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90 Luglio - Agosto 2022
Speciale Disabilità e bioetica Tra vecchie e nuove fragilità

Incontrare le fragilità: inclusione sociale e persone con disabilità Intervista al Prof. A. Anzani

Introduzione

Le disabilità fisiche, e ancor più quelle intellettive, hanno interpellato la coscienza delle persone a partire da un passato non troppo distante ― nella prima metà del Novecento ―  quando si preferiva,  piuttosto che riconoscere in loro la fragilità dell’essere umano, segregarli in spazi ristretti, abbandonarli in istituti, sterilizzandoli o facendo sperimentazioni a loro insaputa, separandoli dalla società perché improduttivi.  

Ancor oggi persone affette da trisomia 21 devono far sentire la loro voce  per affermare i loro diritti a non essere sacrificati nel grembo materno dopo un test.  Ancor oggi famiglie chiedono semplicemente allo stato e alla società di poter far vivere meglio il proprio figlio nella comunità di cui fa parte.

Con la sua esperienza  pluriennale di medico specialista in etica clinica e bioeticista, ci rivolgiamo al prof. Alfredo Anzani dell’Università Vita-Salute del  San Raffaele di Milano per approfondire il discorso di inclusione sociale delle persone con  handicap.

foto ALFREDO ANZANI
Intervistato Alfredo Anzani

Medico chirurgo svolge dal 2020 attività di consulenza presso la Direzione del Personale IRCCS San Raffaele di Milano. Docente di etica clinica presso le scuole di specializzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, Si è perfezionato in Bioetica presso la Georgetown University di Washington. Membro corrispondente della Pontificia Accademia per la Vita, è stato Vicepresidente della FEAMC (European Federation of Catholic Physicians Associations).

INTERVISTA.

D. Prof. Alfredo ANZANI, nella sua relazione al Convegno internazionale di Bioetica di Malta, che verteva sugli impegni della politica per migliorare la vita dei pazienti fragili, disabili e delle loro famiglie, ha fatto riferimento ad prospettiva che superi il modello medico e sociale. Può descriverci in che cosa consisterebbe e quali cambiamenti  comporterebbe nella  società? 

R. Nel corso degli anni la disabilità è stata intesa secondo due modelli: quello medico per il quale la disabilità riguarda anormalità fisiologiche e psicologiche (causate da malattie, disturbi o lesioni) che necessitano di trattamento medico e quello sociale per il quale la disabilità riguarda gli svantaggi causati dall’ambiente fisico e sociale condizionanti la vita alle persone fragili. Questa visione non era sufficiente e attualmente occorre che i due modelli si integrino fra loro. Le persone vanno messe nella condizione di vivere, di scegliere, di partecipare, rimuovendo gli ostacoli che impediscono loro di farlo e promuovendo soluzioni che ne consentano la partecipazione al pari degli altri.

Per molti anni i meccanismi di protezione sociale e di cura si sono basati sul convincimento che le persone con disabilità fossero vulnerabili ed incapaci di autodeterminarsi e vivere in società come gli altri. Di conseguenza dovevano essere realizzati servizi ad hoc, spesso separati dalla società, ed erano i professionisti del settore a decidere quali prese in carico di queste persone fossero appropriate. Questo approccio negava alla base la partecipazione delle persone nelle decisioni che le riguardavano, riducendo al minimo la loro possibilità di scegliere. E così i sistemi di welfare, invece di dare gli appropriati sostegni alle persone per partecipare ed essere inclusi nella propria comunità, valutavano la loro condizione sulla base dei servizi predefiniti che potessero occuparsi di loro.

Nel nostro Paese la legge del 3 marzo 2009, n. 18, ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006.

Questa Convenzione rappresenta un importante risultato raggiunto dalla comunità internazionale in quanto strumento internazionale vincolante per gli Stati Parti. Il testo così definisce la disabilità: «il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri».

L’approccio con le persone con disabilità cambia radicalmente: si va dal riconoscimento dei bisogni al riconoscimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali e viene introdotto il concetto di inclusione basato sul diritto di godere delle stesse condizioni di partecipazione degli altri cittadini su base di eguaglianza e senza discriminazioni. Si passa a un welfare di inclusione, capace di attivare le risorse del territorio e di garantire la piena cittadinanza delle persone con disabilità. Si è sempre più consapevoli che le persone con disabilità non sono oggetti di intervento, per cui i professionisti ed il sistema hanno già definito cosa serve loro, bensì sono soggetti titolari di diritti che, come gli altri cittadini, si autodeterminano nella maniera di conseguirli.

Lo strumento essenziale di intervento sono i progetti personalizzati con la diretta partecipazione della persona interessata e della sua famiglia. Questo significa che la persona è il centro della progettazione. I professionisti e i servizi devono offrire i sostegni appropriati per affrontare e superare le barriere, gli ostacoli e le discriminazioni che impediscono il godimento dei diritti.

