«Dedicare un libro al rapporto tra povertà e salute mentale deve essere considerato un passo necessario per comprendere l’impatto dei grandi cambiamenti sociali sul benessere psichico e sulla qualità della vita quotidiana di tutti noi». Così scrivono Alberto Siracusano e Michele Ribolsi, due dei più importanti psichiatri italiani, nella prefazione della loro ultima fatica letteraria, «La Povertà Vitale: Disuguaglianza e Salute Mentale», edito da Il Pensiero Scientifico Editore.
La tematica è attualissima tanto da aver catturato l’attenzione di stimati studiosi in tutto il mondo; già nel 2016 Michael Marmot, professore di epidemiologia allo University College di Londra, aveva coniato l’espressione “malattia della povertà”, attribuendo a questa piaga sociale ormai dilagante il potere di arrecare danni considerevoli alla salute mentale. Una vera e propria malattia cronica, dunque.
Il primo capitolo del volume si focalizza sulle varie caratteristiche e tipologie di disuguaglianza sociale, sottoponendo all’attenzione del lettore le cinque principali: quella geografica, culturale, economica, di genere e d’età. A spiccare per pregnanza e minuziosità nella ricerca sono i dati riportati sulla disuguaglianza di genere, uno dei temi più discussi a livello mediatico e più controversi in campo sociale. In particolare, i due Autori affermano che «nonostante si sia verificato un progressivo adeguamento dei trattamenti economici dal 2011 al 2014 e la situazione sia leggermente migliorata, si è ancora ben lontani dal raggiungere una parità di trattamento tra uomini e donne», anche a livello di rappresentanza politica. Contrariamente al pensiero comune, inoltre, episodi di disparità di genere si verificano più frequentemente nei Paesi del Nord America rispetto a quelli del vecchio continente.
Altrettanto rilevanti sono i dati relativi alle disuguaglianze geografiche. Il fenomeno della migrazione intensiva, che l’Italia ha conosciuto così bene negli ultimi anni, «è testimoniato dal crudo dato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni che stima in 2800 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo nell’anno 2017, nel tentativo di raggiungere via mare l’Europa. Va sempre ricordato che l’Italia, oltre a una migrazione dai Paesi del Nord Africa, vive un’altra migrazione proveniente dai Paesi del Nord Est Europeo». Un’altra considerazione interessante fa riferimento alla galoppante globalizzazione: la comunicazione sempre più veloce ed efficiente tra gli Stati del mondo non permetterà più una disuguaglianza tra i Paesi a basso reddito e quelli ad alto-medio reddito. Resta innegabile che le disuguaglianze tra le persone possano condurre a un cospicuo inasprimento dei rapporti sociali e a stigmatizzazioni. Come affermano Siracusano e Ribolsi, «mentre il conflitto provocato dalla differenza può essere fonte di arricchimento e avanzamento, il conflitto che nasce dalla disuguaglianza può generare psicopatologia e incidere sulla salute mentale».
Il secondo capitolo prende in analisi la disciplina psichiatrica posta all’interno del contesto sociale, partendo dalla convinzione che la povertà non è la strada maestra per la follia, credenza professata da personaggi come Michel Foucault e Martin Lutero e rimasta in voga fino all’età industriale. Non bisogna infatti dimenticare che il «punto di partenza per analizzare il rapporto tra povertà e salute mentale è la complessità della psichiatria e la complessità dell’origine dei disturbi mentali». Tuttavia non trova obiezioni il paradigma secondo cui i disturbi psichici sono il risultato di una serie di fattori interconnessi tra loro, inclusa la variabile socio-economica. L’avvento dell’età tecnologica e la globalizzazione hanno prodotto un mutamento significativo nelle strutture sociali, garantendo sì una maggiore scolarizzazione ma producendo precariato e varie tipologie di frammentazione sociale. La disuguaglianza che naturalmente deriva da questa situazione «rappresenta una fonte di grande cambiamento per la salute mentale. Il quadro sociale descritto ha modificato radicalmente le capacità relazionali, affettive, oltre che la natura delle relazioni interpersonali, con notevoli ripercussioni sul benessere mentale soggettivo»
Il terzo capitolo scandaglia più in profondità il mondo della psichiatria, realtà complessa e soggetta a continui cambiamenti. Sono molteplici infatti le variabili sociali e ambientali «capaci di influenzare il nostro benessere psichico e provocare alterazioni psicopatologiche». Tra i nuovi sviluppi scientifici da considerare vi sono l’epigenetica, le tecniche di neuroimaging, il connettoma, il genoma e la nascita delle scienze omiche; occorre inoltre valutare la misura di tutte le esposizioni ambientali di un individuo nel corso della vita e, in tal modo, determinarne la salute fisica e psichica. I due Autori definiscono così la psichiatria moderna: «[…] una psichiatria moderna deve prevenire la sconfitta sociale operando sui determinanti psicosociali che la causano: l’uso di sostanze, la malattia psichiatrica, i traumi legati alla migrazione sono tutte sfide che vanno combattute e prevenute ab origine per evitare che a loro volta provochino un circuito vizioso tale per cui malattia generi malattia». L’approccio deve dunque avere carattere prettamente scientifico, mirato a politiche preventive sui determinanti psicosociali.
