Il tema di oggi, dedicato all’anziano fragile riguarda un aspetto specifico di una condizione antropologica costitutiva della natura umana: la sua fragilità.
La condizione di fragilità, espressione ereditata dal latino “frangere”, che indica la facilità con la quale qualcosa si spezza, coinvolge fatalmente ogni cosa che vive, quindi, per eccellenza l’uomo vivo. L’uomo è fragile in sé. Tuttavia, la sua fragilità non è sinonimo di debolezza in virtù dell’ampia flessibilità dei suoi sistemi organici che garantisce quell’adattabilità e resistenza da cui scaturiscono poi la forza morale e la volontà.
E in ogni generazione l’uomo ha espresso la sua fragilità: dal forte senso di precarietà della vita in epoche passate, quando gli strumenti di tutela erano molto deboli, ad aspetti più moderni ma segnati sempre dagli stessi presupposti della natura umana: la sua intrinseca debolezza, i suoi limiti naturali, la costante della malattia, quindi del dolore e della sofferenza …
Ai limiti naturali si aggiungono i molteplici e imprevedibili eventi della vita come la perdita del lavoro, l’incapacità di elaborare il lutto per la perdita di un famigliare, una delusione affettiva, un fallimento familiare, scolastico o lavorativo, la solitudine, la depressione spesso connessa all’incapacità di convivere con la propria condizione di fragilità…
Condizione che si fa ancora più evidente e più marcata nella vecchiaia.
Fra le conquiste del grande sviluppo del progresso tecno-scientifico emerge il progressivo allungamento della vita umana. Una realtà che quanto più si estende, tanto più sottende aspetti particolari di fragilità, che si sommano a quelli antropologici già citati, come la marginalità, la solitudine, la riduzione delle forze e quindi della propria autonomia, la caduta di funzioni sensoriali indispensabili, come l’udito, e la vista, un maggiore senso di precarietà esistenziale e, non raramente, la povertà.
L’anziano, quando vive in solitudine, tende a isolarsi, a perdere il senso di vitalità esistenziale, cadendo nella depressione. Si fa più intenso il bisogno di affetto e di attenzione. Condizioni che lo rendono più disponibile alla fiducia negli altri, ma anche incapace di valutare il rischio di farsi raggirare e diventare facile preda di persone disoneste e di truffatori.
E per rispondere a questo tipo di fragilità, lo strumento più efficace è la solidarietà. Ma l’azione della solidarietà non deve essere soltanto individuale; occorre creare una rete di sensibilizzazione al problema e adoperarci per creare una mentalità che valorizzi la persona in tutti i suoi aspetti.
Significa migliorare l’organizzazione del nostro tempo e degli spazi, richiamare la nostra vita ai valori fondanti quali il “senso” della vita stessa e della sua naturale precarietà, tenere conto della provvisorietà di ciascuno di noi sulla scena dell’esistenza terrena, considerare i beni materiali come opportunità per offrire aiuto, riscoprendo così la dimensione del dono e dell’ascolto.
Purtroppo, la cultura moderna, ha sostituito i valori esistenziali tradizionali con prospettive di ordine materialistico-edonistico, che respingono il senso delle naturali fragilità umane, cercando di nasconderle, o di risolverle come un problema a cui applicare una tecnica appropriata.
I valori ideali e spirituali tradizionali sono sostituiti da aspirazioni che riflettono la superficie di una nuova antropologia esistenziale di estremo individualismo, concentrata verso il raggiungimento di soddisfazioni materiali, come il benessere assoluto e l’efficienza fisica, secondo i criteri della bellezza, del successo, della forza esibita.
L’uomo non può che essere fragile; cambiarne la natura significa manipolarne l’impianto antropologico, per costruire una figura umana che mira a imporsi nel mondo per dominare e per sottomettere gli altri.
Si vuole affermare il modello dell’uomo forte e indistruttibile, che però è una pura finzione dell’immaginario umano. L’uomo non può che essere fragile; cambiarne la natura significa manipolarne l’impianto antropologico, per costruire una figura umana che mira a imporsi nel mondo per dominare e per sottomettere gli altri.
È un artificio psico-sociale, capace comunque di gravi danni umani che si riverberano sull’intera società.
La vera storia è fatta tutta dai fragili, perché così è l’uomo. E la fragilità personale consente di percepire la fragilità degli altri. Ed è questa condizione che, proiettandosi nel mondo, dovrebbe costruire una società in cui prevale la solidarietà, il reciproco aiuto.
E questa è la grande opera che scaturisce dall’ “uomo fragile”.
Di esempi nel corso della storia umana ce ne sono stati tanti: Gandhi non è mai stato una figura di potere, Gesù ha accettato la fragilità debole e sottomessa, legata alla corporeità, proprio accettando la vita umana e la morte più tragica, ma anche esprimendo quella forza esistenziale diventata strumento indispensabile per manifestare la sua divina sensibilità e capacità di percezione, la cui forza è servita a riscattare la “nostra” fragilità, a donarci la vita eterna, nonché un modello di comportamento.
È dunque l’uomo fragile che cambia il mondo e, come dice Vittorino Andreoli: «rifà l’uomo».
Note
* al Convegno «Un welfare sostenibile per anziani fragili», che si è tenuto sabato 16 giugno 2018, presso l’Aula Magna della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – sezione parallela di Torino. Sono stati riconosciuti crediti Ecm per tutte le professioni sanitarie.
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