Non si può confinare la vecchiaia a numeri anagrafici.
Inizia con una vera metamorfosi, non diversa nel suo significato da quella che
segna il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
La vecchiaia si lega a un nuovo stile di vita, a una nuova visione del mondo
(Lettera a un vecchio, 2023)
In questo ulteriore tassello del mosaico di riflessioni proposte dallo psichiatra Vittorino Andreoli sulla fase della vita (si badi bene, fase e non “stadio”) della cosiddetta terza età, ciò che colpisce chi legge è l’universalità che soggiace nel testo. Universalità, perché questo agile volumetto non è rivolto solo a coloro che sono richiamati nel titolo, bensì a tutti i lettori di tutte le età.
Quello di Andreoli è uno sguardo complessivo su che cosa significhi essere una persona che, con consapevolezza, vive ogni attimo della sua vita in maniera consapevole, con uno slancio verso l’oltre, che va sempre oltre la siepe di leopardiana memoria, bisognoso di trascendenza e scevro di ogni paura, anche di quella fine che, di regola, dovrebbe essere più vicina in quella che genericamente viene chiamata l’ultima fase dell’esistenza.
Parliamo di questo libro in una rivista di bioetica poiché tanti sono, a parere di chi scrive, gli input che l’Autore invia al lettore e che sono di notevole rilevanza nel discorso bioetico: la non necessità di etichettare con stereotipi le diverse fasi della vita, ognuna delle quali è dotata di una weltanschauung propria caratterizzata dalla singolarità dell’individuo e dal rapporto con la vita stessa; il rapporto con l’evento limite, la morte, che sebbene durante la vecchiaia (ci si sente inadeguati ad utilizzare nella modalità standard questo termine, dopo aver letto questo libro) sembra essere un tema tabù (come, d’altronde lo è per le altre fasi, in un epoca in cui parlarne è quasi un eresia).
Scrive Andreoli:
Non si tratta, qui, di un semplice memento tibi moriendum est, ma di un richiamo all’evento limite come capace di trasformarsi in un meta evento capace di divenire foriero di senso, ossia evento che illumina la condizione esistenziale pregressa dotandola di un forte senso.
Ho sostenuto che non dobbiamo, noi vecchi, cercare delle parole dolci per nascondere la condizione del capitolo esistenziale che stiamo vivendo. In coerenza a questa visione, adesso devo parlarti, carissimo, della morte, evitando allo stesso modo tutti gli eufemismi come: fine, transito, exitus… La morte è parte della condizione umana e di tutti i viventi: animali e vegetali, e se diamo significato all’astrofisica, riguarda anche l’universo […] Si ammette che la vecchiaia sia la condizione umana certamente più vicina all’evento mortale. Ha certamente un senso, anche se il rischio di morire si lega ad ogni fase della vita e le statistiche mostrano che la morte abbia una presenza significativa in tutto l’arco dell’esistenza, dal neonato ai casi più longevi dell’ultimo capitolo della storia esistenziale (p. 109).
Anche le riflessioni sulla malattia, sul rapporto col proprio passato, risultano essere illuminanti per tutti, non solo per i destinatari indicati dal titolo del libro. Citando il suo saggio, Essere e destino, scrive l’Autore:
Ho voluto sostenere con forza che al destino (la malattia) occorre rispondere mantenendo il desiderio di raggiungere una condizione di serenità, la voglia di vivere, l’avere un senso. Si tratta, insomma, di attivare tutte le risorse residue per continuare a stare nel mondo, con una sensazione di benessere (pp. 138 – 139)
E il punto di partenza del benessere è il desiderio, dimensione essenziale di ogni essere umano, sia a livello fisico sia metafisico. Condizione essenziale di certo non solo fondamentale nella fase della “vecchiaia”.
© Bioetica News Torino, Aprile 2023 - Riproduzione Vietata