Oggi si vive più a lungo: l’aspettativa di vita è arrivata a 79,6 anni per gli uomini e 84,4 anni per le donne, ma paradossalmente la natalità è in calo, in parte anche per gli effetti della crisi economica. Bisogna cominciare a elaborare dei piani sanitari per soddisfare al meglio i bisogni delle persone anziane, garantendo loro un mantenimento dignitoso del loro ruolo, il più possibile attivo.
Oggi si vive più a lungo: nel 2012 l’aspettativa di vita è arrivata a 79,6 anni per gli uomini e 84,4 anni per le donne. Le condizioni di vita sono infatti migliorate rispetto ad alcuni decenni fa soprattutto per i progressi raggiunti nel campo della scienza medica, ma paradossalmente la natalità è in calo, in parte dovuta agli effetti della crisi economica degli ultimi anni. Parla chiaro il rapporto demografico e sociale elaborato dall’Istat nel 2014 che presenta un accentuarsi dell’invecchiamento della popolazione nel nostro Paese e delinea alcuni aspetti di criticità economica, sanitaria e socio assistenziale.
Si è rilevato che al primo gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e più ogni 100 giovani con meno di 15 anni; le famiglie tradizionali sono diminuite e il numero di chi vive solo cresce, tra questi gli anziani. Nel biennio 2012-13 dei 7,5 milioni di famiglie dette “unipersonali” il 48,7 per cento sono anziani dai 65 anni di età e l’11 per cento ha più di 85 anni.
In un simile frangente non si può non fare i conti con una prospettiva futura di un numero ancor più crescente della popolazione anziana e di malattie croniche degenerative. Bisogna dunque cominciare a elaborare dei piani sanitari per poter soddisfare al meglio i bisogni sanitari e socio assistenziali delle persone anziane, garantendo loro un mantenimento dignitoso del loro ruolo, il più possibile attivo, nella vita sociale, senza dimenticare che l’invecchiamento è un processo biologico naturale inesorabile a cui si va incontro di generazione in generazione e nel quale ci si troverà in quella “loro” fase di vita.
In questa ottica al centro congressi «Santo Volto» di Torino sabato 28 marzo esperti provenienti dal settore pubblico e privato, operanti nel territorio torinese a livello sanitario e assistenziale ne hanno discusso ciascuno per competenza ed esperienza professionale sul campo in un convegno formativo dal titolo «Dilemmi etici in geriatria. Il paziente anziano tra ospedale, residenza sanitaria e domicilio». Si è voluto riflettere sulle nuove sfide per la salute dialogando fra le diverse istituzioni coinvolte nei tre percorsi di cura perché, come ha affermato il moderatore della mattinata il professore Enrico Larghero, direttore sanitario della residenza «Richelmy» di Torino, «talvolta i passaggi da un luogo ad un altro sono vissuti dalle persone malate in modo non “indolore”».
Un tema di stringente attualità che ha destato la sensibilità di molti patrocinanti (Aslto2, Centro Cattolico di Bioetica, Ordine dei Medici della Provincia di Torino, Orpea, Pastorale della Salute-Arcidiocesi di Torino).
In rappresentanza del vescovo Cesare Nosiglia e in qualità di direttore e responsabile della Pastorale della Salute rispettivamente diocesana e regionale, don Marco Brunetti, nel dare il benvenuto ai partecipanti ha voluto richiamare l’attenzione della Chiesa contro la “cultura dello scarto”, denunciata dall’attuale papa Francesco perché relega le persone più fragili ai margini di una società consumistica quale è l’attuale, basata sul principio dell’efficientismo, e al valore della saggezza della persona anziana come risorsa da valorizzare all’interno della famiglia e della vita sociale.
In una breve nota, la 94 dell’Evangelium Vitae (1995) Papa Giovanni Paolo II ne intravedeva una figura che avrebbe assunto un ruolo attivo e sarebbe diventata «dispensatore di sapienza, testimone di speranza e carità» mentre ne segnalava alcuni emergenti problemi, quali l’emarginazione sociale, la perdita di un patto tra le generazioni alla luce dell’accoglienza e della solidarietà, in particolar modo quando il cammino di vita si volge al termine, la necessità di un sostegno alla famiglia. Il presidente regionale Amci del Piemonte Fabrizio Fracchia ha fatto notare, leggendo il passo, quanto finora non si siano ancora date risposte e una mentalità eutanasica si sia invece diffusa: «Un posto particolare va riconosciuto agli anziani. Mentre in alcune culture la persona più avanzata in età rimane inserita nella famiglia con un ruolo attivo importante, in altre culture invece chi è vecchio è sentito come un peso inutile e viene abbandonato a se stesso: in simile contesto può sorgere più facilmente la tentazione di ricorrere all’eutanasia» (EV).
