La scuola oggi in Italia, tra proposte e criticità in uno studio di Save the Children
08 Settembre 2022Intervistati quest’estate da Save the Children – Italia, impegnata nel mondo dal 1999 dalla parte dei diritti dei bambini per una loro crescita in salute, in istruzione e sviluppo nella comunità, i 45 studenti tra gli 11 e i 13 anni della scuola secondaria di primo grado di tre province Bari, Milano e Roma, immaginano una scuola più aperta al dialogo con i docenti, con più ore di laboratori per fare maggiori e innovativi esperimenti dalla teoria alla pratica, una struttura più gradevole con locali più lindi. Vorrebbero fermarsi il pomeriggio iniziando non “prima delle nove” per attività didattiche ed extra, più ore di sport ma diversificato. In breve, un luogo in cui si sentano a loro agio e come alcuni hanno detto, l’andare a scuola non sia una noia.
L’intervista è inserita in un’analisi di ricerca sui tempi e spazi educativi nella scuola italiana. Intitolata Alla ricerca del tempo perduto è curata dalla stessa organizzazione che dà un panorama della situazione nel nostro territorio italiano confrontandolo con altri paesi europei per i servizi offerti e tra le diverse regioni proponendo dalla lettura dei dati statistici e dalle testimonianze dirette di studenti e docenti come la scuola, dalla materna alla secondaria di primo grado, dovrebbe essere: «garantire il diritto ad un’istruzione di qualità», «dovrebbe rappresentare un argine alla crescita delle disuguaglianze, garantendo a tutti i minori le opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni».
Una tale scuola, che si presenta in modo uniforme, «può offrire quindi spazi sicuri, infrastrutture e servizi adeguati, può dare opportunità eguali di apprendimento a tutti gli studenti e le studentesse, anche, e soprattutto, a quelli che sono maggiormente svantaggiati». Purtroppo, come emerge dal rapporto, «sono proprio le scuole in province dove si concentra il disagio economico e sociale a non avere mezzi sufficienti per contrastare la povertà educativa».
Dopo due anni di pandemia da Covid-19 la crisi economica ha influito pesantemente sulle famiglie più svantaggiate. Il binomio povertà economica ed educativa è strettamente correlato, fanno osservare gli autori della ricerca. È cresciuta la povertà assoluta tra i minori: si è arrivati a circa 1 milione 382mila bambini nel 2021 passando al 14,2% dal 13,5% nel 2020. Il nostro Paese è in testa in Europa ad avere il maggior numero di giovani tra i 15 e i 29 anni, neet, che né studiano né lavorano né si formano. Al 23%, seguita da Romania, Bulgaria, Grecia e Croazia mentre nelle ultime fila Svezia (6%) e Paesi Bassi (5,5%).
Si trova negli ultimi posti in Europa anche per spesa corrente per istruzione. Dai dati Eurostat nel 2021 l’Italia ha destinato alla spesa per l’istruzione il 4,3% del prodotto interno lordo, quart’ultima nella posizione finale, mentre al primo posto è occupato dalla Svezia con il 7,2% e la media europea è comunque 5%. Se non si aumentano le risorse per l’istruzione, avvertono gli Autori, portandole alla media europea, pari al 5% del Pil, «i fondi attualmente previsti sono già oggi insufficienti a garantire un’offerta educativa di qualità con spazi e servizi adeguati in tutti i territori, nonostante i minori costi dovuti al calo demografico». Un aumento che andrebbe laddove c’è bisogno, nei territori dove i minori sono più svantaggiati e a rischio di dispersione scolastica e riguardare, come suggeriscono gli Autori, tempo pieno, mense, aumento di spazi e miglioramento delle infrastrutture, formazione del corpo docente, sperimentazione di pratiche pedagogiche innovative, inclusive e aperte alla comunità. Per la distribuzione degli investimenti nei territori con maggiori bisogni consigliano di sviluppare l’indice di Povertà educativa territoriale per poter identificare in modo efficiente le aree ad alta densità educativa.
Peggiora l’apprendimento. Dalle prove Invalsi riguardo ad esempio per la lingua italiana non raggiungono i traguardi del primo ciclo di istruzione il 39% nel 2022 mentre nell’anno precedente erano il 34%; c’è un netto squilibrio fra le regioni, nel Mezzogiorno la percentuale si aggira tra il 45% e il 49% nelle regioni del Sud e delle Isole mentre è al 34%-35% delle regioni del Nord e del Centro.
Si constata che sono i territori con studenti provenienti da famiglie con reddito basso nelle cui scuole gli stessi hanno più difficoltà nell’apprendimento e come suggeriscono gli Autori, «un’offerta adeguata di spazi e servizi educativi a scuola potrebbe fare la differenza nello spezzare tale legame ed offrire opportunità di apprendimento eguali anche agli studenti più svantaggiati».
