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40 Giugno 2017
Speciale Giovani e corporeità nella società contemporanea: Dal corpo esaltato e non tutelato alla cura di sè

«Il corpo “esaltato”: tatuaggio, chirurgia estetica»

Una stretta connessione tra mente e corpo

La psicologia psicodinamica considera la persona come “unità bio-psichica”. Esiste infatti una stretta connessione tra mente e corpo. Il corpo, fin dalla nascita, veicola emozioni e stati d’animo; utilizza uno specifico linguaggio − sempre di chiara decifrazione − per esprimere ciò che la mente non ha “le parole per dire”. Il corpo riesce a comunicare ciò che sembra non si possa verbalmente esprimere, sia perché sussiste una confusione, sia perché si ha timore di possibili conseguenze.

Il corpo del neonato vive la fusione con il corpo materno

Il corpo del neonato vive la fusione con il corpo materno. I confini tra il suo corpo e quello materno solo progressivamente acquistano consapevolezza. Un neonato che si nutre al seno materno è un tutt’uno con la madre. Si osservi con attenzione una madre che allatta: il piccolo corpicino e quello materno aderiscono in maniera plastica, morbida ed uno si confonde e si fonde nell’ altro, plasticamente divenendo un tutt’uno. La fusione è strettamente legata alla fusionalità biologica e psicologica del bambino, ma è anche indotta dal piacere-desiderio della madre. Nel corso dei primi mesi, il bambino abbandona la posizione fetale; gli arti si distendono ed esplorano lo spazio. Il bambino sperimenta ed evolve in autonomia motoria, sviluppando un allontanamento dal desiderio di affettuosa unitarietà della madre per trovare la sua identità e conquistare la sua autonomia. Il suo desiderio fusionale, però, non si esaurisce perché è necessario un dolce percorso per colmare il senso di “mancanza”. La madre guarda con gioia i progressi di autonomia del figlio ma anch’essa spesso conserva il desiderio fusionale con la sua creatura. Tende inconsciamente a strutturare modalità comportamentali caratterizzati dall’ambivalenza affettiva: da una parte incoraggia il figlio all’autonomia dall’altra lo tiene legato a sé. L’ansia materna legata al vissuto di “perdita-mancanza” viene trasmessa al figlio ed inciderà sul tipo di attaccamento che si strutturerà con conseguenze − che ci si augura armoniche − sul piano evolutivo. Nell’esperienza del corpo viene individuato momento per momento un confine fisico che separa il Sé, come entità psicologica interna, dal mondo esterno. E la pelle, il rivestimento cutaneo, diviene barriera tra il mondo interno e quello esterno.

L’adolescenza, “organizzatore di personalità”

Il fenomeno del tatuaggio e della chirurgia estetica riguarda, in modo particolare, il mondo adolescenziale (è presente anche nel mondo dei giovani adulti). Il fenomeno quando assume un certo rilievo esprime un disagio psicologico. E la pelle veicola al mondo esterno il vissuto che appartiene al mondo interno. Ma perché il fenomeno compare proprio in adolescenza? Prendendo un punto di vista evolutivo si può considerare l’adolescenza come “organizzatore di personalità”, come enzima che attiva nella mente funzionamenti base specifici – integrazione simbolica del corpo sessuato, integrazione della aggressività, evoluzione della separazione affettiva dalle figure genitoriali e ristrutturazione dell’identità.

breakdown-evolutivo della prima infanzia

Questo punto di vista evolutivo evidenzia una potenzialità trasformativa che tende ad una organizzazione di personalità che via via si definisce. Nel processo di crescita si può verificare un “breakdown-evolutivo” che, in genere, si colloca nella prima infanzia ed è legato all’impossibilità di elaborare aspetti specifici della fase che si sta vivendo. Nessuno più dubita di una genesi multifattoriale delle patologie che si presentano nell’adolescenza. Alla loro organizzazione concorrono: il patrimonio genetico con il quale si presenta in adolescenza, la specificità della relazione affettiva instauratasi con la figura materna nei primissimi mesi di vita, la quantità e qualità di stimoli e di tensioni che incontrerà in questo specifico momento adolescenziale, la risposta dell’altro, delle figure significative affettivamente che incontrerà (insegnanti, amici, educatori in genere). Sarà cruciale la modalità relazionale e quindi la risposta del genitore, dell’insegnante, del compagno, del partner ecc.. L’altro inciderà, come la madre nella prima infanzia e come il padre, nella sua capacità di trasmettere il senso del dovere, nella sua capacità di contenimento, rispecchiamento, ma anche come nuovo “oggetto” nella costruzione e ricostruzione del Sé.