D. Quali normative sono già approvate in tal senso e se sono in linea con una loro effettiva inclusione?

R. Diverse sono le norme vigenti nel nostro Paese e in Europa. Ricordo soprattutto:

  • La Costituzione Italiana tutela il disabile. L’art. 3 e l’art.32 lo confermano.
  • La legge 5 febbraio 1992, n.104 stabilisce all’art.1 che «La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i  diritti  di libertà  e  di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro  e  nella società; previene  e  rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo  della  persona  umana,  il raggiungimento  della massima autonomia  possibile  e  la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni  per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica  della  persona handicappata; predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata».
  • Il Consiglio dei Ministri, nella seduta n. 43 del 27 ottobre 2021 ha approvato una legge quadro sulla disabilità.  Il disegno di legge delega in materia di disabilità, che rientra tra le riforme e azioni chiave previste dal PNRR, consentirà una revisione complessiva della materia. Gli ambiti di intervento della delega al Governo sono infatti: le definizioni della condizione di disabilità, il riassetto e la semplificazione della normativa di settore; l’accertamento della condizione di disabilità e la revisione dei suoi processi valutativi di base, unificando tutti gli accertamenti concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, la sordità civile, la sordocecità, l’handicap, anche ai fini scolastici, la disabilità prevista ai fini del collocamento mirato e ogni altra normativa vigente in tema di accertamento dell’invalidità; la valutazione multidimensionale della disabilità, progetto personalizzato e vita indipendente; l’informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione; la riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità; l’istituzione di un Garante nazionale delle disabilità.

Il cuore della riforma sarà il nuovo sistema di riconoscimento della condizione di disabilità, in linea con la Convenzione Onu. Questo nuovo sistema si basa sulla valutazione multidisciplinare della persona, finalizzata all’elaborazione di progetti di vita personalizzati che garantiscono i diritti fondamentali. Tali interventi sono volti a supportare l’autonomia e la vita indipendente delle persone con disabilità in età adulta, prevenendo forme di istituzionalizzazione.

Infine si prevede l’istituzione del Garante nazionale delle disabilità che dovrà occuparsi di raccogliere le istanze e fornire adeguata assistenza alle persone con disabilità che subiscono violazioni dei propri diritti; formulare raccomandazioni e pareri alle amministrazioni interessate sulle segnalazioni raccolte, anche in relazione a specifiche situazioni e nei confronti di singoli enti; promuovere campagne di sensibilizzazione e di comunicazione per una cultura del rispetto dei diritti delle persone.

  • La Commissione Europea il 3 marzo 2021 ha redatto un testo contenente le linee strategiche  sui diritti delle persone con disabilità per il periodo 2021- 2030 perché, nonostante tutti gli sforzi intrapresi, le persone con disabilità restano tuttora più esposte al rischio di povertà e di esclusione sociale rispetto alle persone senza disabilità. L’accesso all’assistenza sanitaria, all’apprendimento permanente, al lavoro e alle attività ricreative rimane difficile, la partecipazione alla vita politica è limitata e le persone con disabilità sono ancora discriminate. Inoltre la pandemia di COVID-19 ha aggravato le disuguaglianze esistenti. Negli ultimi dieci anni la strategia europea sulla disabilità 2010-2020 ha dato la priorità al sostegno alle persone con disabilità e ha prodotto miglioramenti, tra l’altro, nei settori dell’accessibilità, della sensibilizzazione, dell’istruzione e della formazione, della protezione sociale e della salute.  

L’obiettivo è quello di garantire che le persone con disabilità in Europa, a prescindere da sesso, razza od origine etnica, religione o credo, età od orientamento sessuale, possano esercitare i loro diritti umani; godere di pari opportunità; partecipare alla società e all’economia su base di parità; fare come tutti gli altri le proprie scelte di vita; circolare liberamente nell’UE indipendentemente dalle loro esigenze di sostegno; non subiscano più discriminazioni.

Dopo aver richiamato queste normative si può affermare che le linee di politiche a favore dei soggetti fragili, disabili, deboli, sono correttamente tracciate e nulla è stato lasciato al caso. Ma, davvero, è così? Questi articoli vengono applicati e rispettati nella quotidianità dell’esistenza umana? 

Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli passi avanti nelle politiche per le persone con disabilità, ma il quadro attuale fa osservare che il bilancio è ancora negativo. Inesorabilmente la strada è tracciata; l’errore sarebbe credere che si possa demandare alla sola politica un impegno che invece deve essere di tutti, nessuno escluso.

D. Il prof. Emanuel Agius, bioeticista,  allo stesso  Convegno ha parlato di  come l’universalità della vulnerabilità sfida la politica, l’etica e il diritto a prendere seriamente in considerazione una visione globale dell’esperienza umana segnata dalla fragilità e dalla dipendenza. Il transumanesimo va in senso opposto. Quale è il suo parere, in questa  prospettiva delle persone fragili e con disabilità e delle loro famiglie?

R. È necessario comprendere che alla base di ogni decisione sta una cultura antropologica di riferimento che orienta le proprie scelte.