Anche la condizione socioeconomico familiare e il background migratorio incidono nella disuguaglianza negli apprendimenti. Il Rapporto Invalsi 2019 ha rilevato come gli studenti di origine straniera abbiano peggiori risultati soprattutto in lingua italiana, il 26,9% acquisisce ritardo dovuto alla ripetizione di uno o più anni scolastici rispetto al 7,5% dei compagni di origine italiana. Nel 2020/2021 gli alunni con cittadinanza non italiana rappresentano il 10,3% degli iscritti nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, presenti soprattutto nelle regioni settentrionali, per il 65% mentre nel Centro e nel Mezzogiorno la percentuale si riduce rispettivamente al 22% e al 12%. Solo nella secondaria superiore il ritardo arriva a interessare il 53,2% degli studenti con background migratorio rispetto il 16% degli studenti di origine italiana.
Tra i diversi progetti di integrazione viene illustrato quello irlandese in cui cinque scuole con un numero alto di frequentanti di background migratorio hanno creato un Comitato per l’integrazione scolastica intervenendo su orario scolastico ed extra scolastico, dedicati sia ai bambini che ai genitori e personale scolastico.
Uno strumento per combattere la povertà educativa è la mensa. Alla mensa ci si nutre per affrontare la giornata di impegno scolastico, l’alimentazione serve per lo sviluppo fisico-psichico dei minori, si condivide un momento socio-relazionale. Essa ― osservano gli Autori ― è anche, condizione essenziale per assicurare un tempo scuola più ampio. I servizi di refezione si trovano per lo più nelle province del Centro e del Nord Italia.
Un altro strumento è il tempo pieno per evitare la dispersione scolastica perché, spiegano gli Autori – aiuta a migliorare il livello di apprendimento, a sviluppare anche quelle competenze “non cognitive”, sociali ed emozionali. Usufruiscono del tempo pieno a livello nazionale 4 alunni su dieci mentre supera il 50% nelle province del Nord e del Centro. Ci sarebbe bisogno di circa 1 miliardo 445 milioni di investimento annuo per la riorganizzazione del tempo pieno in tutte le classi della scuola statale primaria, assumendo 40 mila820 nuovi docenti, e 5.700 nuovi collaboratori per poter trasformare 81.639 classi da tempo normale a pieno su 130.179 classi totali.
Significative le testimonianze raccolte dai docenti: il tempo pieno come opportunità non solo educativa ma anche luogo di aggregazione socio culturale. La scuola estende il suo ruolo nelle attività extra scolastiche in cui si intersecano gusti e necessità dei giovani, delle famiglie e della cittadinanza, dove poter al pomeriggio e la sera seguire corsi formativi come la fotografia o la creazione di video, o vedere proiezioni filmiche e spettacoli teatrali. C’è ad esempio una scuola aperta al pomeriggio per attività di robotica, falegnameria, carpenteria, idraulica, elettrotecnica per preparare figure professionali.
Anche la palestra si trova soprattutto nelle province del Centro e del Nord. E poi sono quattro su dieci le scuole a livello nazionale che sono in possesso di un certificato di agibilità, che indica «la cura riservata alla struttura scolastica da parte di chi è chiamato ad amministrarla e concorre insieme agli altri indicatori considerati a evidenziare un quadro dell’offerta di spazi e servizi educativi di qualità». Qui la distribuzione è meno disuguale ma rimangono comunque divari evidenti: nel Sud e nelle Isole, in particolare Sardegna, Calabria e Sicilia più del 60% delle scuole secondarie di primo grado non possiede un certificato di agibilità.
Che cosa si potrebbe fare per “migliorare” la scuola?
Per Save the Children bisognerebbe partire da subito almeno con:
- «il rispetto dei tetti di spesa fissati per legge per l’acquisto dei libri scolastici e vengano sperimentate soluzioni come il comodato d’uso gratuito per libri e dotazioni tecnologiche necessarie a scuola»
- «la volontarietà di qualsiasi contributo economico richiesto ai genitori e che questo non sia in alcun modo finalizzato all’iscrizione degli studenti e delle studentesse»
- «i fondi europei messi a disposizione delle scuole siano dedicati anche ad assicurare la partecipazione degli studenti e delle studentesse con un livello socioeconomico basso a gite e giornate didattiche esterne alla scuola».
Oltre a quanto già accennato nel testo gli Autori concludono sostenendo la cooperazione tra scuole con progetti innovativi e sostenibili e il potenziamento delle offerte educative (scolastiche ed extra scolastiche) nelle aree ad alta densità educativa dando incentivi economici e sostegno formativo ai dirigenti scolastici e docenti impegnati in queste aree.
(Aggiornamento 9 settembre ore 11. 55)