Adesso, la mattina, quando mi alzo e mi guardo allo specchio, ritrovo il mio volto:
quello della bambina che giocava spensierata e felice con gli altri piccoli amici ai quali leggeva le favole;
della ragazza con tanti sogni ….
Un volto non più solcato dalle lacrime, disperato ma sereno, disteso,
illuminato da uno sguardo che racconta tutta la gioia, riscoperta, di vivere.
Io sono Joy (Bonanate M., San Paolo 2021)
Le organizzazioni criminali trafficanti di persone agiscono a livello internazionale e sono senza scrupoli: vendono, barattano, rivendono e usano le persone come oggetto insignificante, ingannandole nei loro sogni di vita per un futuro migliore dalla povertà, nella realizzazione di sé, personale e sociale, facendole schiavi da maltrattare e seviziare a proprio piacimento sul cui corpo e sulla cui dignità, martoriati dalla violenza fisica e psicologica, dallo sfruttamento dell’accattonaggio forzato, della prostituzione e delle attività illecite lucrano ingenti guadagni; non hanno alcunché di pietà rifuggendo nell’indifferenza cruenta di uno sguardo freddo e calcolatore da chi supplica di poter uscire da quella condizione perché non ce la fa più, perché è stremato dalla fame, dalle violenze perpetuate e dagli infiniti soprusi che annientano l’individuo, da chi viene lasciato a morire solo e sofferente per mano loro.
Persone, dunque, spietate: carnefici. Un quadro che per nulla si concilia con quanto queste invece raccontano di sé alle vittime per carpirne la loro fiducia, i loro sentimenti, travestendosi nei panni di persone altruistiche e pronte ad aiutarle nel realizzare i loro sogni, il loro futuro. E quando, ormai tardi, la vittima di tratta scopre la menzogna e dopo infiniti soprusi, cerca di uscire da quel vortice infernale in cui è piombata, non riesce, intimorita dalle minacce, dalle ritorsioni e ancora da violenza.
“Sei senza documenti” e quindi, finirai in prigione e cosa penserà di te la tua famiglia che riponeva in te fiducia e verrà a conoscenza della tua vita, “hai un debito che devi pagarmi”, sono frasi ricattatorie ricorrenti degli aguzzini e della donna che gestisce e sfrutta le vittime nel nuovo Paese privandole di ogni libertà e recludendole a un mondo confinato nell’illegalità, nel più totale calpestio dei diritti umani. Sono ingannevoli. Ne dà con chiara testimonianza una giovane ragazza nigeriana la cui vita è rinata per un cammino in crescendo di luce, di speranza, di vita nella realizzazione di quanto desiderava nel suo paese natale, grazie alla comunità delle suore orsoline che l’ha accolta in Italia, “Casa Rut”, alle forze dell’Ordine e al piano di protezione per le vittime di tratta, sconosciuto per lo più alle vittime, vigente dal 2014.
Una storia che pur nella sua cruenta drammaticità ha un “lieto” fine, quello della libertà e della dignità che si era perduta: un’autobiografia, una testimonianza che è “patrimonio dell’umanità” come l’ha definita Papa Francesco nella prefazione al volume Io sono Joy. Un grido di libertà dalla schiavitù della tratta, edito San Paolo (2021) alla cui narrazione, con un linguaggio semplice e dal tono asciutto, dà voce la giornalista e scrittrice Mariapia Bonanate, «a lei [Joy] e alle migliaia di ragazze che hanno vissuto e vivono il suo dramma». Noi occidentali viviamo in un mondo perfetto, ovattato, e non ci rendiamo conto (o forse facciamo finta di non vedere) che a pochi chilometri da noi vengono ancora perpetrate la tratta di esseri umani e la schiavitù. Sembra essere tornati indietro di secoli, eppure tutto ciò è accaduto a Joy appena quattro anni fa.
