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92 Ottobre 2022
Speciale Sviluppo sostenibile e green economy Tra luci e ombre

Integrale e integrante: per una transizione ecologica equa Una riflessione in questo crocevia della storia

Abstract

Quello della transizione ecologica è un imperativo categorico del nostro tempo, traducibile nei termini del principio di sostenibilità. La sua mera formulazione peraltro risulta insufficiente a motivare all’azione, in assenza di un fondamento che concepisca il pianeta come dono di una casa comune destinata a ogni uomo, a partire dai più vulnerabili. Si tratta di immaginare una transizione equa, in quanto integrale (non solo economica, ma anche politica e culturale, in un serrato dialogo tra scienza e spiritualità) e integrante: tale cioè da rendere i soggetti più fragili non solo tutelati, ma anche partecipi del cambiamento di rotta a cui l’intera umanità è chiamata.

Intervento di Pier Paolo SIMONINI al Convegno Sviluppo sostenibile e green economy: tra luci e ombre, 17 settembre 2022, Centro Cattolico di Bioetica – Arcidiocesi di Torino, moderato da E. Larghero, resp. scientifico Master in Bioetica Facoltà Teologica di Torino e Luca Battaglini, Ordinario di Scienze e Tecnologie animali – Università degli Studi di Torino (per gentile concessione del Centro Cattolico di Bioetica, video a cura di P. Pena – riproduzione vietata)

Una riflessione in questo crocevia della storia

L’idea di transizione ha sullo sfondo il mutamento, dimensione strutturale dell’esistenza di viventi ed ecosistemi che l’uomo, attraverso la riflessione, può interpretare e sotto certi aspetti orientare secondo un senso. È in questa prospettiva che si parla di transizione ecologica, ossia di fuoriuscita o superamento consapevole di un determinato modello di estrazione di risorse, produzione e consumo, in vista di uno alternativo, allo scopo di ridurre l’impatto dell’attività umana sull’ambiente e migliorare la qualità di vita per tutti, nella prospettiva delle generazioni future. Quello della transizione ecologica è quindi anche un tempo privilegiato per una riflessione umana su scala globale: chi siamo e chi vogliamo essere, come specie umana? In quale direzione andiamo e perché lo possiamo, o lo dobbiamo, fare?

Quella attuale non è la prima né l’unica transizione ecologica della storia: dalle precedenti dovremmo aver imparato che la fuoriuscita da un sistema insostenibile (quella ad esempio che spinse il passaggio dal legname al carbone, e dal carbone al petrolio) non è sufficiente a produrre un cambio di paradigma di fondo: i processi che si innescano non sono mai del tutto prevedibili, e l’ignoranza inconsapevole o volontaria di alcuni di essi (si pensi agli effetti scoperti tardivamente delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, ma anche al deposito di scorie radioattive, l’impoverimento di suoli o l’inquinamento di falde perseguiti a danno di soggetti rimasti all’oscuro) rappresentano purtroppo una costante.

Sicuramente quella attuale è la transizione più consapevole e riflessa, a livello di soggetti coinvolti e su scala planetaria: accanto alla ricerca di soluzioni tecnologiche emerge quindi con altrettanta urgenza una domanda fondamentale di carattere morale, che implica un calcolo di sostenibilità del modello volto ad integrare, in modo più attento che in passato, i costi e benefici a carico di tutti i soggetti, inclusi i più vulnerabili e meno rappresentati.

Abbiamo sotto gli occhi recenti cambiamenti che si intersecano in uno scenario sempre più critico: la siccità di un anno che si candida ad essere il più caldo fino ad ora, l’aumento fuori misura del costo delle risorse energetiche e una guerra che, nel continente europeo, sembra aver riportato indietro le lancette della storia. Tutto ciò genera criticità sull’intero sistema economico, colpendo anzi tutto le fasce di reddito più basse (per costi energetici diretti e calo dell’occupazione), in un quadro che vede crescere ormai da anni la povertà energetica (ne soffre l’8,8% della popolazione italiana, mentre nel continente africano nel solo periodo Covid cento milioni di persone hanno perso l’accesso all’elettricità).

