Agli albori del Terzo Millennio quali devono essere i rapporti tra Stato e Chiesa all’interno di una democrazia consolidata? La risposta non è semplice e la storia ha dimostrato quanto complessa possa essere questa relazione. I Vangeli Sinottici riportano la celebre frase di Gesù: «Date a Cesare quello che è di Cesare e date a Dio quello che è di Dio». Nel mondo latino nacque invece un termine che ebbe grande successo nei secoli a venire, ovvero: «Ecclesia libera in libera patria», libera Chiesa in libero Stato. La questione torna regolarmente alla ribalta e la fine di un travagliato 2020 non fa eccezione.
La giornalista Giulia Sorrentino, in un articolo comparso su quotidiano Libero del 28 dicembre 2020, ha estrapolato qua e là frasi dal Manuale di bioetica del compianto Card. Elio Sgreccia che a suo dire erano «destinate a suscitare polemiche». Le polemiche sono effettivamente prontamente arrivate. Annamaria Bernardi De Pace, avvocato e saggista italiana, il giorno dopo, in un articolo pubblicato su La Stampa a pagina 21 e annunciato in un riquadro in prima pagina, si è sentita in dovere di riprendere le citazioni proposte dalla Sorrentino per definirle «pericolose e inquietanti affermazioni», «fanatismi religiosi ormai superati», «educazione dittatoriale». In modo neppur troppo velato ha propinato l’idea che la morale cattolica dovrebbe appiattire il suo insegnamento a quanto asserito dalle leggi dello Stato.
Il manuale è stato dato alle stampe nell’ultima edizione una decina di anni or sono e potrebbe certamente essere arricchito da un aggiornamento alla luce dei documenti ecclesiali in seguito pubblicati, ma non è nostra intenzione prendere in esame i diversi temi che i due volumi affrontano e neppure esaminare le singole contestazioni che vengono fatte. Riteniamo però urgente difendere il diritto di pensiero, di parola e di insegnamento. Sembra altresì utile mettere in guardia da grossolane strumentalizzazioni. È rilevante al riguardo ciò che nell’articolo si scrive a proposito dell’aborto: «La legge, sempre secondo il manuale di bioetica, “non è di obbligo per nessuno ma pone il diritto dell’obiezione di coscienza”». È molto curiosa questa asserzione. Stupisce, infatti, che un avvocato scriva che sia il manuale messo sotto accusa a ritenere che la legge non è obbligante. Come può dimenticare che è la legge 194/1978 stessa a indicare all’articolo 9 che «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 [accertamenti e certificazione] e agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza»? L’obiezione di coscienza, va ricordato, non è una concessione offerta dallo Stato alla Chiesa, ma è un diritto-dovere sancito non solo dall’ordinamento e dai codici deontologici italiani, ma da non pochi documenti internazionali che riconoscono che ogni cittadino può applicarla in determinati contesti, rispondendo in ultima istanza alla propria coscienza.
Nell’articolo pubblicato su La Stampa si citano anche i Concordati del 1929 e del 1985 tra Stato e Chiesa. Questi documenti, a differenza di quanto farebbe supporre l’avvocato Bernardi De Pace, testimoniano che Stato e Chiesa sono «indipendenti e sovrani». Nel testo del 1985 è inoltre scritto che la Repubblica «riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione» e garantisce «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Su una cosa si può concordare con quanto scritto nell’articolo. L’Avvocato attesta che la bioetica «è fondamentale per continuare a sostenere la libertà e la dignità della persona». L’osservazione è giustissima, ma acquista valore solo se il rispetto della libertà e della dignità delle persone non coincide con l’obbligo di assumere un “pensiero unico”. La Costituzione stessa annota che ogni cittadino ha il diritto di manifestare le sue idee e i suoi valori e riconosce ai docenti la libertà di insegnamento. A conclusione di queste puntualizzazioni, mi pare utile condividere l’auspicio espresso dallo storico della filosofia e bioeticista laico Giovanni Fornero: la bioetica sia «strutturata nei termini di un postmoderno laboratorio del dialogo e del pluralismo. Un laboratorio in cui, come auspicava Scarpelli, “principi differenti possono infine confrontarsi senz’odio filosofico e teologico”» (Fornero, 20092: 204).
La libertà di fede e la libertà di parola costituiscono alcuni dei fondamenti su cui si deve basare una democrazia. Il pluralismo, il multiculturalismo, la diversità di opinioni, sono una testimonianza ed una garanzia per tutti i cittadini. Il confronto intellettualmente onesto e senza pregiudizi rappresenta una forma costruttiva di dialogo sulla cui etica si può elaborare una progettualità, ricercare un senso, lavorare per il bene comune. Su questi temi si fonda il discorso di Pericle agli Ateniesi del 461 a.C. e le cui parole risuonano nell’ultima Enciclica di Papa Francesco, il quale profetizza un incontro tra gli esseri umani senza barriere, impostato sulla fraternità e l’amicizia sociale nella prospettiva di lavorare insieme per costruire una grande famiglia umana.
© Bioetica News Torino, Gennaio 2021 - Riproduzione Vietata