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La distrofia retinica ereditaria: risultati incoraggianti dalla terapia genica All'Ospedale-Università Vanvitelli di Napoli un esito positivo per alcuni bambini

21 Ottobre 2021

Una speranza, quella di poter vedere finalmente nitidi quei volti familiari a loro cari, che percepivano più con il tocco delle mani e, del loro cuore, è arrivata per una decina di bambini ipovedenti affetti da una rara forma di distrofia retinica ereditaria. La clinica oculistica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, fiore all’occhiello in Italia e tra i primi centri in Europa per le terapie avanzate delle patologie oculari rare in età pediatrica, li ha portati a trovare il piacere della scrittura, della lettura, ad alcuni a lasciare la tastiera braille per impugnare la penna.

Lo spiega soddisfatta degli esiti ottenuti con la prima terapia genica voretigene neparvovec Francesca Simonelli, direttrice della Clinica e professore ordinario di Oftalmologia: «Allargamento del campo visivo, aumento della capacità visiva da vicino, da lontano e in condizione di scarsa luminosità, hanno, quindi, un profondo valore scientifico e clinico oltre a testimoniare che, in una patologia degenerativa, la via del trattamento precoce è quella vincente».

La distrofia retinica ereditaria è dovuta a mutazioni del gene RPE65. La sperimentazione di fase I è iniziata 15 anni fa dall’Università Vanvitelli in collaborazione con la Fondazione Telethon e il Children Hospital di Philadelphia. Poi nel 2019 l’Agenzia del Farmaco Italiana (Aifa) ne ha autorizzato il trattamento su due bambini in Italia e da allora, dopo quasi due anni, «possiamo confermare un’assoluta stabilità dei risultati ottenuti e un buon profilo di sicurezza.  Dati che ci rendono fiduciosi che quanto ottenuto in termini di capacità visiva perduri nel lungo periodo» conclude la direttrice Simonelli.

Il Centro Malattie Oculari Rare dell’UOC di Oculistica dell’ateneo di Napoli certifica una sessantina di malattie rare che colpiscono la vista. Dalla conferma dell’esito delle indagini diagnostiche si passa ad un’indagine genetica per definire la causa della patologia e della eventuale possibilità di beneficiare delle terapie geniche.

Questa terapia per essere praticata per la distrofia retinica ereditaria necessita la presenza di sufficienti cellule retiniche ancora vitali.

Che cosa è la distrofia retinica ereditaria?

Fa parte di un gruppo di malattie rare genetiche della retina che colpiscono sia bambini che giovani adulti, riduce in maniera progressiva la degenerazione dei fotorecettori della retina che comporta negli anni una grave riduzione della capacità visiva e sono causate da mutazioni in uno dei 220 geni differenti e oltre.

La più frequente è la forma di distrofia retinica ereditaria dovuta a mutazioni nel gene RP65 che può recare una gravissima invalidità anche nelle fasi dell’età infantile e dell’adolescenza, compromettendo nelle fasi iniziale la vita relazionale e scolastica e poi anche quella lavorativa.

La retina avvolge all’interno il bulbo oculare e permette di vedere mediante fotorecettori, cellule nervose suddivise in coni e bastoncelli, capaci di tradurre la luce che penertra nell’occhio in informazioni visive destinate ad essere elaborate dal cervello.

In che cosa consiste la terapia genica per il trattamento di distrofia della retina associata alla mutazione biallelica del gene RP65?

Si tratta di un nuovo campo di ricerca in cui vengono corretti i geni alterati che causano una malattia.

Risale agli inizi del 2018 quando l’Agenzia statunitense per la regolamentazione alimentare e dei medicinali, Food and Drug Administration, ha approvato il medicinale di ultima generazione voretigene neparvovec per bambini e adulti con patologia rara ereditaria, la distrofia retinica, causata dalla mutazione del gene RPE65.

La terapia, consiste, nella nota tradotta dall’Aifa, nell’utilizzare un virus presente in natura, modificato utilizzando tecniche di Dna ricombinante, quale veicolo di trasmissione della copia funzionante del gene RPE65 direttamente nelle cellule della retina malate con un’iniezione sottoretinica. La vista migliora perché la proteina normale, prodotta dalle cellule retiniche alle quali è giunta l’informazione corretta, può convertire la luce in segnale elettrico nella retina. La somministrazione, veniva spiegato, può essere data solo ai pazienti con cellule retiniche vitali.

Alcuni mesi più tardi lo stesso medicinale viene approvato come farmaco orfano dal Comitato per i Medicinali per Uso Umano dell’Agenzia del Farmaco europea (Ema).

Con la determina di gennaio 2020 l’Aifa ne autorizza la prescrizione medica limitativa utilizzabile esclusivamente nei centri individuati dalle regioni e province autonome per mitigare i rischi associati al farmaco e alla procedura di somministrazione con la presenza di un gruppo multidisciplinare adeguatamente formato per la gestione clinica del paziente e delle possibili complicanze. Nella valutazione del farmaco innovativo riconosce massimo il bisogno terapeutico per l’assenza di opzioni terapeutiche per la specifica indicazione, a fronte di controversi potenziali benefici risultanti dalla letteratura e del potenziale rischio di tossicità per dosi elevate a lungo termine.

La cura genica ad una prima paziente adulta in Italia

Al Policlinico A. Gemelli– IRCCS si ha la prima paziente, quarantenne, con la distrofia retinica ereditaria in fase avanzata e bilateralmente ipovedente. Ne diede informazione l’Osservatorio delle malattie rare nell’intervista al prof. Stanislao Rizzo, ordinario di Oftamologia all’Università cattolica del Sacro Cuore, di Roma, e direttore dell’UOC di Oculistica della Fondazione del Policlinico A. Gemelli (Omar, 27 luglio 2021), nonché esperto di chirurgia maculare.

«A un solo mese dalla somministrazione sottoretinica della terapia, abbiamo già potuto riscontrare dei miglioramenti significativi rispetto al pre-operatorio. Attraverso i test FST, che sono delle stimolazioni elettriche della retina, siamo infatti in grado di ricevere una risposta oggettiva ed evidente sulla funzionalità dei fotorecettori», affermava Rizzo.

Il percorso preparatorio per equipe medica e paziente e del processo di somministrazione risulta complesso e può durare fino ad un anno.

Una “retina artificiale liquida”

Messa a punto dai ricercatori dell’Istituto italiano di Tecnologia, dall’Ospedale Sacro Cuore Ircss di Negrar in Verona, di Alfasigma, questa protesi di ultima generazione sostituisce i fotorecettori danneggiati e ripristina la stimolazione dei neuroni retinici che inviano informazioni visive al cervello e viene impiegata in particolar modo per le malattie degenerative della retina come la retinite pigmentosa.

CCBYSA

redazione Bioetica News Torino