La sanità cattolica e le sfide del futuro: tra nuovo umanesimo e ritorno ai valori originari. Il seminario della Cei
29 Aprile 2015La sanità cattolica si trova ad affrontare sfide complesse e spesso inedite, legate alla particolare fase economica in corso e ai nuovi bisogni di salute che si sono manifestati negli ultimi decenni grazie alla rapidissima evoluzione tecnologica e scientifica. Elementi che hanno costituito il tema centrale del seminario di studio ‘Opere di nuovo umanesimo, a quali condizioni?’, organizzato il 29 aprile dalla Conferenza episcopale italiana presso il Gemelli.
“Il mondo sanitario e assistenziale ha bisogno di un umanesimo nuovo – ha avvertito Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei – Logiche di profitto e forme di emarginazione, quando non di esclusione, non sono purtroppo estranee proprio ai luoghi dove la solidarietà e la compassione dovrebbero governare sovrane. La vigilanza che è chiesta alle nostre istituzioni caritative diventa responsabilità – ha sottolineato – a non lasciar soli quanti nell’attuale contesto socio-culturale sono vittime della cultura dello scarto e dell’indifferenza”.
Un monito poderoso e senza fronzoli, un autentico richiamo ai valori originari dello spirito cristiano. Per realizzarlo autenticamente e pienamente Galantino ha evidenziato l’importanza di approfondire e valorizzare due temi fondamentali: la fedeltà creativa al carisma fondazionale delle istituzioni di cura; la gestione trasparente e corresponsabile delle opere da parte di quanti operano a servizio di persone fragili, sovente indigenti, e che vedono sempre più difficile una risposta adeguata alla loro domanda di salute. “E – ha ricordato – affinché le istituzioni sanitarie possano essere opere per l’uomo, oltre a perseguire percorsi di eccellenza nella cura, non possono trascurare un altro elemento fondante: la formazione integrale degli operatori”.
Per Galantino è necessario costruire un umanesimo nuovo, “all’interno del quale le istituzioni sanitarie soprattutto se cristiane, siano luoghi nei quali si offre una cura integrale, consapevoli che per raggiungere tutto il bene concretamente possibile, occorre armonizzare e prendersi cura di tutte le dimensioni della persona”.
Altro elemento ineludibile risiede nella capacità di “rinnovarsi continuamente nel contesto delle nuove sfide poste dalla mentalità scientista, dalla cultura dello scarto, da una medicina che rischia di diventare solo erogatore di prestazioni più che strumento di amorevole cura della persona”, è l’accorato monito lanciato da Monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Le istituzioni sanitarie si trovano, infatti, “in prima fila e operano sul crinale di un confronto sempre più serrato tra la cultura dello scarto e quella della condivisione solidale, ispirata al brano evangelico del buon samaritano”.
In questo contesto, “occorre invertire i termini del discorso e – ha osservato Don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Sanità – promuovere una vita di qualità per tutti i malati. E questo a partire da due considerazioni fondamentali: la prima, di carattere ontologico. La convinzione cioè che l’essere precede sempre il come. E’ questa una regola fondamentale di una società veramente umana e civile. La seconda – ha aggiunto – di carattere antropologico, cioè la necessità di prendersi cura di tutto l’uomo, riconoscendo un modello antropologico che guardi all’uomo nelle sue molteplici dimensioni: fisico-biologica, psichica, sociale, culturale e spirituale”.
Nell’odierno contesto culturale, ha avvertito Arice, “è alto il rischio di spostare l’attenzione sempre di più dal terreno del senso e del valore a quello della tecnica. In questa prospettiva l’essere umano rischia di diventare ostaggio della stessa tecnica che, con lo scopo di superare i limiti e aumentare le possibilità umane, prende il sopravvento sulla capacità di orientarne il senso. La sfida che abbiamo davanti a noi è dunque grande grande, controcorrente, ma non è impossibile, quella cioè di offrire opere e gesti per l’uomo e non usando l’uomo. Ma è anche – ha ammonito – una sfida indispensabile per la nostra società, alla quale non ci si può sottrarre rischiando di provocare ferite all’umano sempre più profonde. Per questo ci auguriamo che il mondo della salute sia abitato da coraggiosi testimoni della speranza”.
Un ruolo nodale spetta all’ospedale e all’università che “rappresentano la traduzione del significato della figura di Cristo nel senso di logos e di ricerca della conoscenza – ha riflettuto lo scrittore Francesco Agnoli – In particolare l’ospedale può essere considerato il punto di incontro tra uomo e Dio e tra scienza e carità. Con il cristianesimo il malato, il soggetto debole, ha infatti assunto una centralità sino a quel momento del tutto sconosciuta”.
In questa fase, più che mai, “è quindi imprescindibile recuperare il carisma della carità, mettendo al centro la tutela del diritto delle fasce più deboli a curarsi – ha affermato Mariella Enoc, Presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – Purtroppo però la fase che stiamo attraversando è complicatissima e la sanità cattolica sembra sulla via dell’implosione: assistiamo a un intreccio tra difficoltà manageriali e fatica enorme ad affrontare i nodi della modernità”. Enoc suggerisce quindi una ricetta i cui ingredienti sono semplici e ben definiti. “Sarebbe utile tornare ai valori originari, quando gli ospedali medievali curavano gli incurabili, mentre ormai si pensa soltanto a far quadrare i bilanci. Bisogna creare reti tra le strutture in modo da valorizzare a 360 gradi l’enorme patrimonio detenuto dalla sanità cattolica, riacquisendo il volto della trasparenza e ricreando poli di ineguagliabile eccellenza. Ma soprattutto dobbiamo riappropriarci della nostra specificità, evitando di rincorrere un astratto tutto”.
Allo stesso tempo “dobbiamo essere in grado di abbinare l’umanizzazione tipica delle nostre realtà con una gestione efficiente e una guida sicura – ha spiegato Enrico Zampedri, direttore generale del Policlinico Gemelli di Roma – La struttura che dirigo può rappresentare l’incarnazione paradigmatica di quanto riferito, poiché per caratteristiche si pone perfettamente al centro del percorso di grande trasformazione che sta segnando la sanità cattolica in cui la parte didattica deve viaggiare di pari passo con assistenza e ricerca”.
E’ quindi ormai imprescindibile “una forte spinta verso la managerializzazione, ma all’interno di riferimenti etici e valoriali negli organi di governo aprendosi alla creazione di network nel mondo sanitario cattolico, mettendosi a disposizione sempre di più a tutte le nostre realtà sanitarie anche supportandole sul piano della formazione e della ricerca scientifica, che sono nel nostro Dna di Policlinico universitario, per un rilancio del modello di sanità cattolica. Guardare al nostro interno e andare avanti con fiducia. Per esempio con il Bambino Gesù abbiamo già creato diverse iniziative di sinergia e di collaborazione mettendo a fattore comune le nostre forze. Il nostro punto di passaggio – ha concluso – è oggi la creazione di un nuovo modello di gestione del Policlinico A. Gemelli attraverso una Fondazione che vedrà la luce nei prossimi mesi è che è la grande sfida che ci impegnerà nel prossimo futuro e che speriamo possa vedere la luce nel mese di luglio”.
Gennaro Barbieri
Fonte: Quotidiano Sanità