Troppi ormai sono i fenomeni, i segni, le prove, i fatti
che ci dicono che alla medicina è successo qualcosa
o sta succedendo qualcosa
I. CAVICCHI, La scienza impareggiabile
Di quale medicina abbiamo bisogno oggi? È corretto sostenere che la medicina sia in crisi? Quanto durerà ancora e come ripensarla in un modo nuovo consono ai tempi odierni? Questi alcuni dei quesiti che il filosofo della medicina e giornalista Ivan Cavicchi si pone in questo libro, edito da Castelvecchi. Fa un’analisi storico critica della medicina come sistema, istituzione per comprenderne la crisi emergente e proporre un cambiamento.
Si tende a discutere di crisi della medicina in riferimento alla prospettiva in cui essa viene considerata, come tecnica, disciplina scientifica, dottrina o paradigma. Invece il medico Cavicchi preferisce, essendo impossibile dare una definizione univoca di medicina e quindi complesso parlare di una sua crisi, guardare al suo intero impianto concettuale: «è legittimo parlare di “crisi della medicina”, ma solo perché essa come impianto concettuale è spiazzata da un’infinità di cambiamenti che sono contenuti nel grande mutamento del nostro tempo. La crisi riguarda quindi il rapporto tra la medicina e il mondo, tra il suo modo di vedere la realtà e la realtà vera, tra la sua cultura scientifica e la cultura in generale di questa società. Oggi medicina e realtà non “combaciano” più come prima».
Fa notare come per la prima volta nella storia della medicina la scienza medica «ha perduto la propria autoreferenzialità». La medicina ha progredito attraverso i secoli: vi è la medicina dell’Antica Grecia, in stretto rapporto con la natura; vi è il metodo sperimentale di Cartesio e Galileo ed infine la medicina positivista, teorizzata nel XIX secolo e basata su evidenze ed assunti scientifici. Essa richiama tutti questi elementi ma l’impianto concettuale è costellato da rilevanti contraddizioni e problemi di coerenza che danno un senso di confusione e smarrimento nel mondo medico sanitario.
Questa nostra nuova medicina è, spiega, una medicina prometeica che riforma sulla base di un nuovo paradigma sia la dottrina ippocratica che quella positivista e a seguire la disciplina clinica. Seppure è stato storicamente e politicamente giusto riformare il sistema sanitario (la legge 833) «perché c’era una nuova società da accontentare, ma nello stesso tempo è stato un grave errore riformare la sanità senza riformare la medicina ippocratica-positivista», afferma Cavicchi.
Ripensare ad un nuovo modo di fare ed essere medicina sta nella mediazione tra l’ideale e il reale, «trovare accettabili compromessi in grado di funzionare come ponti tra ciò che senz’altro non può più essere e ciò che senz’altro dovrebbe essere», commenta Cavicchi mettendo subito in chiaro che una qualche “riforma” non è sufficiente perché c’è bisogno di «un processo lungo che prima di ogni cosa riguarda un “contratto sociale”, cioè una particolare relazione tra medicina e società e subito dopo l’uso della scienza, ovvero il modo di usare la scienza secondo questo contratto».
La pandemia ha scosso profondamente la sanità e amplificato una crisi del sistema sanitario. Esaminando contraddizioni e incoerenze nel complesso sistema dell’attuale medicina e la relazione con il paziente Cavicchi ammette che «oggi questa società non è più disposta a farsi curare passivamente, essa vuole scegliere come essere curata e il medico di fronte alla domanda di scelta deve saper scegliere a sua volta. Ma per scegliere, come vuole questa società, è necessario modificare tante cose.. e avere persino un nuovo genere di medico che ragiona più con la sua testa che con il metodo e anche un nuovo genere di malato». Quindi suggerisce che la “scelta” è la parola chiave della nuova medicina, tra il vecchio e il nuovo, tra Ippocrate il nostro tempo.
Parte dal presupposto che la medicina ha una sua specificità che la differenzia dalle altre scienze della natura, concordando con Cosmacini nel riferire della sua anomalità che la rende unica, per il fatto che non può occuparsi dell’uomo malato senza il suo consenso e senza il consenso della società.
Non saranno più i cittadini a doversi adeguare alle difficoltà della medicina, ma andrà chiesto agli ordini professionali di adattare il vecchio impianto concettuale ai cambiamenti del tempo. In virtù della sua natura eterogenea, multiforme, e diventando una medicina della scelta, potrà definire nuovi modi di operare dai quali ripartire per far recuperare ai cittadini la fiducia perduta: «Se la medicina è una scienza impareggiabile lo è per una sola ragione fondamentale: ha un impianto concettuale che le altre scienze non hanno perché non è una scienza della natura come le altre. La medicina della scelta è quindi inevitabilmente una scienza impareggiabile».
© Bioetica News Torino, Maggio 2022 - Riproduzione Vietata