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78 Aprile 2021
Speciale Storie di epidemie e di contagi: dalla peste al Covid-19 Le malattie che hanno cambiato la storia

Malattie lontane e dimenticate (o della povertà). Intervista a Giuseppe Gaido e Carlo Lanza

Introduzione

a cura di Enrico Larghero
medico chirurgo

Tra le calamità che hanno cambiato la storia, un posto speciale meritano le malattie dimenticate, quelle raccontate dal compianto Carlo Urbani, medico senza frontiere che per primo diagnosticò la SARS, patologia che lo condusse alla morte. Le malattie dimenticate (la lista ne contiene 15) sono così chiamate perché colpiscono principalmente le popolazioni che vivono ai margini della società, nei Paesi a Sud del mondo.

Secondo l’OMS circa un miliardo di persone ne sono affette con esiti spesso gravi, talora mortali. Si tratta pertanto di una vera e propria emergenza sanitaria, per la quale qualcosa si è fatto, ma troppo poco rispetto all’entità del problema e del numero dei malati coinvolti.

Una delle tante forme di “cultura dello scarto” di cui sovente parla Papa Francesco. Un grido di dolore che, nonostante la pandemia incombente non possiamo e non dobbiamo più ignorare.



Nel corso dell’ultimo anno l’attenzione non solo dei media ma anche della comunità scientifica internazionale si è focalizzata, talvolta in modo insistente e monotematico, sulla pandemia SARS-CoV-19: ma qual è il contesto “sanitario” globale in cui si è sviluppata questa drammatica pandemia? Esistono malattie paragonabili dal punto di vista dell’impatto sulla salute ma pressoché dimenticate perché lontane dai paesi che contano e dispongono delle risorse per farmaci e vaccini?  

Ne parliamo con Beppe Gaido e Carlo Lanza, medici, entrambi piemontesi di origine, che in modo molto diverso ma altrettanto tenace hanno affrontato nella loro vita professionale la sfida delle malattie (e dei malati) lontane e dimenticate.  

 

Beppe Gaido foto 2021
Intervistato Beppe Gaido

Dopo una specializzazione in Medicina tropicale a Londra, è in Africa dal 1997, prima in Tanzania e poi in Kenya dove tuttora dirige l’ospedale S. Orsola di Matiri.

D. Quali sono le malattie dimenticate?

R. L’OMS riconosce tra le malattie tropicali dimenticate (NTD, Neglected tropical diseases) una ventina di patologie tra cui la leishmaniosi,  la tripanosomiasi africana (malattia del sonno) e americana (malattia di Chagas),la lebbra, la schistosomiasi, ma anche il morso di serpente: si stima che nel mondo oltre 1,7 miliardi di persone soffrano di malattie dimenticate, con centinaia di migliaia di morti ogni anno. Anche se non sono incluse nell’elenco OMS e ci sono stati negli ultimi anni notevoli progressi nel loro controllo, malaria, malnutrizione e diarree infantili colpiscono una quota ancora estremamente elevata della popolazione mondiale.

D. Beppe, perché le malattie dimenticate sono le malattie della povertà?

R. Ovviamente il nesso con la povertà è strettissimo. Pensiamo per esempio alla malaria: se la tua casa è di fango con il tetto di paglia, sarà molto più esposta alle zanzare; se dormi per terra o non hai una zanzariera, sarai punto molto più spesso. La malaria poi uccide, soprattutto i bambini, nelle prime 8 ore. Se l’ospedale è lontanissimo, non ci sono strade e non ci sono mezzi di trasporto, allora è evidente che in ospedale si arriva troppo tardi.

Gli ospedali sono spesso costosi, e molti non se li possono permettere. Nei dispensari dove affluiscono i poveri, spesso mancano i farmaci, non si può trasfondere e non ci sono possibilità diagnostiche, a volte neppure per la glicemia.

Pensiamo che i poveri non hanno l’acqua potabile, raccolgono l’acqua al fiume e sovente il legname scarseggia per bollirla: da qui la schistosomiasi e le diarree batteriche e parassitarie (colera, ameba etc.). La malnutrizione è tipica dei bambini sottoalimentati per motivi economici, o alimentati con un solo tipo di nutrienti, per la stessa ragione.

