Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 25 (1948)
Paolo Gomarasca, docente di filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, disquisisce nella sua ultima pubblicazione Etica del cibo della collana Etiche speciali diretta da Adriano Fabris ed edita da Morcelliana, in modo approfondito e, non senza toni argutamente ironici, su un argomento da cui dipende la più basilare forma di sopravvivenza umana: il cibo. Lo fa in un’ottica etica percorrendo la storia contemporanea dei diversi e graduali approcci di organismi internazionali e dei Paesi al “diritto al cibo” dinanzi alla continua e immensa pletora di persone povere da sfamare (e nutrire) in un mondo, le cui risorse necessitano di essere salvaguardate per la sopravvivenza della stessa natura umana.
Articola il suo dibattito sull’etica contemporanea del cibo attorno ai principi di giustizia su accessibilità, sicurezza e non solo, come la sostenibilità ambientale, all’interno di un quadro complesso della società globale, nei diversi aspetti socio-economico-ambientale e politico che coinvolge tutta la catena agro-alimentare dall’agricoltura alla distribuzione alla preparazione domestica fino allo smaltimento dei rifiuti, il rispetto della dignità umana e il benessere animale.
Diverse le contraddizioni che pesano: fame, malnutrizione, obesità e spreco alimentare. Sono 1300 miliardi di tonnellate all’anno, afferma l’Autore «che si perde prima ancora di arrivare a tavola o che viene buttato via dai consumatori. Praticamente 1/3 della produzione agricola mondiale E l’80% sarebbe consumabile… È stato calcolato che se fosse uno Stato, lo spreco alimentare sarebbe il terzo Paese per emissioni di gas-serra (3,3 miliardi di tonnellate di CO2). Dulcis in fundo, le proiezioni al fatidico 2050 sembrano disegnare una specie di incubo distopico: sprecheremo più del doppio di quanto facciamo oggi».
«L’atto di mangiare ha ormai un peso specifico etico assai elevato», afferma l’Autore mostrando alcuni interrogativi di cui si occupa e interpella l’etica del cibo, divenuta disciplina accademica, che spaziano dall’ambito sociale a quello politico, emersi in un corso di etica nel 2015 alla Cornell University: Che impatto hanno i diritti degli animali? Quanto le scelte alimentari impattano sull’economia e sull’ambiente? I governi mondiali dovrebbero incoraggiare la coltivazione di prodotti geneticamente modificati? Come possiamo migliorare le politiche alimentari nell’ottica di una popolazione sempre più ampia?
L’Autore sviscera il pensiero etico-alimentare in sei capitoli, partendo dall’analisi filosofica del tema della fame come questione di giustizia e delle diverse argomentazioni a supporto dell’aiuto verso chi soffre di fame e muore. «Troppo poco se ne parla, perché si fa (troppo) presto a dire fame», dichiara l’autore nel primo capitolo, incentrato sulla gravissima situazione attuale circa la malnutrizione. Esistono molte persone nel mondo che fortunatamente non capiscono cosa significhi davvero “morire di fame”, ma purtroppo ve ne sono molte altre che non possono permettersi un pasto decente e dignitoso. Riporta quanto scrive Karl Marx nell’Ottocento: «la fame che si soddisfa con carne cotta, mangiata con coltello e forchetta, è una fame diversa da quella che divora carne cruda, aiutandosi con mani, unghie e denti» mentre soggiorna a Londra e assiste impotente alla situazione disastrosa in cui si trova la classe operaia.
Nel terzo capitolo, Crimini (alimentari) contro l’umanità, Il filosofo Gomarasca si interroga se la fame possa essere inserita nel novero dei crimini contro l’umanità. Affronta una dinamica che interessa sia il campo etico sia quello giuridico e offre al lettore molti spunti di riflessione, che possono già iniziare con i dati sulla malnutrizione mondiale. L’Autore riporta le parole lapidarie del sociologo Jean Ziegler, che in qualità di relatore sul diritto all’alimentazione su mandato della Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite affermò che la fame è un «genocidio silenzioso» e che «chiunque muore di fame muore ammazzato» (2002).
Secondo il Codice penale del 1998, è definito crimine contro l’umanità un atto compiuto in larga scala, che coinvolge i civili ed avviene con consapevolezza. Analizzando in dettaglio la definizione, la fame rientra in questi requisiti. Il problema principale e lampante che dà inizio al fenomeno della malnutrizione è la distribuzione diseguale di cibo: c’è chi ha (forse) troppo e chi troppo poco. A tal proposito, si sta parlando di «intere popolazioni civili decimate dalla fame, a causa di una serie sistematica di atti, organizzati su larga scala da politiche agricole tendenzialmente favorevoli al Nord del mondo». Come al solito, è tutta una questione di denaro e potere, ottenuti a discapito di quella persona su nove che non può permettersi un pasto decente. Nonostante ciò, la fame non può essere inserita come crimine contro l’umanità perché, paradossalmente, non vi sono abbastanza morti e perché solo i singoli individui possono essere accusati di questi crimini, non gli stati. Ecco perché Ziegler utilizza l’aggettivo silenzioso; morire di fame passa in sordina.
Infine, Gomarasca lancia un appello: «un trattato sul diritto al cibo sarebbe comunque cruciale dal punto di vista etico, perché servirebbe a smontare il pregiudizio duraturo secondo cui la fame colpisce alla cieca i diseredati della terra, o persino li punisce in base a un oscuro calcolo retributivo…. Una credenza difficile da contestare, visto che ci protegge dalla scomoda verità che la fame è, invece, in qualche misura sempre man-made».
Purtroppo la situazione continua ad essere disastrosa ancora oggi, soprattutto in paesi come l’Africa, dove la proporzione di persone malnutrite è una su cinque. L’Autore fa notare come la linea che separa la fame dalla rabbia è molto sottile; l’essere umano sottoposto a forte stress può compiere atti inaspettati, imprevedibili e anche violenti, o per meglio dire, «diventare vulnerabili al richiamo della violenza, quando la pancia è vuota, è un attimo››. La storia lo insegna: la miccia che fece scoppiare la Rivoluzione francese fu la carenza di cibo nei quartieri poveri di Parigi».
L’etica del cibo si schiera da sempre dalla parte dei deboli e dei bisognosi e invita le istituzioni a fare lo stesso; vale anche la pena ricordare che la nostra terra è limitata e ormai l’abbiamo sfruttata più che a sufficienza. Ora è il momento di ripagarla aiutandola tutti insieme con responsabilità, perché il cibo è fondamentale per vivere. L’ultimo capitolo è dedicato agli stili di vita con alcune proposte e precauzioni per un mangiare sano dagli errori già commessi sul fronte scientifico e culturale, intitolato Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. «Nessun cibo libererà dalla fame chi ancora ci muore, se non reimpareremo a trattare quella strana “merce” per quello che dovrebbe essere: il nostro bene comune».
E concludiamo con il pensiero di auspicio del filosofo Gomarasca con cui chiude il suo volume, rivolte alla politica: «uscire da questo strazio sarà un’impresa planetaria. Possibile, certo, ma non senza amore per la giustizia. Perciò non basterà qualche buona battuta retorica».
© Bioetica News Torino, Aprile 2021 - Riproduzione Vietata