Poi è stata la volta di Edoardo Tegani in rappresentanza dell’AslTo2 che ha messo in luce la priorità di costituire una rete competente e qualificata di servizi integrati alla persona sul territorio per affrontare le fragilità delle persone anziane sia di tipo socio-economico che sanitario con un percorso personalizzato di assistenza, reintegrazione e conservazione in modo dignitoso del loro un ruolo, il più possibile attivo, nella società.
«Cosa dobbiamo fare di più e meglio per offrire un’assistenza degna di rispettare la vita della persona anziana» è l’interrogativo che ogni giorno si pone Josè Parella, direttore generale per l’Italia del noto gruppo francese Orpea, che conta oltre cinquecento strutture tra case di riposo, cliniche riabilitative e psichiatriche in Europa e tra i primi in Italia ad accogliere un’unità sanitaria e assistenziale per accogliere i malati di Alzheimer.
Un quesito con il quale si è dato il via ai lavori del convegno partendo da alcune premesse condivise dai relatori. Ai tempi odierni occorre dire che mal si cuce addosso la definizione di anziano a chi è un sessantacinquenne o un settantenne, perché è generalmente molto attivo, autonomo, pratica non di rado attività sportive e ricopre anche cariche di rilievo nella società. È una classificazione anacronistica in ambito sanitario in cui l’anzianità slitterebbe piuttosto agli ottanta, o detta anche quarta età, fascia che richiede però più impegno per la medicina di gestione per il maggior numero di cronicità gravi. Seppure in media si è più sani di un tempo il numero dei malati è comunque elevato, non per un peggioramento delle condizioni di salute ma per un incremento della popolazione anziana esposta al rischio di ammalarsi. Altro punto è l’attenzione rivolta alla centralità della persona per offrire servizi sanitari integrati che rispondano alle preferenze ed esigenze dell’anziano.
Dell’esperienza presso le Molinette della realtà ospedaliera di Geriatria, in cui il ricovero è in media di 8-10 giorni, e di ospedalizzazione a domicilio che continua a riscuotere un buon successo con in media 25-28 pazienti acuti e sub acuti seguiti al giorno da un gruppo di equipe, ne ha parlato l’illustre professore Giovanni Carlo Isaia, ordinario di Medicina interna presso l’Università degli Studi di Torino e direttore della S.C. di Geriatria e Malattie metaboliche dell’Osso presso Aou della Città della Salute e della Scienza di Torino.
Poi il docente si è soffermato sul bagaglio professionale del medico e sullo studio condotto con il dottore Mario Bo sul consenso informato alle persone anziane da cui è emerso che è per la maggior parte recepito più come una mera pratica burocratica. Ha proseguito poi con il concetto di limite per gli operatori sanitari, trattando i confini legali e deontologici entro i quali operare richiamando la perdurante incertezza interpretativa della natura medica tra l’eutanasia “mascherata” e l’accanimento terapeutico. Con la presentazione del progetto universitario di sperimentazione didattica e pratica centrata sul rapporto medico-paziente intitolato «La vita degli altri» ha concluso l’intervento. Tale iniziativa è nata alcuni anni fa in collaborazione con Aress e avviata dalla Scuola di Umanizzazione della medicina onlus e SCDU di Geriatria del San Giovanni Battista di Torino. Coinvolge da alcuni anni gli studenti al quinto anno di Medicina per fornire loro strumenti utili per fare una diagnosi e una terapia corretta in un contesto olistico. Ad un paziente viene affiancato uno studente che dovrà seguirlo nei diversi percorsi di cura, ascoltare il racconto della sua vita e annotare un “diario di bordo”.
