Solo un essere mortale è capace di amare,
perché solo un mortale è capace di percepire un bene che vada oltre di sé
Bergamaschi M., Il fiore in bocca (2020)
Sul senso del morire e dell’amare disquisisce il filosofo Matteo Bergamaschi, docente presso la Facoltà Teologica di Torino, calandoli nella realtà del nostro tempo; imprime le sue riflessioni in una sorta di lettera pregnante di esperienze vissute a livello personale e sociale per tracciare un possibile percorso di senso di vita quotidiana con uno sguardo di speranza verso la ricostruzione dell’oggi per un futuro più responsabile.
Dalle prime righe si comprende il significato del titolo Il fiore in bocca; è tratto da un’opera pirandelliana che narra la storia di un uomo colpito da un tumore in bocca che lo porterà alla morte. Bergamaschi la richiama nelle sue pagine scritte durante l’emergenza pandemica caratterizzata da isolamenti forzati, misure preventive cambiamenti sociali ed economici, paure e incertezze sul futuro, meditando e traendo spunto di riflessione da quelle ricche del dolore fisico, psicologico e spirituale narranti l’animo tormentato e spaventato del protagonista che sentiva come ‹‹la morte era una realtà incomunicabile, un’esperienza che lo separava, lo recideva dal consorzio degli uomini, un fatto che egli non era in grado di condividere con nessuno, che nessuno poteva davvero comprendere››.
La pandemia ha colpito il mondo intero e dinanzi ai suoi drammatici risvolti siamo più propensi – anche chiamati – a riflettere sul significato della finitezza umana. Seppure la morte appaia come l’insensato, insensibile, che mette fine a tutti i progetti, l’inaccettabile e l’uomo tenti di mascherarla con tutto ciò che è in grado di fare e di pensare, il filosofo Bergamaschi ci invita a riflettere sull’importanza della vita per ciascun essere umano, «il mondo si fa nuovo davanti alla possibilità di un nuovo sguardo sul mondo». Si possono fare piani, progetti per il futuro perché la vita è «quella modalità essenziale del mio essere per cui vivendo non posso fare a meno di immaginare, di delineare la mia vita, di progettarmi chi io sono e chi voglio essere».
Si è anche investiti della responsabilità di aiutare il prossimo, aggiunge il Professor Bergamaschi: ‹‹è il volto dell’altro uomo, dell’orfano e della vedova, se si vuole, ma anche della mamma nei riguardi del bambino (o l’Edipo freudiano, al limite) che desta in me la scintilla della responsabilità››.
L’amore è ciò che ci fa relazionare con l’altro, ‹‹è capace di guardare in faccia la morte, e di non calcolare, di non prenderla in considerazione rispetto alla propria fine››. Ci fa comprendere quanto sia bella la finitezza della vita, «perché solo un essere con un tempo finito è capace di amare».
Per tutto il tempo in cui si vive si può progettare il futuro con lo sguardo teso al tempo delle generazioni che ci succederanno: vivere e amare, «il tempo diviene allora un presente, qualcosa che è dato».
© Bioetica News Torino, Agosto 2021 - Riproduzione Vietata