Le novità, quando compaiono all’orizzonte, ingenerano sempre grandi speranze. Ciò che vale in generale assume un significato ulteriore quando si tratta di salute. Dietro ogni dramma umano di dolore e sofferenza, la prospettiva di una nuova cura in grado di debellare le malattie ingenera inevitabilmente facili entusiasmi anche se alla luce dei fatti possono rivelarsi eccessivi. E’ inevitabile che questa sorte sia toccata all’Intelligenza Artificiale che, attraversando la società in ogni suo ambito, è arrivata ad occuparsi anche di Medicina. Le potenzialità emerse sono affascinanti, ma saranno però solo la clinica e l’esperienza a mettere alla prova dei fatti che i sogni possano diventare realtà e che dietro a guarigioni “miracolose” vi siano solide basi etiche e scientifiche.
Enrico Larghero
I leader dell’intelligenza artificiale (IA) sono sempre più fiduciosi riguardo al potenziale di questa tecnologia nel settore sanitario, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di bot personalizzati capaci di comprendere e risolvere problemi di salute individuali. OpenAI e Arianna Huffington stanno finanziando congiuntamente un “coach sanitario AI” tramite Thrive AI Health, una startup nel settore della salute.
Secondo un editoriale di Sam Altman, CEO di OpenAI, e Arianna Huffington CEO di Thrive Global, pubblicato recentemente dalla rivista Time, il bot sarà addestrato sulla «migliore scienza peer-reviewed» e sui «dati biometrici personali, di laboratorio e altri dati medici condivisi dagli utenti».
Peer-reviewed è il processo attraverso il quale un articolo o una ricerca scientifica viene esaminata da esperti del campo prima della pubblicazione. Questi esperti valutano la qualità, la validità e la rilevanza del lavoro per assicurarsi che soddisfi gli standard accademici. Solo dopo aver superato questa revisione, il lavoro viene accettato per la pubblicazione su riviste scientifiche autorevoli.
Thrive AI Health, guidato dall’ex dirigente di Google DeCarlos Love, ha stabilito partnership di ricerca con diverse istituzioni accademiche e centri medici come Stanford Medicine e il Rockefeller Neuroscience Institute presso la West Virginia University.
L’ambizioso obiettivo di Thrive AI Health è rendere le informazioni e il supporto sanitario accessibili a persone che altrimenti potrebbero non avere queste risorse, offrendo consulenze su vari aspetti della salute.
L’IA ha il potenziale di accelerare il progresso scientifico in medicina, offrendo innovazioni nelle diagnosi e nello sviluppo di farmaci. Ad esempio, farmaci progettati dall’IA sono attualmente in fase di sperimentazione clinica, come un trattamento per la fibrosi, e nel 2020, il MIT ha utilizzato l’IA per scoprire un nuovo antibiotico capace di eliminare l’Escherichia coli.
Tuttavia, l’uso dell’IA in sanità presenta alcune sfide significative. Condividere dati sanitari sensibili con entità non mediche può comportare problemi di privacy e sicurezza. C’è anche il rischio che i bot forniscano informazioni inesatte o pericolose, riducendo la qualità dell’assistenza a risposte rapide e imperfette senza supervisione umana.
La linea guida adottata da Thrive AI Health si basa su di un approccio graduale, concentrandosi inizialmente su piccoli interventi come quelli che riguardano il sonno, l’alimentazione, oppure il fitness, la gestione dello stress e le relazioni sociali.

L’obiettivo del progetto, riportato nell’articolo di Altman e Huffington è rendere disponibile «un coach IA personale completamente integrato che offre spinte e raccomandazioni in tempo reale uniche per te che ti consentono di agire sui tuoi comportamenti quotidiani per migliorare la tua salute».
Da un punto di vista bioetico è cruciale che queste tecnologie siano integrate con attenzione nel contesto clinico per evitare di danneggiare sia la salute degli utenti, sia il rapporto medico-paziente.
Sta emergendo, infatti, un fenomeno significativo: la crescente tendenza dei pazienti a mettere in discussione la diagnosi del proprio medico basandosi su informazioni trovate su Internet.
Con l’accesso sempre più facile e immediato a una vasta quantità di dati sanitari online, molte persone consultano il web per cercare spiegazioni e chiarimenti sui loro sintomi e condizioni di salute. Successivamente, si presentano dal medico con una propria diagnosi e terapia aspettandosi che questa venga confermata.
Da un lato, c’è il desiderio legittimo e incontestabile di essere sempre informati e attenti riguardo al proprio stato di salute; dall’altro, questa tendenza può portare a generalizzazioni, confusione e incertezze, anche nella comunicazione dei sintomi agli specialisti. A lungo andare, ciò potrebbe provocare pericolosi atteggiamenti di diffidenza nei confronti del medico.
In cauda venenum: la sfida per Altman e Huffington non è semplice: dovranno creare fiducia negli utilizzatori garantendo che il prodotto risulti sempre affidabile e gestisca in modo sicuro ed efficace le informazioni sanitarie più riservate delle persone.
Davide Boasso
© Bioetica News Torino, Gennaio 2025 - Riproduzione Vietata