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La drammatica storia di madri nubili e dei loro bambini negli istituti, dal Rapporto irlandese

14 Gennaio 2021

Il dipartimento dell’Infanzia, dell’uguaglianza, della disabilità, della integrazione e della gioventù della Repubblica Irlandese ha pubblicato ieri il Rapporto finale della Commissione di Indagine sulle strutture di accoglienza per madri nubili con bambini in Irlanda che raccoglie in quasi 3 mila pagine una storia di un paese, degli usi e costumi, morali e religiosi e delle condizioni di vita in tali strutture dal 1922 al 1998.

Sono racchiusi 76 anni di storia ma come si afferma nella descrizione generale del Rapporto: «l’esperienza delle donne e dei bambini nel 1920 era di gran lunga differente da quella negli anni Novanta a prescindere da dove vivevano. Le istituzioni dell’indagine sono mutate considerevolmente nel tempo: le due più grandi istituzioni erano operative per l’intero periodo ma si trattava di istituzioni molto differenti nel 1998 da quelle del 1922». Quando le famiglie stesse allontanavano le figlie incinte al di fuori del matrimonio «comunque, va riconosciuto che le istituzioni di cui si è fatta l’indagine hanno provveduto ad un rifugio – duro in alcuni casi». Gli anni sessanta videro i primi passi di miglioramento dei diritti con l’introduzione di una istruzione libera successiva a quella primaria e nel 1973 il riconoscimento di un’indennità pubblica per le madri non sposate per il mantenimento dei loro figli.

Allontanate anche da chi avrebbe dovuto riconoscere la paternità. La loro sorte era segnata comunque anche quando il padre avrebbe desiderato mantenere i propri figli ma non aveva mezzi sufficienti per sostenerli oppure dopo anni di fidanzamento all’annuncio di una gravidanza venivano lasciate – negli anni venti si è osservata una certa riluttanza al matrimonio da parte di celibi irlandesi -; o ancora quando il fidanzato non era gradito alla famiglia per motivi di differenza di classe sociale o religiosi; e ancora quando le famiglie le avrebbero fatte rimanere con sé senza il figlio che tenevano in grembo, soprattutto se si trattava di una famiglia in povertà o agricola per la competizione ereditaria.

«Mi scuso senza riserve verso i sopravvissuti e verso chi ha ricevuto personalmente un impatto dalle realtà che [il Rapporto] discopre» per quella che è descritta come «un’atmosfera cupa … fredda e senza cura», commenta l’arcivescovo di Amagh, Eamon Martin, amministratore della diocesi di Dromore e Primate d’Irlanda, presidente della Conferenza episcopale irlandese. E rivolgendosi a quanti si trovano in posizioni superiori nella Chiesa chiede, si legge in CatholicNews.ie, «di studiare il lungo rapporto attentamente e specialmente di spendere tempo nel riflettere sulle coraggiose descrizioni dei testimoni riportate alla Commissione. Insieme dobbiamo chiederci “come sia potuto accadere ciò?”, dobbiamo individuare, accogliere e rispondere le questioni più ampie che il Rapporto solleva sul nostro passato, presente e futuro». E al fatto che, come emerge dal Rapporto, che molti stiano alla ricerca della loro storia personale e delle famiglie, afferma: tutti i luoghi di sepoltura (non ancora scoperti) siano identificati e appropriatamente contrassegnati così che i deceduti e le loro famiglie potranno essere riconosciuti e mai dimenticati».

Novemila sono i bambini morti nei 18 istituti esaminati dalla suddetta Commissione. Per Taoseach Mícheál Martin, primo ministro irlandese, si tratta di «un oscuro, difficile e vergognoso capitolo di storia irlandese», “una sola verità”: la società tutta era complice” (bbc.com, 12 january 2020).

La maggior parte delle donne aveva tra i 18 e i 29 anni, soprattutto negli istituti che accoglievano madre con il bambino/la bambina. Non erano differenti dalle altre loro donne irlandesi, compagne di classe e di lavoro; portavano avanti una gravidanza senza essere sposate. Senza alcunché l’unica via per proteggere la loro privacy era cercare assistenza contattando loro stesse il Dipartimento del Governo locale e della Salute pubblica, poi Dipartimento della Salute, l’autorità sanitaria locale o un’istituto cattolico di carità o andare via in Gran Bretagna. Vi erano anche donne che venivano accompagnate negli istituti dai genitori o un familiare senza essere prima consultate.

I bambini invece portavano addosso l’etichetta di figli illegittimi. Un’onta che si ripercuoteva sulla parentela e sulle sorelle, per la quale la donna veniva costretta o a tacere della gravidanza o ad allontanarsi. Alcuni di quelli che nascevano negli istituti continuavano a rimanervi dopo che la madre andava via e un piccolo numero rimaneva fino all’età di sette anni. Finivano per uscire e rientrare in altri istituti come le scuole industriali o presi in cura. L’adozione legale a partire dal 1953 diede loro una opportunità. La mortalità infantile era molto alta e anche lì confronto non reggeva tra figli “illegittimi” e non: tra il 1945 e il 1946 il tasso di mortalità nelle case per madri e figli era due volte maggiore rispetto alla media nazionale degli altri figli.

Le istituzioni erano pubbliche rette da autorità locali come le case di cura della contea, Pelletstown, Tuam and Kilrush, altre religiose ad esempio della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù e Maria – Bessborough, Sean Ross, Castlepollard o la Bethany Home protestante evangelica. Svolgevano lavori più duri soprattutto nelle case di cura locali dove dovevano ricevere la loro ricompensa. Prima degli anni 1970 non si hanno segnalazioni di gravi abusi di lavoro ma non venivano fatte integrare rimanendo più spesso oggetto di derisione e denigrazione, soprattutto dope con il nascituro sia nella struttura che in ospedale.

Nelle case di cura le donne convivevano con anziani e persone con disabilità e lì loro erano dimenticate, provenienti per lo più da famiglie povere o lla loro seconda gravidanza. Lì finivano le donne non accettate dalle case di accoglienza, con bisogni importanti, problemi mentali, malattie veneree o con con condanne di reclusione. Spinte anche dalla famiglia e dal personale delle case di cura a dare in adozione i loro figli dopo il 1973, ignare della legge per il loro sostegno pubblico e di molte case che cominciavano ad essere chiuse.

Negli anni sessanta in Irlanda l’adozione dei bambini/bambine corrispondeva al 97% con il numero dei figli illegittimi. La situazione irlandese desta attenzione, rispetto altrove, per il numero di case di cura per madri nubili e i loro bambini.

Un rapporto, un racconto, drammatico che è venuto alla luce nel 2014 dopo il ritrovamento di resti umani trovate nei terrenti di una vecchia casa di cura in Tuan nella contea di Galway: secondo la storica locale Catherine Corless, 796 bambini erano stati lì seppelliti. E con esso il disvelamento della verità richiesto dal governo irlandese istituendo una Commissione indipendente su Mother and Child homes formata dal giudice Yvonne Murphy e dai commissari prof. Mary E. Daly e dr. William Duncan.

redazione Bioetica News Torino