Tatuaggio come risposta ai bisogni degli adolescenti

Il tatuarsi nel periodo adolescenziale risponde, oltre che ad un fatto di moda e di influenze sub-culturali, al bisogno di esprimere appartenenza ad un gruppo, anche e soprattutto al bisogno di affermare la propria unicità differenziandosi, nonché di offrire una immagine del proprio Sé o al bisogno di esprimere simbolicamente il proprio ideale del Sé. Il tatuaggio rappresenta una dimensione interna e viscerale che cerca di manifestarsi rendendosi visibile attraverso la pelle.

Come rappresentazione e narrazione

Il tatuaggio è rappresentazione, ma anche narrazione: rende visibile e dà corpo a ciò che spesso non può essere tradotto in parole. Leggere un tatuaggio è impossibile; il tatuaggio è un simbolo, bisogna intuire l’anima che c’è dentro. Può essere anche un auto-inganno, nel quale ho bisogno di credere. È necessario conoscere la storia di vita di un soggetto perché il tatuaggio traduce ed esprime il simbolico della propria storia. I simboli parlano e trasmettono l’emotivo, e per i sentimenti non esiste alfabeto.

Il kol’-sik: ieri e oggi

«Le parole sono il cane che hai in casa, ma ogni mossa ti prende di sorpresa e ti chiarisce che è lui il padrone» (Lilin N., Storie sulla pelle). Nel libro citato, il soggetto prima di essere tatuato, raccontava la propria storia al kol’-sik (tatuatore) e costui lo ascoltava con empatia ed estrema attenzione. Era poi in grado di cogliere, attraverso un simbolo artisticamente espresso, l’essenza del suo mondo interno. Si diventava kol’sik dopo anni di esperienza; si diventava dei maestri, non ci si improvvisava in questo ruolo. Il tatuaggio esprimeva ciò che di più profondo c’era in un individuo; ciò che forse era sconosciuto allo stesso soggetto. Apparteneva alla storia passata ma racchiudeva anche il teleologismo del soggetto. Oggi

Il tatuaggio diventa simbolo narrante della storia individuale di un soggetto. Il potere immaginifico ed evocativo del disegno che offre la possibilità di creare un’immagine che racchiuda tutte le qualità che il soggetto vorrebbe possedere; un magico amuleto propiziatorio che non ha facoltà di mutare il corso del destino, ma in qualche modo indica la rotta da seguire (Pietropolli Charmet, 2000).

I ragazzi oggi, attraverso il tatuaggio esprimono le caratteristiche che vorrebbero avere e che forse credono di non possedere. Esprimono il bisogno di apparire forti, complessi, tenebrosi o per le ragazze di apparire dolci, tenere, sensuali etc.

Relazione tra il tatuarsi e il concetto di identità

Esiste una connessione tra il tatuarsi ed il concetto di identità. Disegnare la pelle, in adolescenza, può diventare l’espressione per differenziarsi ed individuarsi. Un bisogno di sentirsi adulti, trasgredendo al volere dei genitori. La trasgressione in adolescenza, insieme all’opposizione trova radice nel bisogno di percepirsi non allineati al desiderio dei genitori. In età adulta, il tatuarsi può rappresentare un bisogno di ridefinizione della propria identità, allorché si percepisce una particolare modificazione esistenziale della persona. Capita spesso in terapia di trovarsi di fronte a dei clienti che, in particolare, alla fine di una lunga storia affettiva importante, decidano di tatuarsi. Sentono il bisogno di “ridefinirsi”, di chiudere un periodo ed aprirsi con modalità diverse ad un periodo nuovo di vita. La pelle diventa il canale visibile del messaggio che viene trasmesso al mondo esterno. La pelle riveste e tiene uniti tutti gli organi che appartengono al nostro corpo. Li ricopre ed in qualche modo cela ed evidenzia il dicibile e l’indicibile. Gli altri, nel primo contatto, si fermano ad osservare ciò che appare: l’involucro, il rivestimento, la pelle. Grande attenzione viene posta dai giovani e dagli adulti a curare l’involucro, a curare ciò che appare, la superficie.

La felicità, il benessere sembrano essere strettamente connessi all’essere belli?