La disabilità, come descrive molto bene il teologo Maurizio Chiodi nel testo da lui curato La disabilità, la carne e le relazioni. Un mondo che si dischiude (Ed. Centro Volontari della Sofferenza, 2010),  è una esperienza che tocca nel vivo non solo quelli che ne soffrono ma anche i familiari e tutti quelli che si relazionano con loro. Possiamo affermare che è una forma dell’umano, difficile, impegnativa, che interroga e mette alla prova sollevando questioni radicali che riguardano il senso del vivere, soprattutto quando ci si trova nelle condizioni di sofferenza e di dolore.

Che senso ha questo tipo di vita? In questa società non c’è spazio per la ricerca del senso e del significato delle relazioni umane che devono essere, invece,  buone, costruttive, promettenti. Una buona cultura a misura del disabile richiede la messa in atto di condizioni per una buona relazione con loro. Il disabile è persona, a tutti gli effetti; è sempre un soggetto di diritti non a causa della disabilità che lo connota, ma per l’incommensurabile dignità umana che lo contraddistingue. In altre parole: non esiste il disabile.

Esiste l’uomo che, se pur limitato da condizioni fisiche o psichiche particolari, rimane ed è persona umana. Non è l’altro da me (genitori, Stato, opinione pubblica) che può riconoscere a me pochi o tanti diritti, primo fra tutti quello che mi permette o meno di vivere.  Non è accettabile, in nome di una “giustizia giusta”, la teoria che ritiene che solo gli individui umani che sappiano esercitare la propria libertà e autodeterminazione hanno pari diritti e dignità.  Proprio perché sono uomo, io valgo, sono titolare di diritti anche se mi trovo condizionato da malattia, povertà, solitudine, estrema fragilità. Per questa ragione occorre contrastare la mentalità che vuole negare diritti e dignità al debole, all’indifeso, al disabile e deve sorgere e svilupparsi una nuova cultura che all’assistenzialismo sostituisca la solidarietà di un consapevole comune cammino.

Di fronte alla mentalità attuale e alle nuove, a volte inquietanti, prospettive culturali propongo una riflessione che affido alle parole di papa Francesco pronunciate in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità, il 3 dicembre 2020, e a una esegesi del passo evangelico relativo ai discepoli di Emmaus, del card. Dionigi  Tettamanzi.

Papa Francesco sottolinea come «negli ultimi cinquant’anni […] è cresciuta la consapevolezza della dignità di ogni persona, e questo ha portato a fare scelte coraggiose per l’inclusione di quanti vivono una limitazione fisica o/e psichica. Eppure, a livello culturale, permangono ancora troppe espressioni che di fatto contraddicono questo orientamento. Si riscontrano atteggiamenti di rifiuto che, anche a causa di una mentalità narcisistica e utilitaristica, sfociano nell’emarginazione, non considerando che, inevitabilmente, la fragilità appartiene a tutti. […] È importante promuovere una cultura della vita, che continuamente affermi la dignità di ogni persona, in particolare in difesa degli uomini e delle donne con disabilità, di ogni età e condizione sociale. […] Incoraggio quanti, ogni giorno e spesso nel silenzio, si spendono in favore delle situazioni di fragilità e disabilità».

Nella pagina evangelica che descrive l’episodio dei discepoli di Emmaus il medico trova spunti di un itinerario che egli pure può e deve compiere con i suoi malati. L’ha evidenziato il card. Dionigi Tettamanzi in Ministero laicale e professione medica. (Medicina e Morale, 1/1978, 13-33).  Di fronte a Gesù che «mentre discorrevano e discutevano insieme, si accostò e camminava con loro» e « disse loro… » emerge il primo passo di questo itinerario: la condivisione. Il medico è invitato a condividere i problemi dei malati che a lui affidano la propria vita.

Il brano prosegue: «Ed egli disse  loro: ‘sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».  È il secondo passo: occorre aiutare i malati a cogliere il significato della malattia. Davanti alla prognosi infausta è necessario offrire ai pazienti la sapienza che sa cogliere gli autentici valori della vita pur nascosti anche nella sofferenza e che sa accettare con fortezza la prova. Da ultimo, Luca così chiude l’episodio: «Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero». È il terzo e più importante passo, quello dello spezzare il pane e di farne un dono per chi ha fame. Quando il medico esercita la propria professione all’insegna del dono disinteressato e totale di sé, di fatto offre ai malati una preziosa occasione per “riconoscere” Cristo e il suo amore.

Condividere, aiutare a cogliere il significato della sofferenza, donare se stessi agli altri, costituiscono tre aspetti di un atteggiamento che il medico dovrebbe vivere e comunicare.

Non si dimentichi, da ultimo, che non esistono delle soluzioni cristiane ai problemi del mondo, ma esistono dei cristiani che hanno delle proposte da fare. Gli uomini di buona volontà, gli operatori sanitari che amano dirsi cristiani, non possono non essere in prima fila nella costruzione di una politica della salute rispettosa della dignità della persona umana, quale coscienza critica e intelligenza capace di far emergere tutto il bene che esiste dentro il mondo della sanità.

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90 Luglio - Agosto 2022 Speciale Disabilità e bioetica Tra vecchie e nuove fragilità
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