D. Quali prospettive ritieni si possano aprire per le “malattie dimenticate”’?

R. È bene iniziare citando anche il positivo: per la malaria molto è stato fatto e nell’ultimo decennio la prevalenza è diminuita, così come la mortalità. I nuovi farmaci sono estremamente efficaci, sono offerti gratuitamente dal governo ai dispensari.  La terapia di prima linea è quindi alla portata di quasi tutti.

L’OMS da anni dona zanzariere gratuite. La distribuzione di zanzariere a tutte le gravide ed alle donne con un bambino di età inferiore ai 5 anni ha dimezzato i casi di malaria.  Altro grande sforzo che da anni si sta facendo è quello di sponsorizzare la costruzione di semplici latrine: ciò ha contribuito alla diminuzione di malattie devastanti, come il colera, tutte le diarree parassitarie (Giardia, Ameba in primis), il tifo addominale.

Dal punto di vista di salute pubblica il problema più grande da affrontare è quella dell’acqua potabile. La gente ancora va al fiume a raccogliere l’acqua e certo questo è un veicolo di infezioni.

Per altre malattie non si è fatto quasi nulla: ad esempio per la leishmaniosi viscerale e la tripanonomiasi non ci sono farmaci nuovi da 50 anni, e quelli che abbiamo sono spesso gravati da pesanti effetti collaterali. Lo stesso dicasi per l’oncocercosi di cui ho poca esperienza.

Carlo Lanza
Intervistato Carlo Lanza

Direttore clinico di progetti di ricerca su nuovi farmaci a livello globale: alcuni anni fa ha lavorato come direttore medico di Medicines for Malaria Venture, una organizzazione internazionale con sede a Ginevra che si occupa di ricerca e sviluppo di nuovi farmaci antimalarici.

D. Carlo, quali sono le barriere principali alla ricerca clinica e quindi alla diffusione dei farmaci, nei paesi in via di sviluppo?

R. In effetti i paesi in via di sviluppo sono notevolmente sottorappresentati nelle piattaforme dei trials clinici, che sono la principale forma di verifica della efficacia di un farmaco, e questo vale sia per le malattie trasmissibili, ma anche per le malattie non trasmissibili, come i tumori e le malattie cardiovascolari.

Le principali barriere sono rappresentate dalla carenza di risorse finanziarie ma anche di personale adeguatamente formato, dalla mancanza di infrastrutture, dai tempi lunghi della revisione etica e regolatoria, da barriere operative (logistiche, difficile reclutamento dei pazienti). A sua volta la mancanza di risorse è in gran parte conseguenza storica della mancanza di interesse di molte multinazionali del farmaco a investire in paesi dove il ritorno commerciale è molto basso. Questo paradosso ha alimentato un circolo vizioso, creando un grande sbilanciamento globale degli standard di diagnosi e cure.

D. Tuttavia, tornando alla malaria, negli ultimi anni si è assistito ad un declino nella incidenza e nella mortalità per questa malattia

R. È vero: negli ultimi 20 anni i casi si sono ridotti del 20%, ma sono ancora oltre 200 milioni, concentrati per oltre il 90% in Africa dove le varianti, più letali di malaria sono presenti e colpiscono in modo grave soprattutto i bambini. Nello stesso periodo, anche la mortalità per malaria si è ridotta del 50% (nel 2019 sono stati 409.000): la Cina, ad esempio, è stata certificata come “malaria free”: tutto questo grazie ad un importante sforzo globale che ha visto coinvolti diversi protagonisti del settore sia pubblico che privato, creando delle efficienti “partnership pubblico-privato”.

Un passo fondamentale è la creazione e lo sviluppo di strutture e personale a livello locale, con impiego in maggior parte di staff locale – riferito spesso come “local capacity building“.

Il 30 gennaio 2021 è stata celebrata la seconda giornata mondiale indetta dalle Nazioni Unite per la lotta contro le malattie tropicali dimenticate (NTD, Neglected tropical diseases). Per l’occasione, il 28 gennaio, l’OMS ha lanciato la roadmap 2021-2030 per le NTDs che ambisce ad aumentare la prevenzione ed il controllo di queste malattie neglette.  Un segnale di speranza e di impegno in un momento difficile per la storia “sanitaria” dell’umanità. 


Pubblicato con l’autorizzazione del direttore de «La Voce e il Tempo» Alberto Riccadonna, Non solo Covid. Intervista di Remo Melchio a G. Gaudio e C. Lanza, 28 marzo 2021, p. 26.

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