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106 Settembre
Speciale Dignitas Infinita

La riflessione della Dignitas infinita sulle gravi violazioni della dignità umana

Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Con queste parole inizia il Primo Articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, risalente al 1948. Dopo le violenze e le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale si avverte la necessità di ridefinire e riaffermare la dignità di ogni essere umano. Tuttavia, come sovente accade, le tragedie del conflitto mondiale sono state dimenticate e altre guerre si sono profilate all’orizzonte, così come sono comparse ulteriori modalità che minacciano la vita e la dignità umana. Per tali ragioni il Documento DIGNITAS INFINITA, dopo i Fondamenti antropologici, richiama le violenze vecchie e nuove che minano le radici dell’uomo. Nell’articolo, un approfondimento della Professoressa Clara Di Mezza alle tematiche trattate nel testo. Ne emerge un quadro allarmante , ma da cui deve farsi strada la necessità, anzi l’urgenza di una presa di posizione netta ed inequivocabile di condanna contro ogni forma di violenza che attraversa il nostro tempo. 

Enrico Larghero

La Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, dopo aver offerto nei primi tre capitoli i fondamenti antropologici e teologici della dignità umana, trova il suo degno sviluppo e conclusione nelle affermazioni contenute nel quarto capitolo, dedicato ad alcune gravi violazioni della dignità. L’intero capitolo riafferma quanto esplicitato nell’Introduzione del documento, ovvero «l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona umana all’interno dell’antropologia cristiana». Nonostante ciò, è proprio il quarto capitolo a rappresentare la principale novità della Dichiarazione, tramite l’inclusione di alcuni temi portanti del recente magistero pontificio che vanno ad affiancare quelli bioetici. Nell’articolata riflessione proposta nel quarto capitolo (qui accenniamo solo al contenuto dei nn.33-42 del documento), la dignità umana non appare mai un vanto, né si proclama con parole vuote, dandone per scontato il senso. Essa assume la forma di una legge, perché non si proclama senza che essa diventi una pratica di vita. Non c’è dignità senza dovere: il dovere di riconoscere e rispettare la dignità propria e altrui, anche quando questi vivano in condizioni di precarietà e in situazione di disagio multiplo. Nelle dinamiche soggettive e intersoggettive sono frequenti e inquietanti i casi di dignità offesa o negata, per cui la direzione del suo disconoscimento o offesa può rappresentare il verso sia dell’andata che del ritorno; ognuno può constatare alternativamente di essere vittima o causa dell’offesa della dignità. Poiché il riconoscimento o meno della dignità implica l’affermazione o meno degli altri valori umani, che pertanto risultano connessi e interdipendenti, la proposta di questa Dichiarazione risulta essere pedagogicamente necessaria ed attuale, umanamente rilevante e doverosa, socialmente funzionale e proficua.
Nell’elenco delle violazioni della dignità umana che viene offerto, cioè relativamente a «tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario e tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche» (n. 33), compaiono non solo le assai dibattute questioni bioetiche (aborto, eutanasia e maternità surrogata…), bensì anche i grandi drammi umanitari quali la guerra, la povertà, le migrazioni e la tratta delle persone. La Dignitas infinita contribuisce così a superare quella dicotomia esistente tra quanti si concentrano in modo esclusivo sulla difesa della vita nascente/morente dimenticando tanti altri attentati contro la dignità umana e, viceversa, coloro che si concentrano sulla difesa dei poveri e dei migranti dimenticando che la vita va difesa dal concepimento fino alla sua naturale conclusione. Inoltre, nel documento si fa riferimento a «tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili». Viene, infine, citata la pena di morte che «viola la dignità inalienabile di ogni persona umana al di là di ogni circostanza» (n. 34). Nella Dignitas infinita si parla innanzitutto della povertà, definita come «una delle più grandi ingiustizie del mondo contemporaneo» (n. 36). Poi c’è la guerra, «tragedia che nega la dignità umana […] e che è sempre una “sconfitta dell’umanità”» (n. 38), per cui «oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”» (n. 39). 
Si prosegue con il “travaglio dei migranti”, la cui «vita è messa a rischio perché non hanno più i mezzi per creare una famiglia, per lavorare o per nutrirsi» (n. 40). Il documento si sofferma poi sulla “tratta delle persone”, che sta assumendo «dimensioni tragiche» e viene definita «un’attività ignobile, una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate» invitando sfruttatori e clienti a fare un serio esame di coscienza (n. 41). Allo stesso modo si invita a lottare contro fenomeni quali «commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato» (n. 42). Molti sono i temi sociali solo accennati nel documento e che meriterebbero singolarmente un maggiore sviluppo, ma ciò che sicuramente emerge in maniera chiara e forte è che la dignità umana non si rinchiude nella capacità di determinare se stessi. Essa è vissuta in verità là dove non viene affermata nell’astratta libertà ed uguaglianza e quando la persona umana tiene conto del volto dell’altro riconoscendosi in una comune umanità. 


                                                                                 

Clara di Mezza

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