È impossibile parlare di etica senza fare riferimento al prendersi cura, per adoperare il più usurato termine inglese, del care. Fin dall’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso si è assistito a una produzione massiva di teorie etiche sul concetto del care, che ancora oggi rappresenta un fertile terreno di studio per numerosi ricercatori in tutto il mondo.
Il libro che vi viene proposto questo mese, Gli Obblighi della Cura, edito da Vita e Pensiero e curato da Adorno, offre uno sguardo ravvicinato a queste teorie cercando di metterne in evidenza sia gli aspetti positivi che quelli problematici e focalizzandosi sul significato intrinseco della parola “care“. Si tratta senza dubbio di un termine polisemantico e – di conseguenza – ambiguo, tuttavia non si può non constatare che in tutte le sue forme il care indica un particolare tipo di relazione in cui le persone si sentono chiamate a dimostrare attenzione e premura le une verso le altre, sviluppando un senso di responsabilità verso altre vite oltre che alla loro. Si tratta senza dubbio di una tendenza naturale dell’essere umano, senza la quale – affermava Luigina Mortari – non esisterebbe la vita.
Il volume propone un’ampia panoramica degli studi che hanno prodotto i risultati più interessanti nello svisceramento della nozione di care – andando ben oltre la semplicistica e femminista valutazione americana – partendo dal campo della psicologia cognitiva (con le ricerche svolte da Carol Gilligan) alla pedagogia, fino ad arrivare alla filosofia – estremamente illuminanti le teorie di Virginia Held, Michael Slote e Eva Kittay – alle scienze infermieristiche e alla bioetica.
In tale eterogeneità di contenuti occorre però puntualizzare che sono stati presi in considerazione esclusivamente quegli autori che hanno dato alle proprie ricerche una profilatura socio-politica, in modo che «fosse possibile, a partire dal ripensamento della cura, proporre degli elementi sostanziali di una teoria morale alternativa a quelle tradizionali fondate sulla ricerca e sulla definizione di principi di giustizia». L’obiettivo primario è dunque quello di valorizzare i modelli di relazionalità intrinseca delle persone. D’altronde, uno dei motivi per cui le etiche del care hanno suscitato grande interesse è perché pongono al centro delle loro discussioni la consistenza del legame sociale. Si ha infatti l’impressione che nell’avanzata società moderna, in grado – come mai prima nella storia – di garantire il generale benessere dei cittadini, si sia completamente persa la capacità di dare senso all’esistenza umana. Le teorie del care ci spingono a rivalutare l’importanza delle relazioni umane, ad acquisire una maggior consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni.
Partendo dall’assunto, tipicamente femminista, di una maggiore predisposizione femminile al prendersi cura degli altri, di particolare rilevanza sono gli studi condotti Nancy Chodorow, la quale incentra le sue teorie proprio sulla differenza comportamentale esistente tra maschi e femmine comunemente accettata in società; in questo, il ruolo delle madri appare fondamentale: nel momento in cui diventano madri, le donne tendono a ripetere lo schema che hanno vissuto nella loro infanzia, ovvero separarsi dai figli maschi cercando invece di mantenere una relazione più forte – a volte quasi simbiotica – con le figlie. Si afferma infatti che «poiché le femmine sono considerate dalle madri come loro simili e come portatrici di elementi di continuità, il trattamento che riservano loro è diverso da quello che riservano ai maschi che invece vengono percepiti come “un opposto maschile”. In questo modo mentre lo sviluppo femminile si nutre dell’amore e dell’affetto delle madri che considerano le figlie come una continuazione di una parte di sé, lo sviluppo maschile deve fare i conti con la separazione imposta delle madri che li obbliga ad accettare e a rinforzare questa volontà differenziatrice materna».