Bonanate l’ha incontrata un giorno nella cooperativa etnica News hope Store della casa di accoglienza (e di speranza, balsamo risanante le ferite dell’anima e del corpo) Casa Rut di Caserta:
prima mi sono venuti incontro il suo sorriso, gli occhi scintillanti di allegria, la voce squillante, poi l’abbraccio avvolgente. Nei giorni seguenti ho continuato a pensare con stupore e felicità a quell’incontro, alla gioia e alla serenità che Joy mi aveva trasmesso […]. Quando mi hanno accennato alla sua drammatica storia, sono rimasta sconvolta e disorientata. Ho sentito nel profondo di me stessa che doveva essere conosciuta perché è una storia che appartiene a tutti».
Joy (gioia), guardando al passato, agli orrori subiti nel suo viaggio dell’inferno, dalla traversata del deserto alla detenzione nei campi libici alla traversata in gommone del mare Mediterraneo, tramite la voce narrante afferma:
Non posso dimenticarlo, ma guardo davanti a me, per costruirmi un’esistenza che realizzi i miei sogni: continuare gli studi, frequentare l’università, laurearmi in psicologia per aiutare le persone a vivere bene con se stesse e con gli altri; trovare uno spazio nel mondo in cui tirare fuori tutta la bellezza che ho dentro e che ciascuno di noi ha in sé. La bellezza ci salva.
Ai lettori Papa Francesco dice nella prefazione: «ci farà bene metterci al fianco di Joy e fermarci con lei sui suoi “luoghi” del dolore inerme e innocente. Dopo aver sostato lì, sarà impossibile rimanere indifferenti quando sentiremo parlare dei battelli alla deriva, ignorati e anche respinti dalle nostre coste. Joy si trovava su uno di essi», facendo anche osservare come nel cammino verso la libertà sono stati preziosi per Joy la fede in Dio che salva dalla disperazione, e la comunità, come il centro Casa Rut di Caserta che ha accolto Joy.
Questa bellissima ragazza Joy nasce in una famiglia molto povera; dove sin da piccola si abitua ad affrontare le difficoltà, ad aiutare i fratelli, la famiglia, cresce in un Paese in cui «le donne [nel nostro Paese] non hanno alcun diritto e tanto meno la possibilità di vedere realizzati i propri progetti, speranze e sogni›. Viene tradita da donne, che le promettono un lavoro e un percorso di studi dopo il viaggio sui barconi a patto del silenzio su di loro, che segnerà per lei l’inizio dell’ennesimo calvario con la fuga dal Centro di Accoglienza, progettato da organizzazioni criminali, passando così al marciume dell’illegalità.
La tratta è un vero e proprio “affare” illecito internazionale che «approfitta della vulnerabilità di milioni di persone per farne delle merci da immettere sul mercato della schiavitù del XXI secolo», sulla pelle delle persone che vivono in paesi flagellati da guerre, povertà, malattie e finiscono nelle reti criminali della prostituzione coatta, del lavoro sfruttato, obbligandoli allo spaccio di droga o altre attività illegali, usandoli come bambini soldato, schiavi e schiave sessuali o spose bambine, o per gravidanze surrogate, usandoli per il prelievo di organi, afferma la giornalista Anna Pozzi che dà un resoconto di tale fenomeno di “disumanizzazione” nella postfazione al libro. Nel 2016 sono sbarcate in Italia per diventare schiave ben 11.000 donne, tra le quali c’è anche la nostra protagonista. Poche riescono a raccontare quello che hanno subito, per volontà o per diffidenza verso chiunque. E come spiega ancora Pozzi:
A volte, sono proprio queste ferite dell’anima le più difficili da guarire: c’è qualcosa di spezzato in queste giovani donne che sono state indotte a smarrire – spesso per sempre – equilibrio e razionalità, nonché la loro essenza più originaria e spirituale. Senza la quale qualsiasi percorso di recupero della loro umanità e integrità è destinato a fallire.
Ciascuno può fare la sua parte: perché la storia di Joy interpella ognuno di noi.
© Bioetica News Torino, Marzo 2021 - Riproduzione Vietata