Andreoli, nel suo libro (L’uomo di superficie, 2012), definisce l’uomo di oggi «uomo di superficie». L’uomo profondo guarda dentro, non è pervaso dall’apparenza, il suo è il desiderio di aderire all’essenziale. L’uomo interiore cerca il senso, il fine del suo stesso essere. L’uomo interiore è alla ricerca di “senso”; è teso a dar significato al suo essere. L’uomo di superficie non ha dimensione interiore; è il rivestimento del vuoto. La maggior parte dei giovani e meno giovani di oggi esprime un bisogno essenziale, la bellezza. Per essere accettati bisogna essere belli. La ricerca e la cura esagerata della bellezza porta inevitabilmente a trascurare la cura dell’anima. A trascurare di riempire di contenuto, di sostanza l’involucro esteriore. L’immagine che offre Andreoli è quella di un palloncino che può sgonfiarsi da un momento all’altro e perdere la sua forma, restando attaccato ad un filo morto. L’immagine può anche essere quella di un pacco confezionato con una carta pregiata, con un bel fiocco che lascia presagire un contenuto importante e poi, tolto l’involucro, si trova dentro qualcosa di insignificante, non corrispondente a quanto appariva. In sostanza l’involucro avvince e costa più del contenuto. La felicità, il benessere sembrano essere strettamente connessi all’essere belli. Ed allora si fa di tutto per esserlo, ma non è mai abbastanza.

Il vuoto psicologico è spesso alla base delle dipendenze

In terapia è capitato sovente di sentire ragazze e ragazzi che chiedono ai genitori, come regalo per i 18 anni o per la laurea di poter rifare il seno o il naso. Non esiste parte del corpo che non venga sottoposta a chirurgia estetica. Tale fenomeno non riguarda solo gli adolescenti ma anche gli adulti. Ricordo il caso di un paziente, un giovane adulto, che era ricorso per ben tre volte a chirurgia estetica sulle orecchie a sventola, ritenute la causa del suo insuccesso con le ragazze. Le difficoltà di relazione non svanirono neanche dopo il terzo intervento: le orecchie ormai erano perfettamente aderenti. Ha consapevolizzato che questa non era la causa del suo insuccesso relazionale ed ha iniziato a lavorare su di sé per dare sostanza al suo involucro.
Il vuoto psicologico è spesso alla base delle dipendenze (gioco, droghe, shopping compulsivo, internet etc.). Il vuoto inizia a strutturarsi in famiglia nei primi anni di vita. Le relazioni all’interno della costellazione famigliare sono spesso superficiali. Si da poco spazio alle emozioni; le emozioni non accompagnano le esperienze che si vivono nel nucleo famigliare. La comunicazione e quindi la relazione se non è accompagnata dall’emotivo, e dalla riflessione, non lascia traccia. Sono le emozioni che si vivono, che si elaborano e che si armonizzano, quelle  che ne permettono la conservazione e che danno sostanza al nostro essere.

La bellezza nell’uomo di superficie diventa la specificazione esclusiva che cancella ogni altra

In terapia ci si trova di fronte ad adolescenti che non conoscono il vocabolario emotivo; che non sono in grado di distinguere le emozioni e dar loro nome e significato. Ciò purtroppo non riguarda solo gli adolescenti ma anche i giovani adulti e molti coppie genitoriali. Sembra più facile adoperarsi in ogni modo per rendere i figli attraenti fisicamente che puntare sulla costruzione di una solida organizzazione di personalità. È più facile e veloce: i risultati si vedono subito. E si ha l’illusione di poter essere amati perché si è belli. L’uomo di superficie vorrebbe essere amato ma «non può essere abbracciato perché si deformerebbe: sarebbe come stringere un sacco colorato ma vuoto, fatto di nulla» (A., L’uomo di superficie). Non è, comunque, il bello in sé ma l’uso che se ne fa ad essere sbagliato. La bellezza è caratteristica positiva ma nell’uomo di superficie diventa la specificazione esclusiva che cancella ogni altra. La bellezza invisibile, la bellezza dell’anima sembra non interessi. Riuscire a vedere la bellezza dell’anima richiede strumenti indispensabili: saper andare oltre l’involucro, sapersi ascoltare, sapersi raccontare, saper aver empatia, saper condividere e saper costruire un progetto di vita dotato di senso, di significato. La bellezza dell’anima è qualcosa che richiede impegno, che si costruisce goccia dopo goccia, che richiede finezza, armonia, che non è mai definita e che più passa il tempo più si arricchisce di fascino. La superficie del corpo non guarda al futuro: o è bella subito e dunque è viva, o è brutta, e dunque destinata a morire TERZIUM NON DATUR (A., L’uomo di superficie).


Bibliografia

ANDREOLI V., L’uomo di superficie,  Rizzoli, Milano 2012

LILIN N.,Storie sulla pelle, Einaudi Torino 2012

PIETROPOLLI CHARMET  G., La paura di essere brutti. Gli adolescenti e il corpo, Raffaello Cortina, Milano 2013

ADLER A., Il senso della vita, Newton, Roma 1997

CAPPELLO  G., Guardami negli occhi quando dici no: la domanda di giustizia negli adolescenti di oggi, Effatà, Cantalupa (To) 2009

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