico che lavorano negli ospedali hanno riportato una pessima qualità di sonno rispetto a coloro che svolgono la loro attività negli ambulatori».

L’emicrania, malattia di genere e sociale. Sono 143 i centri cefalee con percorsi femminili in Italia

La Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute e della donna e di genere che promuove la divulgazione degli sviluppi scientifici della salute femminile e la ricerca della medicina di genere, ha steso una prima mappatura dei Centri cefalee con servizi dedicati alle donne nel nostro paese in collaborazione con società scientifiche e associazioni di pazienti e ne ha divulgato l’esistenza in un incontro di presentazione che si è tenuto alcuni giorni fa con specialisti nella cura dell’emicrania.

Alla divulgazione informativa al pubblico la Fondazione Onda si è proposta con tale progetto di stimolare una concorrenza positiva fra le strutture, favorire l’accesso ai servizi per migliorare la qualità di vita con un’adeguata terapia sottolineando anche alcune criticità nella gestione sanitaria che impediscono alle persone afflitte di curarsi. Una tra queste, le lunghe file di attesa che ritardano le prime diagnosi, poi la mancanza uniforme dei servizi sul territorio.

L’emicrania è una malattia neurologica di cui la donna ne è più colpita e secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (2017) è la terza causa più frequente e la seconda più invalidante. L’accompagna nelle diverse fasi della vita, dalla pubertà alla menopausa, non risparmiandole le fasi della vita in cui è più attiva, tra i quaranta e cinquant’anni. La gravidanza e della menopausa sono fasi più delicate nella cura. Su 6 milioni in Italia che soffrono di emicrania e 4 milioni sono donne.

Rassicurante è il messaggio di Lara Merighi, coordinatrice laica nazionale Alleanza cefalalgici (AI.Ce.), che invita le donne a non chiudersi in se stesse quando soffrono di emicrania, non devono avere paura di far conoscere il proprio dolore, perché la cura le risolleva dalla loro sofferenza fisica e psicologica.

Viene ribadita l’importanza della tempestività della presa in carico della persona sofferente con diagnosi e cura sia sintomatica che di profilassi adeguate alla persona. In questo frangente rivestono un ruolo rilevante i farmacisti e i medici di famiglia nel far conoscere l’emicrania come malattia che non è da sottovalutare, va trattata nei centri specialistici. Il medico di famiglia se ritiene deve indirizzare il proprio paziente nel centro specialistico più adeguato.

I 143 centri diffusi sono pochi e non tutti i centri rilevati offrono un livello uniforme di servizi ma, come è emerso dall’incontro di presentazione devono gestire al meglio con le loro competenze, il personale specializzato, effettuando esami e cura che comprendono terapie convenzionali ed innovative. Quello del Sant’Anna è l’unico centro cefalee in Italia dedicato ai percorsi femminili insediato nell’ospedale ostetrico ginecologico Sant’Anna, a differenza degli altri centri situati presso strutture dedicate ad altre specialità.

Fabio Frediani, direttore del Reparto di neurologia San Carlo Borromeo di Milano afferma che l’emicrania incide con il dolore sintomatico e il malessere di ansia che precede l’attesa degli attacchi nella paziente che comporta una difficile organizzazione della propria vita e un senso di impotenza da parte di coloro che vivono con lei. Arrivano in Pronto soccorso donne con forti dolori, disidratate a causa del vomito continuo. Fa sapere che si può oggi migliorare lo stato di salute e che le nuove terapie consentono di riappropriarsi di una vita serena.

Esistono diversi tipi di cefalea, l’emicrania è una tra le patologie, e per questo la diagnosi clinica va fatta da specialisti esperti in tale settore per poter essere davvero di aiuto nella cura della persona che ne soffre considerando le comorbilità che complicano il quadro clinico, il suo vissuto, e che una prima visita non può essere inferiore ai 45 minuti, spiega Grazia Sancez, responsabile dell’unità operativa di diagnosi e cura delle cefalee dell’istituto neurologico nazionale Mondino di Pavia.

Tra i 143 centri nazionali riconosciuti vi è quello dell’ospedale Sant’Anna di Torino e dell’ospedale Molinette, entrambi della Città della Salute e della Scienza. Giovanni Battista Allais, responsabile del Centro cefalee della donna della Ginecologia e ostetricia universitaria dell’ospedale Sant’Anna, ha spiegato come questo centro risale al 1994, istituito con la collaborazione della dottoressa Chiara Benedetto per poter offrire un trattamento farmacologico e non delle cefalee femminili in percorsi dedicati a momenti peculiari del ciclo riproduttivo della donna, nella gravidanza, nell’allattamento, durante il ciclo mestruale, con la contraccezione, nella Procreazione medicalmente assistita e nella perimenopausa.

(aggiornamento 29 ottobre 2022, ore 12.53)

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redazione Bioetica News Torino