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News dall'Italia

La speranza nell’adozione

15 Novembre 2021

Il desiderio di avere un figlio porta una coppia di genitori in Italia a rincorrerlo e a coronarlo in Ucraina passando attraverso i corridoi dell’illegalità, quella con la tecnica di procreazione medicalmente assistita, di tipo eterologa, gestita da altri, che è vietata secondo la normativa italiana (art. 40/2004). 

La pratica  consiste nel ricorrere  ad una terza persona, una donna, che “presta” su commissione di una  coppia il proprio utero per portare avanti la gravidanza; una gravidanza che generalmente nei Paesi che concedono  tale pratica è dietro compenso e rimpingue le tasche degli organizzatori, è un affare commerciale. 

Nasce una bambina. 

L’accaduto diventa una vicenda di cronaca che ha avuto un eco mediatico nei notiziari di questi giorni perché quella bambina, che al suo nascere, per una serie di motivi è stata presa in cura da una babysitter per un certo tempo pagata dalla coppia committente, che poi ha deciso di segnalarlo alle autorità, è arrivata in Italia; si è reso necessario l’intervento della magistratura e del servizio di cooperazione internazionale di polizia.

La bambina ha 15 mesi e viene affidata in via temporanea ad una famiglia, diversa dalla coppia che prima inseguiva quel desiderio e che dopo la sua realizzazione, vi ha rinunciato.

In quel mettere i piedini sul territorio italiano, fare i piccoli passi affiancati da due persone, della Polizia di Stato e della Croce Rossa, che l’hanno portata qui con amorevole cura, si dipana una storia che spalanca per la piccola creatura la via della speranza per un cammino di vita in una famiglia in cui potrà trovare veramente chi le vuole bene e crescere, che è affidataria prima e, speriamo presto in quella di adozione poi.

Una storia che lascia anche una riflessione sospesa: in quella bambina si possono intravedere, se si vuole, tanti altri bambini che non sono potuti divenire e sono ancora in forma di embrioni scartati e congelati.

Rimane comunque sullo sfondo la tristezza di un ricorso ad “un utero in affitto” con cui una donna, su commissione accetta di portare avanti una gravidanza tramite fertilizzazione in vitro – solitamente dietro compenso – per 9 mesi e alla nascita lo lascerà dopo averlo tenuto in grembo sia come madre biologica se è donatrice dell’ovocita o neppure ciò se l’embrione fecondato proviene da altri donatori. 

CCBYSA

redazione Bioetica News Torino
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