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Le cure di fine vita devono rispettare le convinzioni dell’individuo

18 Novembre 2014

Secondo un articolo pubblicato sul “Journal of American Geriatric Society” a influenzare in modo rilevante l’utilizzo intensivo delle cure negli ultimi 6 mesi di vita sono fattori non clinici che evidenziano la necessità di allineare i trattamenti con le preferenze individuali. Durante lo studio, coordinato da Amy Kelley, geriatra al James J. Peters Veterans Affairs Medical Center di New York, i ricercatori hanno scoperto che il 18% dei malati esaminati subisce procedure invasive a fine vita, e che l’età avanzata, la malattia, il cancro, l’Alzheimer, il soggiorno in una casa di riposo e l’esistenza di direttive anticipate si associano a una minore probabilità di subire cure intensive, raddoppiata invece nei luoghi a maggiore intensità di cura. «Il trattamento delle persone in fase terminale rappresenta oltre un quarto della spesa per Medicare, ma il costo delle cure di fine vita varia notevolmente a seconda della zona in cui vengono erogate» esordisce la ricercatrice, sottolineando come non sia chiaro se le terapie più costose e aggressive portino a risultati migliori. Diversi fattori rendono conto di queste differenze, tra cui normative locali, convinzioni del medico, preferenze e caratteristiche individuali quali l’etnia, l’età, il declino funzionale e la presenza di malattie croniche.

Raramente, tuttavia, tali fattori sono stati esaminati in modo simultaneo in termini di probabilità di subire una o più procedure intensive a fine vita, cosa fondamentale per migliorare il valore per l’assistenza sanitaria assicurando che le decisioni riguardanti le cure siano in linea con le preferenze individuali» riprende Kelley. È abbastanza sorprendente la misura in cui fattori non clinici, per esempio il posto in cui si vive o l’etnia, sembrano influenzare le probabilità di subire procedura invasive a fine vita, e questo suggerisce che si deve lavorare ancora per assicurare che i pazienti ricevano trattamenti consoni alle loro convinzioni» aggiunge l’autrice dell’articolo. E conclude: «Sapendo quali sono i fattori non clinici che influenzano le probabilità di subire cure intensive nelle persone con gravi malattie sarà possibile agire in modo più efficace per garantire che i trattamenti previsti siano in linea con modelli di cura che rispettino i valori individuali».

fonte: Doctor 33

approfondimenti: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25376084

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino