Il suicidio assistito è un argomento che da diverso tempo tiene impegnata l’opinione pubblica,la comunità scientifica e quella bioetca con evidenza di una molteplicità di visioni in merito; inoltre determianva, probabilmente un buco normatico che presto o tardi andava colmato ma con ponderatezza ed uno sguardo fisso sul futuro.
Nel tempo sono stati portati alla ribalta i casi italiani, che avevano scelto la vicina Svizzera per portare a compimento il desiderio di porre fine alle proprie soferenza.
Secondo quanto riportato dal Corriere Fiorentino, in data 11 febbraio 2025, la regione toscana ha approvato, a maggioranza, una norma “che regola i tempi e i modi per accedere al suicidio assistito“: 27 favorevoli, 13 contrari e 1 astenuto. Numeri piuttosto contenuti. Certo, si parla di un Consiglio Regionale formato, ovviamente, da un numero limitato di persone. Resta però il fatto che, l’approvazione di una norma così delicata,e dalle potenziali e possibli implicazioni future, sia stata votata da sole 40 persone, con uno scarto di 6 fra favorevoli e contrari.
Certo non sappiamo quanto sia durato il percorso che ha protato alla produzione di questa norma né lo spessore dei dibattiti tenuti. L’iter normativo ora prevede che, la Corte Costituzionale vagli questa nuova legge per valutarne la costituzionalità e che la Regione non abbia valicato il confine delle proprie competenze a livello di produzione normativa. Se approvata, si creerà un precedente giurisprudenziale di enorme peso.
Una riflessione bioetica. Differenze, conseguenze, giuramenti, esperienze e convinzioni
La prima cosa che viene da pensare è che questa norma crei differenze: perchè se sei maggiorenne, in grado di manifestare la tua volontà, inequivocabilemnte, e di metterti da solo in bocca “la pastiglia”, allora potrai accedere la suicidio assistito, altrimenti no. Certo, qualcuno potrebbe obiettare, che da quaclhe parte si debba iniziare. Vengono però escluse e (forse) sminuite, in qualche modo, le sofferenze, ad esempio, dei comatosi, dei minori, di chi non è in grado di muovere nessuna parte del corpo o di manifestare, senza dubbi, il proprio volere.
Un buon progetto di vure palliative non si dimenticherebbe di nessuno né farebbe istinzioni di alcun tipo. In seconda analisi bisogna pensare alle ripercussioni future. Ora si può definire quello che è, al momento, il soggetto che potrà accedere a questa procedura ma ciò varrà finchè qualcuno farà ricorso per “far valere i suoi diritti” e qualche giudice non derogherà la norma, la estenderà per quella volta a quel caso difforme da quanto in origine previsto e con un medico prescrivente senza troppi scrupoli, da lì in avanti, tutti potranno appellarsi a quel precedente e potranno richiedere legittimamente di accedere alla procedura. A quel punto ci sarà da sperare che i semplici tratti somatici non di nostro gusto, non ci inducono a scegliere di farla finita, con l’avallo dello Stato.
E il medico? Una norma del genere prevede la possiblità che venga stravolta la natura intima dell’essere medico (e sanitario in generale): Certo il medico ha “solo” prescritto o fornito il farmaco che poi è stato assunto dalla persona in autonomia completa. ragionandola in modo diverso… Si crea il paradosso del gatto di Schroedinger: la persona è sia viva che morta finchè non decide se assumere o meno la pastiglia. Quando, però, l’avrà assunta e morirà, questo sarà direttamente conseguente al fatto che il medico glil’avrà prescritta/fornita (consecutio sine qua non).
E’ interessante considerare come, nel V° secolo a. C., il giuramento di Ippocrate prevedesse una tali ipotesi e la esludesse: “Non somministrerò ad alcuno, nemmeno se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò tale consiglio“.
Ciò che c’è da chiedersi cosa possa fare la comunità medica per non far sentire solo chi soffre (e le famiglie che soffrono insieme al loro caro ammalato). Cosa si possa fare per scegliere sempre e comunque la vita. Un grande passo sono state certamente le DAT: c’è grande differenza nel chiedere di essere lasciato andare quando la vita è alla fine e la qualità di ciò che potrebbe essere dopo non è ciò che vogliamo per noi o per i nostri cari. E’ diverso perchè la vita si sta compiendo attraverso il suo ulitmo passaggio: la morte. E’ vero che le attuali conoscenze scientifiche sono spesso in grado di accanirsi e di tenere in vita, ma perchè accanirsi contro la vita che si conclude naturalmente? Diverso è, invece, chiedere di morire. Forse questo è frutto dell’ineluttibilità della morte. Sappiamo che c’è, che prima o poi arriverà, allora, in realtà, chiediamo solo che lo faccia quando desideriamo, magari al culmine di una lunga malattia e sarebbe anche comprensibile: ma è possibile pensare diversamente? Pensare che non si è soli? Che comunque la morte arriverà, ma avremo vissuto quest’ultima esperienza con il cuore riscaldato perchè non siamo soli, e che nessuno dovrà, prima o poi, fare i conti con sé stesso, per il fatto che gli abbiamo chiesto aiuto a morire e lui l’ha fatto: le scelte, le convinzioni, le idee sono mutevoli per tutti (anche per chi chiede di morire e che potrebbe cambiare ideaquando ormai sia troppo tardi).
© Bioetica News Torino, Marzo 2025 - Riproduzione Vietata