Sostieni Bioetica News Torino con una donazione. Sostieni
102 Marzo 2024
Bioetica News Torino

Immortalità

Il mito prometeico dell’immortalità terrena accompagna l’uomo sin dalla notte dei tempi. Tuttavia il delirio di onnipotenza nato nell’era della scienza e della tecnica ha alimentato questa utopia, illudendo che in futuro malattie e morte saranno sconfitte per sempre. In tale contesto si collocano i neologismi del post e trans-umanesimo, ovvero correnti di pensiero che ripongono una fiducia pressoché illimitata nelle scoperte scientifiche e tecnologiche. Questa fede sconfinata nell’ingegno, in un’ottica meramente immanentista e che, contemporaneamente priva di una visione verticale dell’esistenza, non ci rende tuttavia più felici. Anzi, ora più che mai, assistiamo impotenti ad un’epoca di passioni tristi, segno tangibile di un malessere esistenziale che poggia su radici profonde. La fragilità  – ci ricorda  Papa Francesco – è la nostra vera ricchezza e dobbiamo imparare a rispettarla ed accoglierla perché ci rende capaci di tenerezza, di misericordia e di amore.

Enrico Larghero

C’è un desiderio insito da sempre nell’uomo: il desiderio di essere simile alle divinità celesti, l’andare oltre la propria dimensione umana, superare la condizione di essere finito: ricercare l’immortalità. I greci e i latini ricorrono a figure divine immortali antropomorfe, con gli stessi difetti e desideri degli esseri umani, nei quali potersi riconoscere. Adamo ed Eva trasgrediscono all’ordine di Dio e mangiano il frutto proibito, perché tentati dall’idea di giungere alla conoscenza del bene e del male e di essere come Lui. Il re Sumero Gilgamesh che va alla ricerca dell’alga dell’immortalità oppure la ninfa Calipso che con la sua bellezza cerca di sedurre Ulisse offrendogli l’immortalità o ancora la ricerca della fonte dell’eterna giovinezza presente nei racconti medievali rappresentano bene questo desiderio. Oggi la letteratura ha lasciato il posto alle scienze biotecnologiche e ciò che poteva essere considerato un sogno mitologico è divenuto in parte realtà.  Le scoperte scientifiche, soprattutto in campo medico, hanno consentito, a partire dalla seconda metà del secolo scorso di ridurre notevolmente la mortalità e di garantire una qualità di vita superiore rispetto al passato. Negli anni dell’Unità d’Italia (1861-1881) la vita media delle persone era pari a 35,2 anni per gli uomini e 35,7 anni per le donne; la mortalità infantile raggiungeva il 25% dei nati vivi. Oggi, secondo quanto comunicato dall’ISTAT, il tasso di mortalità infantile tende allo 0 e la speranza di vita media si pone tra 80 e 85 anni. Tra tutte le scienze, quella medica ha più di ogni altra beneficiato degli sviluppi biotecnologici; molte malattie, un secolo fa causa di morte, sono oggi curate. Paradossalmente, si è presentato il rischio che la scienza medica vada oltre il suo mandato curativo e terapeutico, diventando lo strumento capace di soddisfare i desideri di coloro che non accettando la propria condizione psico-fisica la vogliono modificare o potenziare. In sostanza, le scienze mediche sono chiamate a intervenire artificialmente per integrare ciò che la natura non ha donato oppure donato in modo ritenuto insufficiente. Prendiamo come esempio, tra i tanti oggi disponibili, il caso di Bryan Johnson miliardario statunitense quarantaseienne, imprenditore nel campo della tecnologia emergente, il quale ha investito più di quattro milioni di dollari in un progetto che ha uno scopo preciso: allungare la propria vita. Il progetto, denominato Blueprint, si fonda su di un protocollo particolarmente rigido basato sull’assunzione di un numero spropositato di farmaci, frequenti trasfusioni di sangue “giovane” grazie alle donazioni del figlio diciottenne, il rispetto di una dieta rigorosa, una costante attività fisica, la regolare misurazione di un centinaio di parametri legati ai processi biologici del proprio corpo. «Ho avviato il progetto Blueprint come esperimento scientifico per esplorare il futuro dell’essere umano» spiega Johnson presentando il progetto.  Su alcuni  siti Internet campeggia una enorme scritta nera, sintesi perfetta della filosofia che alimenta questa impresa: DON’T DIE. Il sito pubblica tutti i risultati clinici raccolti giornalmente da Johnson con cura quasi maniacale nell’arco dei due anni. Secondo questi parametri il suo ritmo di invecchiamento sarebbe pari a 31 anni.

Ha investito inoltre, assieme ad altri miliardari, cifre considerevoli in una società, la Unity biotechnology, che opera nel campo della biomedicina la cui mission consiste nella ricerca e nello sviluppo di terapie in grado di rallentare, arrestare o invertire il naturale processo di invecchiamento. Provocatoriamente potremmo domandarci se il desiderio di prolungare indefinitamente la vita, non derivi dalla incapacità di vivere serenamente questa esistenza e non sveli un profondo senso di egoismo e di possesso. Un desiderio di dominio estremo che non reputa più necessario «rispettare le vie naturali della creazione né le regole di equilibrio, di fronte alle quali, anzi, resta assolutamente indifferente». Romano Guardini scrisse queste parole profetiche nel primo decennio del secolo scorso. Dove condurrà questo nuovo umanesimo? In futuro sarà necessario rinunciare a ciò che ci rende umani per poter (soprav)vivere? Ci stiamo inoltrando verso “territori ignoti” come paventa qualcuno?  Jeremy Rifkin nel suo saggio “Il secolo Biotech” giunse ad una conclusione inequivocabile: questa rivoluzione obbligherà ciascuno a riconsiderare i valori più profondi e a porsi la domanda fondamentale sull’esistenza e il significato della vita. Le conclusioni di queste brevi riflessioni le ritrovo nelle parole del filosofo latino Seneca, rivolte all’amico Lucilio. «Non dobbiamo cercare di vivere a lungo, ma di vivere bene: giacché il vivere a lungo dipende dal destino, il vivere bene dall’animo. La vita è lunga se è piena; diviene piena quando l’animo è riuscito a procurarsi il suo bene e ad acquistare il dominio su se stesso».

© Bioetica News Torino, Marzo 2024 - Riproduzione Vietata