Assistenza domiciliare
Sull’assistenza domiciliare «il bisogno delle persone anziane non può più oggi essere categorizzato tra prevalenza sanitaria o socio-assistenziale perché questi due elementi si intrecciano facilmente, ma realizzare piuttosto un osmosi tra prestazioni sociali e sanitarie», ha affermato il dottore Carlo Pontillo, direttore vicario Cure domiciliari e disabilità AslTo2.
La fragilità delle persone anziane non è dovuta solo da una malattia, ma anche determinata da molteplici fattori sociale, psicologico, psichico e funzionale. Attualmente le prestazioni domiciliari nella cronicità riguardano soprattutto cure familiari, affido familiare, pasti a domicilio, prestazioni di tregua, assegno di cura e buono servizio.
Ha illustrato poi il progetto SOD (Sostegno domiciliare) partito di recente per favorire il sostegno domiciliare a pazienti anziani per i quali si necessita una immediata cura assistenziale di tipo più sociale che sanitaria e vi è una resistenza temporanea al rientro al proprio domicilio. Ne è l’esempio di una persona sola dimessa dopo il ricovero per ictus che non ha una persona che possa assisterlo.
I CAVS
Classificata tra le assistenze territoriali è la nuova formula della continuità assistenziale a valenza sanitaria (cavs) di post ed extra ricovero voluta dalla Regione Piemonte per ridurre l’affollamento in ospedale, che fornisce un servizio temporaneo, non basato sul risparmio come si tende a supporre, ma di equità e qualità nelle prestazioni che fanno parte di un percorso assistenziale, come ha spiegato Edoardo Tegani direttore del distretto circoscrizione 4 AslTo2. Valutazioni multidimensionali servono per pianificare interventi personalizzati e integrati per la presa in carico della persona, ha aggiunto la dottoressa Gemma Giordano, responsabile Cpse delle professioni sanitarie nel medesimo distretto.
Il privato, e i cavs ne sono una testimonianza, può bene collaborare con il pubblico nella prospettiva di sussidiarietà andando a integrare, affiancare il pubblico nella gestione dell’anziano malato. Un cammino che può proseguire soprattutto in una prospettiva di allocazione di risorse in una società che invecchia sempre più.
Scelte per una RSA
Per Marina Di Marco, direttore medico Orpea Italia, un’alternativa alla solitudine, alla famiglia che non può occuparsi della persona anziana in casa come faceva un tempo per diversi motivi – lavorativi, famiglia disgregata o monogenitore, accudimento di bambini piccoli, precarietà socioeconomica – costituiscono le ragioni della scelta per una rsa. «Anche qui è importante la multidisciplinarietà professionale, una progettualità su misura che consideri non solo la cura ma anche la storia di vita dell’ospite – il suo vissuto, le sue abitudini – che ha scelto presso di noi un percorso temporaneo o anche permanente, integrando con i servizi della rete complessiva fornita dalle Asl e dal Comune», ha aggiunto.
Seguono ogni giorno soprattutto i “grandi vecchi”, spesso sofferenti di comorbilità, ma la medicalizzazione non deve essere mai eccessiva. Solleva infine la necessità di una presenza di maggiori comitati etici e anch’ella rimarca la confusioni sui concetti eutanasia mascherata e accanimento terapeutico.
Linda Natar, direttore sanitario internazionale, che è venuta da Parigi, ha richiamato l’attenzione sul livello professionale multidimensionale nel prendere in carico una persona “geriatrica”. La fragilità, che già appartiene alla persona anziana, si accentua nei casi di disturbi cognitivo psicologici, del sonno, di motricità funzionale, della nutrizione, da incontinenza, o nel caso di immobilizzazione. Però non sempre la condizione di fragilità è statica e può migliorare attraverso un trattamento terapeutico o riabilitativo.
Conclude il convegno accompagnando i partecipanti ad un viaggio virtuale sul mondo assistenziale dell’anziano nei diversi Paesi dove il gruppo Orpea è attiva, passando dall’Europa fino in Cina dove è approdata da poco, a Nanjing. A differenza di altre case di riposo situate in periferia il gruppo francese ha costruito una residenza in città, con 250 posti letto, affinché la famiglia che lavora possa fare loro visita. La loro cultura della famiglia è molto simile a quella italiana e francese.
© Bioetica News Torino, Aprile 2015 - Riproduzione Vietata