Esisterebbe perciò una sostanziale differenza tra uomini e donne nella capacità di stabilire e mantenere relazioni; da entrambe le parti, invece, permane «un disagio nell’orientarsi in un mondo in cui è difficile scegliere la relazione da salvaguardare, se con sé o con gli altri, od optare per forme di egoismo o di altruismo, altrettanto insoddisfacente, per giungere infine a quello che sembra essere il vero problema di queste donne – ma anche di quelle interrogate nelle altre inchieste e forse di tutti gli esseri umani in quanto tali, a prescindere dal loro sesso – ovvero l’incapacità di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, qualunque esse siano». L’essere umano si trova dunque di fronte a un impasse: scegliere se aver cura di sé, e fino a che punto, o se curarsi degli altri, assumendosi la grande responsabilità che tale scelta comporta.
In opposizione alle teorie di Chodorow – appoggiate da Gilligan – Mary Brabeck evidenzia l’impossibilità di separare nettamente un’etica della cura di stampo femminile da un’etica della giustizia di stampo maschile, mentre Zella Luria precisa che la letteratura scientifica non permette di stabilire che le donne e gli uomini abbiano un approccio alla realtà così profondamente diverso.
È doveroso, inoltre, riportare gli studi condotti da Mayeroff, che si propone «di analizzare due temi correlati: descrivere in maniera generale il care inteso come una pratica di sostegno e di indirizzo al pieno sviluppo e alla crescita individuale e, in secondo luogo, spiegare il modo in cui il care può dare senso e ordine all’esistenza umana» e da Ruddick, la quale afferma che la maternità abbia da sempre costituito una fonte di dominio sulle donne, ma che abbia anche donato loro un grande potere: la trasmissione di nuove relazioni sociali e politiche fondate su sentimenti ad emozioni. Secondo Virginia Held, infatti, il care si avvale di una connotazione fortemente sentimentalista: «le attività di cura non sono quindi definibili in base alla loro specificità concreta, oppure al tipo di relazione all’interno della quale sono svolte, ma sono caratterizzate dal fatto che sono motivate da un insieme di attitudini, di sentimenti e di comportamenti come attenzione, sensibilità e desiderio di soddisfare i bisogni (needs) altrui».
Inoltre, se da una parte Darwall e Noddings sottolineano l’importanza dell’empatia nella relazione di aiuto, Slote è invece particolarmente interessato alla definizione delle fonti di motivazione morale, adducendo che “la prima forma di motivazione morale è un vero e autentico amore, una vera volontà di prendersi cura dell’altro”.
Un ampio spazio all’interno del volume è riservato alla definizione del concetto di vulnerabilità: essa costituisce l’essenza stessa della condizione umana o è semplicemente il frutto di una costruzione sociale? Senza dubbio, ricondurre la vulnerabilità all’interno delle relazioni con altre persone apre la strada a una maggiore responsabilizzazione delle persone; tuttavia, il fatto di collocarla all’interno del perimetro della relazionalità «conduce a considerare tutte le relazioni, e in primis la relazione originaria, come la matrice sociale e politica della natura umana, distaccandola da un fondo volontarista che ne negherebbe o ne ridurrebbe la specificità». Appare dunque di primaria importanza, nel dibattito sul care, stabilire la connotazione precisa del termine.
Al di là di ogni considerazione teorica, quel che appare certo è che una società senza lavoratori del care sarebbe invivibile. Infatti, se la giustizia sociale si traduce in una semplice questione di ridistribuzione economica, «il riconoscimento richiesto dal care sarebbe in qualche modo una richiesta simbolica di rispetto culturale delle identità e delle differenze. Mentre le teorie della giustizia tendono a riparare una ingiustizia di tipo economico ed oggettivo, le teorie del care vogliono eliminare le ingiustizie simboliche o soggettive».
Se la giustizia sociale intende eliminare l’ingiustizia economica mediante l’annullamento delle differenze tra gli individui, la lotta contro l’ingiustizia simbolica − portata avanti dal care − si propone invece uno scopo opposto: fare in modo che tutti i gruppi sociali si sentano riconosciuti e accettati attraverso la conservazione e la valorizzazione di tali peculiarità.
Gli obblighi della cura
Problemi e prospettive delle etiche del care
Collana «Ricerche. Filosofia»
Vita e Pensiero, Milano 2019, pp. 208
€ 18,00
© Bioetica News Torino, Dicembre 2019 - Riproduzione Vietata