I costi in termini di salute del surriscaldamento climatico sono altrettanto allarmanti: 7 milioni di persone ogni anno muoiono prematuramente per malattie causate dell’inquinamento, mentre si rilevano correlazioni tra surriscaldamento, eventi atmosferici estremi e incremento di determinate patologie. Gli scenari previsti per l’Italia a fine secolo indicano un numero annuo di giorni con ondate di calore variabile da 75 a 250: il dato, incrociato con l’incremento di decessi per aumento di calore (+ 20% nel luglio 2022) diventa previsionalmente significativo. Anche in questo caso i soggetti più colpiti sono anzi tutto quelli più vulnerabili, per effetti diretti e sostenibilità del sistema.

L’imperativo della transizione ecologica

Accettare che la pressione ambientale colpisca anzitutto i soggetti più deboli significa rinnegare la lunga tradizione di cura con cui l’essere umano si è evoluto moralmente: riteniamo un valore la vita, ancorché debole o vulnerabile. Non intervenire sul clima, per ciò che dipende dall’azione antropica, significa acconsentire a una regressione morale, al pari della guerra, avvallando un’ideologia di selezione del più forte a scapito del più debole, consolidando effetti devastanti delle diseguaglianze sociali: uccide ed è iniquo.

La transizione assume pertanto oggi la forma di un imperativo categorico, senza “se”, e non più dilazionabile; un imperativo traducibile secondo il principio di sostenibilità del Rapporto Bruntland, ossia nei termini di uno «sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni»: estendendone il campo, per analogia, anche alle generazioni presenti connotate da maggiore vulnerabilità.

L’imperativo ha a suo fondamento l’uomo quale portatore di un valore unico e assoluto, in quanto soggetto in relazione con i suoi simili, con gli altri viventi e con gli ecosistemi; la tutela della dignità del soggetto umano non può che passare attraverso l’assunzione della vita fragile quale metro di ogni azione umana, pensando al pianeta come dono di una casa comune, ospitale e inclusiva nella misura in cui l’accesso alle risorse sia regolato secondo giustizia. Ne consegue che la transizione ecologica vada pensata non unicamente come soluzione di tipo tecnologico-finanziario (il capitalismo green), ma come mutamento di un paradigma globale attraverso l’assunzione di criteri vincolanti di equità: la transizione deve essere subito, e deve essere equa.

Una transizione integrale e integrante

In questa prospettiva appaiono insufficienti i due modelli principali di transizione giusta, quello del capitalismo green – il cui vantaggio è di poter offrire soluzioni tecnologiche nell’immediato, senza però mettere in discussione un modello di distribuzione delle risorse – e quello della decrescita, che pur individuando una via “alta” per una rivoluzione del pensiero umano su sviluppo e relazioni, si rivela incapace di incidere nel brevissimo periodo.

La proposta della Dottrina sociale prevede il mantenimento – e la riforma – del mercato, quale strumento di una più equa distribuzione delle risorse, accompagnato da una radicale conversione dello sguardo, un vero e proprio cambio di rotta.

La transizione deve quindi essere integrale, su entrambe le direttrici bottom-up (dal basso, con partecipazione diffusa) e top-down (capacità dell’istituzione di sostenere e intraprendere azioni incisive), assumendo la prospettiva dei soggetti fragili, spesso considerati gli “scarti” del sistema; deve pertanto essere una transizione anche economica (un mercato orientato al bene comune prima che alla massimizzazione dei profitti), politica (che assuma una responsabilità su più livelli e mediando i conflitti fisiologicamente generati dalle trasformazioni), culturale (con un investimento di speranza nel futuro, che generi una capacità progettuale sul lungo periodo), con a fondamento un serrato dialogo tra scienza (baluardo del pensiero di una effettiva sostenibilità, contro le derive di interessi economici e politici) e spiritualità (l’investimento sul senso dell’uomo, capace di riscatto e artefice di un mondo migliore, a condizione che lo accolga come dono destinato alla condivisione).

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