I disturbi alimentari rappresentano un problema più che mai attuale e non circoscritto ai più giovani, come spesso si crede.
La società dell’apparenza ha di certo mietuto molte vittime in tal senso, promuovendo un ideale di perfezione del tutto irrealistico e inaccessibile, ma allo stesso tempo non bisogna sottovalutare la temibile influenza di una realtà nevrotica, sempre più logorante e asfissiante, che non nasconde l’insofferenza verso “il lato umano” degli esseri umani ormai considerato più che altro una debolezza.
Il libro Alimentare Il Desiderio. Il trattamento istituzionale dei disturbi dell’alimentazione, curato dallo psicanalista Massimo Recalcati e dallo psichiatra Michele Angelo Rugo (edito da Raffaello Cortina), si propone di approfondire questa complessa tematica coinvolgendo i massimi esperti a livello italiano e presentando, nell’arco di undici capitoli, le procedure della cura dei disturbi gravi dell’alimentazione in istituzioni residenziali e i suoi risultati terapeutici in una nuova esperienza in corso da quattro anni presso la Residenza Gruber1 di Bologna.
In una prospettiva generale, la ricerca prevede un’analisi qualitativa degli effetti terapeutici del trattamento a tre anni dall’apertura della struttura. Scrivono Recalcati e Rugo: «La gravità delle condizioni del corpo provocata dalla coazione a ripetere di pratiche nocive e anti-vitali non può essere contenuta dal solo lavoro della parola o dall’azione chimica dei farmaci, ma esige di trovare un limite nell’istituzione e nella sua vita comunitaria».
La prima parte del volume descrive l’impianto teorico a validazione del metodo di cura, un metodo basato sulla forte convinzione della «natura irripetibilmente singolare della soggettività unitamente alla differenziazione diagnostica della sua specifica struttura di personalità». Non si è scelto di applicare, dunque, un trattamento protocollare standard (cognitivo-comportamentale o psicodinamico) ma di focalizzarsi sull’individuo e sulle sue risorse soggettive, valorizzandone l’unicità e dando un senso alla diagnosi. Scrivono Lingiardi e Muzi: «Vi è la necessità di leggere la psicopatologia nel contesto della personalità e i sintomi del funzionamento complessivo dell’individuo, di includere la soggettività del vissuto sintomatologico, di contemplare la specificità individuale dei bisogni dei diversi pazienti, di individuare le possibili risorse psicologiche e non solo gli elementi patologici o disfunzionali, di considerare l’influenza della fase del ciclo di vita, e (non da ultimo) di consentire un maggior dialogo tra clinica e ricerca, auspicabile fonte di ispirazione per la clinica e al tempo stesso sua necessaria ricaduta».
La seconda parte del libro rivolge invece l’attenzione agli interventi e agli strumenti messi in atto nella cura in Residenza. Una folta équipe di operatori ha dimostrato quanto sia rilevante nel processo di cura il lavoro coordinato dell’intera équipe; una strategia clinica − fondata sull’irrinunciabile alleanza terapeutica tra paziente e medico − indispensabile per l’ottimizzazione del progetto terapeutico-riabilitativo. Scrive Rugo: «più complessa è la condizione patologica del paziente, più facilmente egli proietterà sul terapeuta e sull’équipe intera la sua rappresentazione di sé o del mondo».
Il transfert rappresenta un elemento principe della cura; durante i percorsi residenziali, in particolare, sono espliciti i meccanismi di idealizzazione dello psicoterapeuta da parte del paziente a discapito della demonizzazione di educatori, dietisti o infermieri». Data la natura di tale legame, è necessario mantenere con il paziente un comportamento rassicurante, comprensivo e mai giudicante, ma al tempo stesso determinato, professionale e fermo.
«Divengono indispensabili», continua Rugo, «le indicazioni che emergono dalle microéquipe: note anamnestiche reperite dal personale educativo e dagli OSS in momenti di accompagnamento esterno, confidenze serali all’infermiere e, infine, contributi da figure parentali aiutano lo staff intero a identificare le scissioni agite dal paziente nella vita». La costruzione e il mantenimento di un legame positivo con l’Altro risulta essere la conditio sine qua non affinché il paziente possa reinserirsi nella vita comunitaria e prendere definitivamente le distanze dal proprio disturbo.
I capitoli finali pongono il focus sugli esiti del trattamento. L’efficacia delle cure viene constatata attraverso l’analisi dei dati emersi in maniera non solo quantitativa, ma anche qualitativa; la significatività statistica e quella clinica posseggono dunque la medesima rilevanza. Viene inoltre messa in evidenza l’importanza dello strumento swap-200 nel contesto dei disturbi alimentari, un’innovazione che potrebbe essere alla base dei prossimi sviluppi nella ricerca sui problemi legati all’alimentazione.
I due curatori sottopongono infine al lettore quattro casi clinici che sottolineano l’importanza dell’attività di supervisione, svolta in sinergia con il paziente, ribadendo quanto il lavoro multidisciplinare e coordinato di tutta l’equipe sia indispensabile per la riuscita del piano terapeutico. Scrive Massimo Recalcati: «Il lavoro del supervisore si concretizza nell’evitare di fornire una risposta univoca, moltiplicando, al contrario, le domande dell’équipe e ponendone di nuove, per stimolare la generazione di idee innovative e di strategie inattese».
RECALCATI M. – RUGO M.A. (eds.)
Alimentare il desiderio
Il trattamento istituzionale dei disturbi dell’alimentazione
Collana «Psicologia clinica e Psicoterapia»
Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, pp. 376
€ 28,00
© Bioetica News Torino, Agosto 2019 - Riproduzione Vietata