L’esperimento di J. He con il gene editing su embrioni umani: clamore scientifico ed eticità
29 Novembre 2018Al celere moltiplicarsi della diffusione mediatica della notizia sulla tecnica del gene editing (correzione di una parte “difettosa” del DNA) usata per la prima volta in un esperimento su embrioni umani modificati in laboratorio e impiantati in utero, trasmessa da un video postato su You Tube da un ricercatore cinese He Jiankui del Southern University of Science and Technology di Shenzhen in Cina (J. He, About Lulu and Nana: Twin Girls Born Healthy After Gene Surgery As Single-Cell Embryos, 25.11.2018), si contrappone altrettanto rapidamente l’insorgere preoccupante di voci contrastanti e stupite dal mondo scientifico (e bioetico).
Della preoccupazione dai genetisti come Fyodor Urnov, Paula Cannon, Joyce Harper ai bioeticisti come Julian Savulescu riportano David Cyranoski e Heidi Ledford nel loro articolo su Nature «Genome-edited baby claim provokes international outcry» del 26 novembre 2018 così come le motivazioni di He Jiankui. Una pratica sperimentale di manipolazione del DNA su embrioni umani per proteggere il nascituro dal contrarre l’HIV presente nei genitori risulterebbe ad oggi essere «prematura», «pericolosa» e «non necessaria»: sia perché la sperimentazione di manipolazione genica su embrioni umani non è consentita per motivi scientifici ed etici internazionali di sicurezza e protezione del nascituro, sia perché non c’è l’effettivo rischio di trasmissione ai figli da un padre HIV positivo. Tuttavia da un’indagine bioetica del 2017 del Nuffield Council di Londra emerge la preferenza per l’applicazione della modalità del gene editing a condizione che dia i risultati promettenti.
L’annuncio del ricercatore cinese ha destato non solo perplessità sul fatto che due gemelle “Lulu” e “Nana” possano essere effettivamente nate un mese fa da una coppia tramite fertilizzazione in vitro con tale tecnica, e più precisamente l’innovativa CRISPR Cas9, utilizzata sugli embrioni prima dell’impianto in utero per correggere il gene causante la malattia dell’HIV, di cui è affetto un genitore, e prevenirne il contrarsi dell’infezione, contrariamente a quanto finora è stato limitato all’ambito della ricerca. Il suscitato clamore è dovuto poi per la diffusione e la conseguente discussione pubblica su un esito di un esperimento senza averne rispettato prima – così sembrerebbe – il protocollo di verifica e il rispetto comunicativo del mondo scientifico.
Ma «if true, the twins’ birth would represent a significant – and controversial – leap in the use of genome editing» esorta a una riflessione scientifica ed etica sulle prospettive che la biomedicina dischiuderebbe in tale ambito con il doveroso discernimento del mondo scientifico (Cyranoski e Ledford, Genome-editing ). C’è sempre all’orizzonte il rischio di aprire la via all’eugenetica per la scelta di preferiti tratti fisici ma anche al potenziamento intellettivo. La Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa sui Diritti dell’uomo e la biomedicina del 1997 sul genoma umano chiarisce che un intervento di modifica può avvenire solo se è finalizzato alla prevenzione, alla diagnosi o alla terapia e se lo scopo non è di modificare il patrimonio genetico sui discendenti (art. 13). Sulla vicenda la bioeticista prof.ssa Assuntina Morresi del Comitato nazionale di Bioetica esprime chiaramente, qualora “venisse confermata”, tre punti: l’Hiv non essendo una malattia non ereditaria le bambine potevano probabilmente nascere sane senza manipolazione genica; l’inutilità della ricerca non avendo pertanto fine “terapeutico”; l’uso improprio degli esseri umani come cavie nella ricerca scientifica (A. Morresi, Le bimbe nate con Dna modificato: quelle figlie manipolate per “esperimento”, Avvenire.it , 27, 11 2018).
Sull’editing genetico e la correlata tecnica innovativa ingegneristica del CRISPR-Cas9 per modificare parti di sequenze del DNA il Comitato nazionale di Bioetica aveva già espresso considerazioni etiche un anno fa, con pareri differenti in alcuni tratti, che vengono riproposte per un dibattito scientifico, etico e sociale su un tema sul quale vi è «una linea di prudenza rispetto a tecniche sperimentali che, allo stato attuale delle conoscenze, presentano forti margini di incertezza», sottolineando la «necessità di trovare regole internazionali condivise per disciplinare la ricerca biomedica».