Il quarto capitolo analizza un modello multidimensionale del rapporto tra povertà e salute mentale, utilizzando come metro di giudizio il paradigma gene-ambiente per «spiegare come contesti ambientali caratterizzati da povertà e basso livello socio-economico possano provocare alterazioni dello stato di benessere psichico in quanto capaci di determinare modificazioni epigenetiche». Occorre ricordare che il patrimonio genetico è di fatto immutabile, ma il suo funzionamento può variare. L’ambiente è dunque in grado di provocare l’insorgenza di variazioni epigenetiche. Variabili come il senso di solitudine e isolamento, l’adozione di comportamenti a rischio, la migrazione e la discriminazione hanno un peso non indifferente sulla salute psico fisica di un individuo. Come già detto, la povertà non coincide con la follia, tuttavia condizioni di grave povertà possono incidere notevolmente sulla salute mentale. Fatto allarmante, se si considera che nel Bel Paese, dal 2010 al 2015, la percentuale di individui che si trovano in condizioni di povertà assoluta è aumentata del 4%. L’Italia è quindi sesta nel panorama europeo, dopo la Spagna.
Il quinto capitolo prende in analisi i fattori di mediazione tra povertà e salute mentale, suddivisi da Siracusano e Ribolsi in fattori neurobiologici, psicosociali e psicopatologici. Con la prima categoria gli Autori fanno riferimento all’influenza che lo status socio-economico può esercitare sullo sviluppo cerebrale. I mediatori psicosociali, invece, coinvolgono la dimensione affettiva, esistenziale e comportamentale, mentre quelli psicopatologici riguardano la trasmissione intergenerazionale dello svantaggio sociale. In particolare, i due psichiatri parlano di dis-affiliazione, una condizione di grande sofferenza psichica che coinvolge le classi più povere, spesso disoccupate, che «rappresenta una modalità particolare di rottura del legame sociale determinata dalla povertà e dall’emarginazione. […] Trovarsi in una condizione di dis-affiliazione incide profondamente su una condizione esistenziale che diviene di alienazione sociale». È attraverso il lavoro, infatti, che l’individuo guadagna la propria dignità ed è quindi in grado di costruirsi un’ identità; in caso esso venga a mancare, «il soggetto può subire uno stato di smarrimento della propria immagine di sé, con gravi ricadute sulla propria autostima». Come riportato dagli Autori, la World Health Organization definisce non a caso la salute mentale come «uno stato di benessere in cui ciascun individuo realizza il proprio potenziale, può affrontare i normali fattori di stress della vita, può lavorare produttivamente e con profitto, ed è in grado di fornire un contributo utile alla propria comunità».
Il sesto capitolo pone l’attenzione sul problema della depressione in relazione alla povertà, due grandi emergenze epidemiologiche fortemente interdipendenti. Il legame che le unisce si può definire circolare: uno stato di estrema povertà può infatti portare alla maturazione di forme di depressione; allo stesso tempo, forme acute di depressione possono causare apatia e impoverimento del funzionamento lavorativo, con conseguente perdita del lavoro.
Il settimo e ultimo capitolo, invece, approfondisce la tematica sempre attuale del bullismo, inteso come nuova forma di povertà vitale. In questo caso Siracusano e Ribolsi introducono il concetto di doppia disuguaglianza: sia il bullo che la vittima acquisiscono infatti comportamenti (aggressività contrapposta a sottomissione) nettamente devianti dalla condotta standard. È lapalissiano, dunque, il legame tra bullismo e povertà vitale, dal momento che la povertà vitale, intesa come stato di impoverimento morale, affettivo e relazionale, può costituire la base psicologica su cui si sviluppa l’aggressività contro l’altro.
In conclusione, gli autori citano le parole di John Fitzgerald Kennedy pronunciate nel discorso inaugurale alla presidenza del 1961: «Se una società libera non può aiutare i molti che sono poveri non può aiutare i pochi che sono ricchi». Investire nel capitale umano, dunque, è l’unica via per giungere alla realizzazione di una società più forte e unita.
SIRACUSANO A. – RIBOLSI M.
La povertà vitale
Disuguaglianza e salute mentale
Collana «Spazi»
Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2018, pp. 144
€ 15,00
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