Il compito che l’Amci si vuole assumere non è certo riduttivo di una presenza ecclesiale a servizio della Diocesi di Milano, che peraltro si va via via accrescendo con un sostegno e un rispetto reciproco, ma vuole essere strumento di dialogo aperto ad ogni componente medica, cristiana, laica e in ricerca, luogo dove elaborare contributi concreti per rilanciare una presenza di autorevolezza, fiducia e responsabilità nella professione e nell’esercizio della cura.
Siamo lieti che questa sensibilità sia stata captata ed accolta anche dall’Ordine dei Medici di Milano, rappresentato dal suo Presidente Roberto Carlo Rossi, che ne ha colto l’importanza e la significatività ponendolo a dignità di evento formativo e di questo lo ringraziamo. Altrettanto ci sentiamo grati verso la nostra Università Statale nella persona del Magnifico Rettore prof. Elio Franzini, anch’egli tra noi, che ci ospita in questa stupenda Sala Napoleonica, nella antica dimora settecentesca di Palazzo Greppi, ove la destinazione d’uso all’Università si sposa con la proprietà dell’Arcivescovado. È dunque singolare e simbolico che una giornata di studio proposta da un’associazione ecclesiale di medici per lo più formati in questa Università trovi qui oggi la sua sede ideale per un confronto laico e cristiano. Ed è con viva riconoscenza che salutiamo dunque il nostro Arcivescovo Mario Delpini che, non solo ci onora della Sua presenza, ma che introdurrà la giornata con la prima relazione.
Da lungo tempo la Diocesi ambrosiana manifesta una chiara attenzione e preoccupazione verso il mondo della sanità e della cura, non solo grazie al magistero episcopale (superfluo ricordare i contributi sempre attuali e incisivi dei Cardinali Martini e Tettamanzi), ma anche attraverso l’impegno costante della Pastorale della Salute e di uno specifico Tavolo sulla cura. Di recente tuttavia si è aggiunta l’iniziativa inedita e personalissima di Monsignor Delpini di dedicare una Lettera al medico, come un chiaro segno di vicinanza ed incoraggiamento e col desiderio di intessere un colloquio partecipe e preoccupato di fronte al forte cambiamento in atto nel tradizionale paradigma della cura. Il consenso che questa Lettera sta suscitando richiama ambiti sempre più allargati, da quelli accademici dei Presidi di Medicina della Statale (prof. Zuccotti) e dell’Università Vita-Salute Prof. Flavia Valtorta ed istituzionali come il Prof. Remuzzi e il suo predecessore Garattini alla guida del Mario Negri, fino ad ambiti più operativi ospedalieri e del territorio attraverso la diffusione operata grazie alle Cappellanie ospedaliere e alla pubblicazione sulla newsletter dell’Ordine. Vogliamo coglierne l’opportunità per una riscossa in termini di professionalità ed umanità a tutto tondo che condividiamo anche con il Presidente della Federazione nazionale dei medici Filippo Anelli.
Possiamo fin d’ora annunciare che a questa nostra iniziativa odierna, subito accolta con favore ed interesse dall’Arcivescovo, ne seguiranno sicuramente altre tra le quali abbiamo in cantiere un seminario di studio in cui dare voce a rappresentanti di ampie categorie mediche (amministrative e dirigenziali, ospedaliere, universitarie e del territorio, società scientifiche ed imprese di cura) per delineare risposte concrete per la salute e la vita professionale sempre più affaticata del medico.
Il tema oggetto del nostro Convegno affronta la questione della solitudine ampiamente percepita per lo più in modo problematico e tragico nella società d’oggi come condizione drammatica dell’umano e dimensione negativa dello spirito, in sorprendente sintonia con analogo interesse alla recente Giornata di studio della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. In ambito medico il tema sta dilagando nella letteratura medica internazionale ed oggetto di molte relazioni congressuali, con crescente demotivazione e disimpegno ed evocando addirittura rischi di isolamento ed esaurimento nella vita professionale (burnout).
Uno studio del 2018 realizzato dalla Mayo Clinic evidenzia che oltre il 50% dei medici americani soffre di burnout e nel 45% dei casi la causa è la fatica eccessiva, tanto che il tasso di suicidi è di 3-5 volte superiore alla popolazione generale. Pochi sono ancora gli studi italiani, ma i modelli che stiamo importando dall’America e la massiccia adesione ai questionari proposti in merito non ci fanno ben sperare.
La riflessione che oggi proponiamo a più voci non ha fini speculativi ma vuole ritrovare spazi di elaborazione e di dialogo laico e cristiano per superarne la conflittualità, tentando invece di far emergere un’altra dimensione positiva della solitudine, quella di singolarità ed unicità nella relazione medica per poter guardare ad essa come a un modo di prendersi cura di sé stessi. A partire da uno sguardo lucido sulla realtà vogliamo dunque invitare ad invertire il piano inclinato del lamento e del piangersi addosso rivangando con nostalgia la bellezza di una medicina antica ormai superata.
Vogliamo invece proporre una visione di speranza in grado di recuperare la capacità di sentirci e stare soli nella realizzazione di una piena umanità tra competenze tecniche, decisioni etiche e ricerca di prossimità, aprendoci al silenzio e al trascendente in un equilibrio delicato tra solitudine, bisogno di appartenenza e compagnia.
Testo trascritto con il consenso alla pubblicazione ma non rivisto dall’Autore
© Bioetica News Torino, Luglio 2020 - Riproduzione Vietata